Gli eventi climatici estremi mettono sempre più a dura prova le aziende agricole. Il problema, però, riguarda anche le compagnie assicurative a cui le aziende si rivolgono per avere una copertura da rischi sempre più frequenti e distruttivi: in queste condizioni, gli assicuratori faticano a far quadrare i conti
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Il cambiamento climatico è il vero nemico degli agricoltori. Gli eventi avversi ed estremi mettono sempre più a dura prova le aziende agricole. Il problema, però, riguarda anche le compagnie assicurative a cui le aziende si rivolgono per avere una copertura da rischi sempre più frequenti e distruttivi: in queste condizioni, gli assicuratori faticano a far quadrare i conti. Infatti una delle criticità per le compagnie assicurative è la sostenibilità economica delle polizze per coprire questo tipo di danni.
L’azienda agricola è un’impresa a rischio
Come ha affermato Umberto Guidoni, co-direttore generale di Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), «le compagnie devono fare profitti. Noi abbiamo una loss ratio al 156%. È il rapporto tra quanto incassiamo e quanto paghiamo (per ogni 100 euro incassati in premi, ne spendiamo 156 in sinistri). Il rischio è sempre maggiore e sempre meno controllabile».
Come è stato spiegato nel XIV Convegno nazionale sulla gestione del rischio in agricoltura organizzato da CESAR (Centro per lo Sviluppo Agricolo e Rurale), Università di Perugia, Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e Asnacodi Italia (Associazione Nazionale dei Consorzi di Difesa), «l’azienda agricola è un’impresa a rischio che produce a cielo aperto in un contesto sempre più critico». Inoltre è costretta ad affrontare i cambiamenti del clima, delle fitopatie e del mercato.
Aumentano le assicurazioni tra le aziende biologiche
Il Rapporto sulla gestione del rischio nell’agricoltura biologica 2021 elaborato da Ismea (lstituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) evidenzia nel periodo 2017-2019 una crescita media del 2% delle aziende biologiche; nello stesso periodo, quelle che hanno sottoscritto polizze contro gli eventi atmosferici sono aumentate al ritmo del 35% l’anno.
Il mondo del biologico dimostra quindi una crescente propensione ad assicurarsi contro i rischi dovuti al cambiamento climatico: oggi circa l’8% delle aziende biologiche ha sottoscritto una polizza, contro il 10% complessivo delle aziende agricole convenzionali. Una percentuale comunque sempre troppo bassa a fronte dei danni crescenti dovuti all’impatto del cambiamento climatico.
Dal punto di vista geografico, pur rimanendo preponderante il Nord come valore assicurato, nel biologico si osserva una forte crescita delle coltivazioni biologiche al Sud.
Il Fondo Mutualistico Nazionale
L’idea di istituire un Fondo Mututalistico Nazionale è nata dall’aumento della frequenza e della gravità degli eventi climatici avversi e dalla conseguente difficoltà di agricoltori e assicuratori di farvi fronte con gli strumenti finora disponibili. Il Fondo Mutualistico Nazionale è una novità assoluta in Italia e in Europa che permetterà agli agricoltori di essere risarciti dai danni dovuti agli eventi climatici estremi.
Come ha spiegato il ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Stefano Patuanelli, «l’obiettivo del Fondo è creare una rete di sicurezza per i circa 700.000 agricoltori che percepiscono pagamenti diretti della PAC contro i danni catastrofali, e coprire quei settori dell’agroalimentare che spesso sono sotto-assicurati o non assicurati. Pertanto, dal 2023 il settore agricolo avrà a disposizione un pacchetto completo di misure per la gestione del rischio del valore di quasi 700 milioni di euro all’anno».
Se il Fondo deve fare in modo che tutti gli agricoltori abbaino una copertura dai danni catastrofali ci si augura che sia uno strumento agile, tecnologico e in grado di rispondere in modo immediato ai bisogni degli agricoltori colpiti da siccità, gelo o alluvioni.
Diffondere la cultura di gestione del rischio
Uno dei benefici che il Fondo dovrebbe apportare è quello di ampliare il numero di aziende che si dotano di una copertura contro i rischi. Finora solo gli agricoltori che si ritenevano più esposti al rischio hanno scelto di assicurarsi. Sarà invece necessario diffondere tra le imprese la cultura della gestione del rischio perché, a conti fatti, la spesa vale l’impresa.
I rischi climatici sono divisi in rischi di frequenza (come la grandine) e rischi catastrofali (come gelo, siccità e alluvioni). Questi ultimi sono difficilmente contenibili con i vecchi strumenti di gestione del rischio e mettono in pericolo la sopravvivenza delle aziende agricole.
Negli ultimi venti anni il risarcimento per i danni da calamità naturali è triplicato. Per aziende, come quelle agricole, che devono fare programmazioni e investimenti di lungo periodo, il risk management è una garanzia di stabilità e di solidità economico-finanziaria.
