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Il consumo di cibi ultra-processati aumenta il rischio di Alzheimer?

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La dieta può influenzare il declino cognitivo

L’aumento della diffusione della malattia di Alzheimer è in parte legata al fatto che la società invecchia ed è quasi scontato che i casi aumentino. Con l’aumento dell’aspettativa di vita crescono quindi le preoccupazioni per l’aumento di malattie come la demenza.

Alzheimer, una malattia in aumento e senza cure efficaci

Lo studio di altre cause impegna da anni gli scienziati, e molte sono le ipotesi sul tavolo.  Il dato obiettivo è che nel 2016 la demenza ha colpito circa 44 milioni di persone in tutto il mondo. Le proiezioni per il futuro indicano un aumento importante: entro il 2050 i casi dovrebbero raggiungere i 135 milioni.

La malattia di Alzheimer, in particolare, è la causa più comune di demenza e non esistono cure efficaci; esistono poche terapie che rallentano la progressione della malattia ma non la bloccano né portano alla guarigione. Inoltre, lo sviluppo di nuovi farmaci procede lentamente.

Consumption of ultra-processed foods and risk for Alzheimer’s disease: a systematic review (pubblicato in “Frontiers”) è una nuova ricerca condotta da un gruppo di studiosi di atenei brasiliani che ha avanzato un’ipotesi: il consumo di cibi ultra-processati (UPF) potrebbe aumentare il rischio di Alzheimer? Se l’ipotesi fosse confermata si potrebbe almeno eliminare una delle possibili cause dell’insorgenza della malattia.

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Dieta e declino cognitivo

Solo da pochi anni si è cominciata a studiare l’associazione tra il consumo di alimenti ultra-processati e il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Il gruppo di ricerca ha preso in esame 5 studi svolti su una popolazione di 617.502 adulti e anziani. Quattro di questi studi hanno dimostrato un’associazione di rischio tra il consumo di alimenti ultra-processati e lo sviluppo del morbo di Alzheimer, uno studio ha mostrato un’associazione di rischio solo con lo sviluppo del declino cognitivo.

Numerosi studi hanno dimostrato che una nutrizione scorretta ha uno stretto legame con il declino cognitivo, ovvero la dieta non è estranea a un aumento di rischio di Alzheimer. È opportuno sottolineare che negli ultimi decenni le diete sono cambiate: si mangiano alimenti ad alto valore energetico e bassa concentrazione di vitamine e minerali. Inoltre, in tutto il mondo è aumentato il consumo di cibi ultra-processati.

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Più grassi, zuccheri e additivi, meno fibre e vitamine

Questi alimenti hanno in genere livelli più elevati di grassi totali, grassi saturi, zuccheri aggiunti, additivi chimici e sodio, e una minore densità di fibre e vitamine. In Paesi sviluppati come Stati Uniti, Regno Unito e Canada rappresentano addirittura più della metà dell’energia alimentare totale consumata. In Paesi a medio reddito come Brasile, Messico e Cile sono un quinto dell’energia alimentare.

Secondo studi recenti, le diete ad alto contenuto di UPF possono essere associate a prestazioni cognitive inferiori, influenzando la memoria, l’attenzione e il ragionamento. Inoltre, gli ingredienti potenzialmente infiammatori degli UPF possono innescare processi infiammatori anche nel cervello e contribuire allo stress ossidativo e al danno cellulare. Potrebbero esistere legami anche con disturbi di salute mentale come la depressione e l’ansia.

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I cibi ultra-processati e le variabili

I cibi considerati nello studio sono: bibite analcoliche, bevande a base di latte, nettari di frutta, miscele in polvere per bevande al gusto di frutta, snack in bustina, caramelle e cioccolatini, barrette di cereali, gelati, prodotti da forno confezionati, margarine e altri sostituti del burro, biscotti o biscotti, preparati per torte, cereali per la colazione, torte, primi piatti e pizze preconfezionati, crocchette di pollo e pesce,  salsicce, hamburger e altri prodotti a base di carne ricostituita, tagliatelle istantanee e miscele in polvere per la preparazione di zuppe o dessert.

Lo studio ha preso in considerazione diverse variabili come l’età, il sesso, l’istruzione, il fumo, il consumo di alcol, l’apporto calorico, la storia familiare di demenza, la storia di ictus, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, le malattie cardiovascolari, i punteggi della scala della depressione, la fibrillazione atriale, la durata del sonno, i parametri lipidici, l’attività fisica, l’indice di massa corporea (BMI), il rapporto vita/fianchi.

I risultati sembrano confermare il rapporto tra alimentazione e Alzheimer (come pure con i tumori e le malattie cardiovascolari), anche se si dichiara la necessità di ulteriori approfondimenti.

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