di Isabella Ceccarini
I consumatori spingono le aziende a diventare più sostenibili
La certificazione ci dice che un prodotto è sostenibile. Preoccupati dal degrado ambientale causato da alcune produzioni, i consumatori più attenti controllano l’etichettatura ecologica di quello che acquistano: pagano un prezzo leggermente più alto pur di avere la certezza di avere prodotti sostenibili dal punto di vista etico e ambientale. Ma come nasce l’idea di certificazione? Fino agli anni Ottanta non esistevano etichette o standard di qualità ambientale.
Certificazione di conformità agli standard di sostenibilità
Lo standard di sostenibilità definisce alcune regole per una produzione che non provochi danni ambientali e sociali. Il marchio di qualità ecologica è quindi una sorta di certificazione di conformità agli standard di sostenibilità.
Oggi la certificazione interessa sia i produttori che vogliono costruirsi una reputazione sostenibile sia i consumatori desiderosi di fare acquisti eticamente ineccepibili. Va detto, però, che ci sono venditori e produttori che tendono ad aderire a un programma di etichettatura ecologica perché possono spuntare un prezzo più alto se soddisfano i requisiti di certificazione. L’attenzione alle etichette ecologiche dipende anche dai mercati e dai relativi governi di riferimento: l’Unione Europea, ad esempio, è particolarmente sensibile al tema.
Leggi anche Coldiretti e Fondazione E4Impact, agricoltura sostenibile in Africa
Tanti standard di certificazione differenti
Sicuramente la crescente attenzione ai temi della sostenibilità ha sensibilizzato i consumatori e giovato in qualche misura ai lavoratori, ma è difficile determinare il reale impatto ecologico e sociale degli oltre 400 standard di sostenibilità esistenti per i prodotti agricoli, poiché variano enormemente a seconda del paese o del settore.
Uno dei primi standard di sostenibilità è stato quello sul commercio equo e solidale, sviluppato dagli olandesi nel 1988 con i coltivatori di caffè messicani: la certificazione Fairtrade garantiva la sostenibilità sociale per i lavoratori.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Utrecht (Olanda) ritiene che l’impatto potenziale sull’ambiente e sulla comunità dei paesi produttori sia un buon indicatore. Inoltre le scelte dei consumatori spingono le aziende a diventare più sostenibili: oggi più della metà del caffè venduto in Olanda è prodotto in modo sostenibile, anche se non tutto il caffè proveniente da fonti certificate è esposto sugli scaffali come certificato.
Leggi anche “Da chicco a chicco”, l’economia circolare di impatto sociale
Un sistema imperfetto
È legittimo farsi qualche domanda sul reale beneficio per gli agricoltori. Il sistema delle certificazioni è ancora imperfetto e possono entrare in gioco commercianti e intermediari disonesti: alcuni produttori hanno denunciato scorrettezze o casi di contratti vantaggiosi che in realtà non lo erano affatto. Quando i sistemi diventano più complessi, si frammentano in più passaggi e coinvolgono più partecipanti, è inevitabile che emergano lacune che possono incidere sulla trasparenza.
A volte le aziende hanno tratto più vantaggio rispetto agli agricoltori locali ma, nonostante tutto, gli obiettivi dei sistemi di certificazione restano positivi, gli agricoltori ne hanno tratto benefici e gli anelli più deboli nella catena di approvvigionamento sono stati protetti. Inoltre, le certificazioni hanno permesso ai piccoli produttori di entrare in contatto con i mercati nazionali e internazionali.
Leggi anche Caffè, un progetto per la produzione sostenibile in Etiopia
Il cacao
Anche nel campo del cacao la situazione è molto complessa, e la struttura del mercato mantiene i prezzi bassi per gli agricoltori.
Cominciamo col dire che circa due terzi del commercio globale di cacao è in mano a otto aziende e negli anni la quota destinata ai coltivatori è diminuita: oggi solo il 6% circa del valore totale di una tavoletta di cioccolato va all’agricoltore, nel 1980 era il 16%.
Questo significa che l’agricoltore ha un potere contrattuale molto basso e poche opportunità di migliorare la sua condizione, una distorsione che crea problemi sociali, come il lavoro minorile: nell’industria del cacao lavorano circa 1,5 milioni di bambini. Senza avere una maggiore percentuale sul valore creato e un migliore accesso all’istruzione non avranno speranze.
Una vera sostenibilità nelle catene di approvvigionamento è quella che rende la produzione economicamente sostenibile sia per i produttori che per gli agricoltori.
Leggi anche Cacao, la seconda vita delle fave danneggiate
I costi nascosti dei danni sociali e ambientali
Un passo avanti in questa direzione potrebbe essere investire per creare mercati interni nei paesi in cui viene raccolto il cacao: un processo che potrebbe creare posti di lavoro di qualità a livello locale e aiutare le imprese e le comunità a prosperare. Allora dovremmo pagare di più per il cioccolato? I ricercatori olandesi dicono di no. Non dovremmo pagare di più per un caffè o un cioccolato sostenibili. Al contrario, l’opzione più sostenibile dovrebbe essere la più economica per il consumatore, se solo pagassimo il prezzo reale.
Secondo i ricercatori, il prezzo reale comprende i costi per l’acqua, i pesticidi, le emissioni di CO2, la deforestazione e il lavoro minorile. Sono costi aggiuntivi nascosti e non contabilizzati nel cartellino del prezzo del prodotto finito.
Eppure non ci rendiamo conto che paghiamo questo prezzo sotto forma di danni sociali e ambientali, che dovrebbero rientrare in una certificazione di sostenibilità.
Se da un lato le certificazioni di sostenibilità sono un buon incentivo per promuovere pratiche sostenibili nelle catene di approvvigionamento del cacao e del caffè, dall’altro sono necessarie ulteriori innovazioni per affrontare le disuguaglianze di mercato esistenti. E se volessimo lasciare un posto di primo piano alle pratiche sostenibili da punto di vista ambientale, si dovrebbero promuovere sistemi agroforestali che siano buoni per le colture e per gli agricoltori.