La vera transizione? Riuscire a far funzionare le cose
Oggi le tecnologie di prevenzione e previsione sono un aiuto prezioso, ma non sufficiente. In agricoltura vanno messe in campo azioni che danno risultati nel lungo periodo, purtroppo la politica vuole risultati immediati per lucrare facili consensi. La gestione rischio è legata alla garanzia di un reddito finale.
Come ha spiegato Patuanelli, «la riforma della PAC è un compromesso positivo. Prelevare dal primo pilastro il 3% per implementare le risorse per il Fondo Nazionale è un grande risultato, e qui l’Europa ci ha ascoltato.
Qual era la situazione prima? Le aziende si assicuravano solo se in zone a rischio elevato, il premio saliva e si assicuravano meno aziende; all’arrivo della calamità vanno inviati aiuti dalla fiscalità generale se non si vogliono far fallire le aziende.
Ora questo 3% copre anche la fascia più bassa, le assicurazioni possono offrire prodotti più competitivi e le aziende sono più coperte. La vera transizione è nella capacità di far funzionare le cose, non è un problema di risorse ma di allocarle nel modo giusto a chi ne ha bisogno».
In sostanza, il Fondo Mutualistico Nazionale dovrebbe assicurare tutti, diventare una polizza obbligatoria simile alla RC Auto. Gli agricoltori percepiscono il rischio ma tendono a non assicurarsi pensando che poi ci sarà un intervento pubblico: con il Fondo dovranno mettersi in gioco in prima persona.
La tecnologia è irrinunciabile anche nel settore assicurativo per essere più tempestivi e snellire la burocrazia. La stessa modalità di accertamento del danno non potrà avvenire con la classica visita in campo ma le nuove tecnologie saranno un supporto per velocizzare l’accertamento e renderlo più preciso.
Diventare resilienti non basta
Troppo spesso gli agricoltori pensano che per fronteggiare i danni da cambiamento climatico basti diventare resilienti: si possono cambiare le colture, le pratiche agricole, coprire i frutteti, ma davanti a certe calamità climatiche non c’è pratica agricola che tenga, bisogna avere strumenti nuovi.
La situazione dell’Italia risente di un mix negativo composto da eventi estremi moltiplicati dal cambiamento climatico, abbandono delle campagne e cementificazione che ha provocato danni per circa 14 miliardi di euro in dieci anni tra perdite della produzione agricola e danni a strutture e infrastrutture, come rileva Coldiretti.
Finora gli strumenti assicurativi erano specializzati nel ramo grandine; nei prossimi anni, gli assicuratori tenderanno ad attuare una politica più selettiva dei rischi, in particolare rispetto agli eventi catastrofali.
Attualmente nel 92% dei casi le compagnie sottoscrivono contratti di riassicurazione, trasferendo quote significative del loro portafoglio rischi. Ma anche i riassicuratori ora spingono verso una maggiore selezione nell’assunzione dei rischi e un inasprimento delle condizioni contrattuali per contrastare gli effetti che i cambiamenti climatici.
Lo scenario futuro
Quale sarà lo scenario futuro? Se applichiamo gli Accordi di Parigi sarà serio, se non li applichiamo sarà catastrofico, con un aumento nell’ordine di +5°; l’Italia, particolarmente esposta ai cambiamenti climatici, potrebbe raggiungere +8°.
Cosa significa lo spiega il climatologo Luca Mercalli: «La Pianura Padana diventerà come il Pakistan: territorio desertico, temperature a 50-52°, forti piogge invernali e gravi siccità estive. Al 2050 il Po avrà diminuito la portata del 30%; questo, aggiunto allo scioglimento dei ghiacciai, creerà seri problemi anche per le irrigazioni.
L’innalzamento del livello del mare non solo potrebbe sommergere alcune zone costiere, ma farebbe infiltrare l’acqua salata nelle falde anche per alcuni chilometri nella terraferma, mettendo in crisi l’agricoltura costiera».
Il caldo sarà il nostro primo problema
Mercalli ha sottolineato che i danni delle gelate primaverili sono dovuti soprattutto agli inverni troppo caldi che fanno anticipare le fioriture. Il caldo sarà il nostro problema.
Il World Economic Forum ha stilato una “classifica” dei rischi globali principali: ai primi tre posti ci sono cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi, perdita di biodiversità. Le epidemie, che come il Covid-19 ci angosciano abbastanza, sono solo al sesto posto.
Mercalli ha lasciato spazio a un moderato ottimismo: lo stravolgimento climatico attuale è determinato dalle azioni dell’uomo, non dalla Natura in sé, contro la quale saremmo stati impotenti.
Da quello che è fatto ormai non si torna indietro, ma se ci mettiamo un serio impegno possiamo evitare la catastrofe, dipende solo da noi. Gli allarmi degli scienziati sono rimasti inascoltati per decenni, il sesto Rapporto IPCC è un codice rosso per l’umanità. Ascoltiamolo.