Il caviale vegano è la nuova frontiera del lusso alimentare. Di origine giapponese, già ci sono ristoranti che lo propongono in costosi menù degustazione. Dal punto di vista del sapore, la distanza tra il caviale vegano e quello di storione sembra incolmabile e richiede sforzi imponenti per raggiungere un risultato soddisfacente
(Rinnovabili.it) – La nuova frontiera del lusso alimentare è il caviale vegano, che ovviamente nella sua composizione non ha niente di animale. L’ingrediente di partenza per il caviale vegano viene dal Giappone: parliamo del tonburi. Conosciuto come “caviale di terra”, il tonburi è il seme della pianta erbacea ornamentale perenne Kochia scoparia.
La forma è granulare, con un diametro di 1-2 millimetri; il colore è grigio-verdastro e, una volta lucidati, somigliano al caviale ma sono insapori e inodori. Dopo averli essiccati, i semi si fanno bollire e macerare, infine si strofinano per togliere la buccia.
Il caviale vegano è usato da sempre nella cucina giapponese per guarnire i piatti con lo stesso effetto del caviale.
Esiste anche un altro tipo di caviale vegano molto conosciuto, ed è quello che si ottiene dalle alghe.
In voga nei ristoranti più chic
I ristoranti più chic hanno inserito il caviale vegano nei loro menù. Ad esempio Eleven Madison Park di New York (uno dei 50 migliori ristoranti del mondo) lo propone in un menù degustazione a 335 dollari: involtini di lattuga con crème fraîche o sour cream (ovvero la panna acida).
Rimane tuttavia la differenza in termini di sapore e di consistenza (quella del tonburi è leggermente croccante) rispetto al caviale di storione.
Il tonburi viene trattato con una salamoia colorata con polvere di carbone e mescolata con shio koji (un condimento fermentato ottenuto dal riso che esalta la sapidità) e gomma xantana (un additivo addensante e stabilizzante) per conferirgli salinità e consistenza.
Inoltre, per aggiungere un sapore che ricordi il pesce, ci si aggiunge un po’ di uva di mare (un’alga marina). Dopo tutte queste aggiunte, finalmente il caviale di mare si avvicina a quello di storione.
Una delusione?
I ristoratori di lusso sono ovviamente sensibili alle esigenze della loro clientela. Preferiscono non proporre il caviale vegano come un’innovazione e dire chiaramente che si tratta di semi, ma associarlo a un’idea di cibo più tradizionale. Anche perché non vogliono confermare i pregiudizi verso la cucina vegana, ritenuta una scialba imitazione di quella onnivora.
Alla fine si generano delle aspettative che il più delle volte lasciano delusi, come sostengono alcuni critici gastronomici: se caviale deve essere, che sia tradizionale.
Visto anche il prezzo del caviale tradizionale, i ristoratori devono stare attenti a non creare malintesi: il caviale vegano non è una divertente creazione degli chef occidentali, ma un alimento base della cucina giapponese.
Nomi che rincorrono i cibi tradizionali
Oltre al caviale vegano, ci sono molti altri cibi vegani che sono proposti sulla falsariga di quelli non vegani: seitan (un alimento vegetale altamente proteico ottenuto dal glutine del grano tenero o di altri cereali usato come sostituto della carne), anatra finta (derivata dal glutine e insaporita con olio, zucchero, salsa di soia e sale), carne stampata in 3D.
Va benissimo stimolare la curiosità in cucina e avvicinare i consumatori a preparazioni più sostenibili dal punto di vista ambientale.
Resta un interrogativo: dal punto di vista nutrizionale sono alimenti veramente salutari? Ma soprattutto viene da chiedersi perché un piatto vegetariano o vegano insegua nel nome gli omologhi di origine animale: non sarebbe preferibile dichiarare fieramente la propria origine?