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Cnr: usare le leguminose per la fertilizzazione biologica dei terreni agricoli

In grado di arricchire il terreno di azoto, le piante leguminose si dimostrano un’ottima risorsa per la fertilizzazione biologica dei terreni agricoli. Un nuovo studio condotto dal Cnr-Ibbr ne indaga i meccanismi

fertilizzazione biologica
Foto di Stefano Ferrario da Pixabay

I concimi azotati potrebbero essere sostituiti con la fertilizzazione biologica tramite leguminose

(Rinnovabili.it) – Rendere i terreni agricoli più fertili convertendo l’azoto atmosferico in nutrienti utilizzabili dalle piante. Questo, in sintesi, il progetto condotto dall’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Ibbr) per un’agricoltura sostenibile e basata sul concetto di “fertilizzazione biologica”.

Pubblicato sulla rivista New Phytologist, lo studio ha consentito di identificare un nuovo meccanismo di controllo per il corretto funzionamento del nodulo azoto-fissatore nelle piante leguminose. Per comprenderne il funzionamento è necessario fare qualche passo indietro.

In natura esistono potenti batteri azotofissatori, come ad esempio i ceppi del Rhizobium, che formano associazioni simbiotiche con le leguminose. Questi microorganismi possono entrare nei tessuti delle radici, insediandosi all’interno delle cellule vegetali e crescere fino a formare un nodulo radicale. Questa struttura svolge le veci di un nuovo organo capace, di ridurre l’azoto atmosferico in nutrienti per la pianta.

La fissazione simbiontica dell’azoto nelle leguminose è un processo utilizzato in agricoltura fin dall’epoca romana ai fini di migliorare la concimazione del terreno. Di norma si alterna la coltivazione di legumi con altre colture in cicli triennali, ma anziché raccogliere le leguminose, queste vengono rimescolate al terreno. In questo modo possono decomporsi come “concime verde” e ripristinare il contenuto di azoto nel suolo.

Le colture di piante leguminose rappresentano uno strumento fondamentale per un approccio sostenibile in agricoltura, grazie alla loro capacità di arricchire in azoto i suoli in cui sono coltivati”, spiega Maurizio Chiurazzi, coordinatore dello studio. “Al contrario, l’eccessiva fertilizzazione del terreno attraverso la concimazione inquina l’ambiente poiché soltanto una parte dell’azoto contenuto nei concimi viene assimilato dalle piante, mentre il resto rimane nel suolo e i microorganismi presenti nel terreno lo trasformano in prodotti che sono fonte di gravi contaminazioni di falde acquifere e atmosfera”. 

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Ciononostante, l’approccio di fertilizzazione biologica dei suoli legato all’uso di coltivazioni di leguminose risulta ancora largamente sottoutilizzato in agricoltura. “Al momento, le colture di leguminose, come nel caso della soia, sono per lo più convogliate verso la produzione di mangimi per gli allevamenti animali, ma questi rappresentano a loro volta un’importantissima fonte di contaminazione ambientale”, conclude Chiurazzi. “La fertilizzazione biologica andrebbe dunque associata ad una strategia globale mirata a incentivare la biodiversità delle colture di leguminose e il loro utilizzo nella dieta umana.

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