La popolazione urbana è destinata ad aumentare con impatti ambientali, sociali ed economici distruttivi. Il Position Paper Cibo, Città, Sostenibilità. Un tema strategico per l’Agenda 2030 elaborato dal Gruppo di Lavoro sul Goal 2 dell’Asvis analizza la situazione globale e indica soluzioni possibili
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Quali sono gli impatti della pandemia sulla filiera alimentare? E qual è il ruolo delle città, ovvero quanto sono esposte agli shock e come possono reagire? Partendo da questi due punti focali il documento programmatico Cibo, Città, Sostenibilità. Un tema strategico per l’Agenda 2030, elaborato dal Gruppo di Lavoro sul Goal 2 dell’Asvis con la Fondazione Barilla, analizza la situazione globale e indica soluzioni possibili.
Uno studio del WWF dimostra lo stretto legame tra la pandemia di Covid-19 e il sistema alimentare: è quindi evidente la necessità di riconsiderare il ruolo centrale delle città nel disegnare una nuova normalità che abbia al centro la persona e l’accesso a un cibo sano e sostenibile. Pur tra le difficoltà, in Italia il sistema di approvvigionamento alimentare ha tenuto, come risulta dai dati Confagricoltura e Coldiretti: grazie all’instancabile impegno degli addetti ai lavori, gli scaffali di negozi e supermercati sono stati riforniti regolarmente nel periodo dell’emergenza. Tuttavia l’insicurezza alimentare è cresciuta nelle fasce più deboli della popolazione e le mense caritatevoli hanno avuto un sensibile aumento di richieste da parte di chi si è trovato improvvisamente senza lavoro. Durante il lockdown ci sono state eccedenze alimentari a causa del mancato rifornimento al settore HoReCa e si è provveduto a ridistribuirle ai più bisognosi: una buona pratica che la ministra per le Politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova intende portare in Europa e che potremmo definire economia circolare del cibo.
L’impatto ambientale devastante della pressione demografica
Il documento Cibo, Città, Sostenibilità riporta che oggi più della metà della popolazione mondiale vive in insediamenti urbani, percentuale destinata ad aumentare. Secondo le proiezioni ONU nel 2050 due persone su tre vivranno in città dove sarà consumato l’80% del cibo: una pressione demografica che avrà un impatto ambientale devastante. Secondo i dati della FAO ogni anno si perde o viene sprecato un terzo del cibo all’interno della filiera alimentare, generando costi ambientali (per lo smaltimento), economici e sociali. Un quarto delle emissioni umane è causato dalla cattiva gestione dei rifiuti organici, un volume che crescerà fino al 70% nei paesi in via di sviluppo, ragione per cui sono indifferibili politiche di prevenzione e azioni per la riduzione degli sprechi.
In queste megalopoli, dove è scontato l’incremento della povertà, aumenteranno i “deserti alimentari” (aree urbane dove la mancanza di negozi, mercati o supermercati impedisce l’acquisto di prodotti freschi di qualità a prezzi accessibili) e le “paludi alimentari” (aree urbane ad alta concentrazione di fast food e junk food). La conseguenza è la crescita delle malattie non trasmissibili – come sovrappeso, obesità, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari – che causano il 60% dei decessi a livello globale.
È evidente che il raggiungimento del Goal 2 è legato al Goal 3 (Assicurare salute e benessere), ma ampliando l’analisi vediamo quanto sia interconnesso con tutti gli altri Obiettivi. Problemi complessi che richiedono un cambiamento radicale del sistema alimentare con l’adozione di politiche innovative e integrate, le cosiddette Urban Food Policy (o politiche locali del cibo), che investono le politiche relative al cibo nel loro insieme affinché possano raggiungere standard di sostenibilità, salubrità, resilienza e inclusività.
In Italia
L’Italia è tra i maggiori produttori agricoli europei. Ha produzioni di qualità, ha ridotto l’uso di fertilizzanti e aumentato la percentuale di biologico, le emissioni di gas serra sono inferiori a Francia e Germania. Tuttavia c’è un preoccupante degrado dei suoli agricoli, un eccessivo prelievo di acqua dolce destinata all’agricoltura e soprattutto la mancanza di una strategia politica nazionale scoraggia gli investimenti in agricoltura sostenibile.
Secondo il Food Sustainability Index – uno studio globale su nutrizione, agricoltura sostenibile espreco alimentare curato dalla Fondazione Barilla – in Italia ogni anno sprechiamo 65 kg. di cibo a testa: in maggioranza verdura, frutta e latticini. Una situazione eticamente insostenibile, specie se si considera che più di 5 milioni di persone sono in condizione di povertà assoluta, che impone di rivedere non solo le politiche agricole e imprenditoriali del settore, ma anche le scelte e i comportamenti individuali.
Nel nostro Paese, l’agricoltura urbana non assolve solo alla funzione di contrasto alla povertà, ma assume un carattere multifunzionale: oltre alla funzione produttiva sono importanti anche quelle sociali, ricreative e pedagogiche (come nel caso degli orti urbani). I rapporti fra città e campagna stanno cambiando, la distinzione fra rurale e urbano si fa più sfumata anche perché spesso quelli che erano spazi verdi destinati all’agricoltura sono stati inglobati dall’espansione delle città: nel progettare prospettive di sviluppo in linea con gli SDGs l’agricoltura riveste un ruolo fondamentale perché contribuisce alla rigenerazione urbana in chiave sostenibile. Se da un lato l’incremento dell’agricoltura urbana può generare problemi per l’uso di fertilizzanti o pesticidi in prossimità di aree abitate, dall’altro è un modo per ricucire il rapporto tra consumatori e produttori, indebolito dalle filiere globalizzate. Nei pressi delle città gli agricoltori sarebbero facilitati dalla presenza di infrastrutture fisiche (strade e mercati urbani) e digitali (accesso alla banda larga).
Per dare concretezza alle idee, il Position Paper Cibo, Città, Sostenibilità indica ai policy maker dieci raccomandazioni di politica urbana del cibo per una città sostenibile:
- Pianificare una strategia e una politica sul cibo a livello urbano;
- Tutelare le fasce più deboli e ridurre le disuguaglianze;
- Progettare e dare vita a un sistema di mense scolastiche e pubbliche sostenibili;
- Costruire una cultura del cibo fondata sul concetto di una dieta varia e sana e favorirne l’adozione;
- Promuovere l’innovazione di prodotto e di processo;
- Rafforzare le connessioni positive tra cibo e ambiente anche attraverso la multifunzionalità dell’agricoltura urbana e periurbana;
- Rendere i sistemi alimentari urbani più resilienti;
- Disegnare le filiere della solidarietà;
- Rafforzare, democratizzare e localizzare le pianificazioni dei sistemi alimentari;
- Mappare i sistemi locali del cibo.
La connessione tra produzione di cibo e città può offrire opportunità di rigenerazione urbana e sostenibilità ambientale, ma richiede l’adesione convinta degli amministratori locali a una visione diversa per edifici e spazi che deve coinvolgere imprese, scuole e mense. In prima fila devono essere i cittadini: non bastano le buone intenzioni, è il momento di essere consapevoli che il cambiamento sostenibile passa dal comportamento individuale. Il tempo delle parole è scaduto, è ora di passare ai fatti.