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Campus Peroni, laboratorio di sostenibilità

Campus Peroni ha l’obiettivo di diffondere una cultura della qualità e della sostenibilità in agricoltura e valorizzare la filiera. Innovazione e tecnologia, connessioni e condivisioni sono gli elementi cardine di questo percorso, ma si impone un cambiamento culturale per capire che si deve lavorare insieme

Campus Peroni

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Persone, formazione, ricerca, innovazione. Questi sono i punti che caratterizzano Campus Peroni, un progetto nato nel 2018, fatto da connessioni e sperimentazioni sul campo.

Campus Peroni è un percorso formativo con un obiettivo preciso: diffondere una cultura della qualità e della sostenibilità in agricoltura e valorizzare la filiera. In questo percorso, a Birra Peroni si affiancano sia il CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) che il mondo dell’università e della ricerca, le startup.

Campus Peroni, un percorso partito da lontano

I primi progetti di smart agriculture iniziano in realtà nel 2015, con i primi progetti pilota e con la raccolta dei dati relativi alle emissioni dell’intera filiera produttiva. Nel 2019 si fa strada la prima idea di tracciabilità con la blockchain: quello che sembrava un obiettivo complesso oggi è diventato una realtà.

«Oggi Campus Peroni non si limita più al solo comparto agricolo ma guarda alla sostenibilità dell’intera filiera produttiva. La tecnologia è al servizio della produzione e spinge la sostenibilità non solo in senso ambientale ma anche economico», dichiara Federico Sannella, Corporate Affair Director di Birra Peroni e coordinatore di Campus Peroni durante l’incontro “Connessioni di valore per la transizione ecologica nell’agroalimentare – Affrontare le sfide della trasformazione come ecosistema, conciliando policy e modelli di sviluppo delle imprese”.

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Modello in tre fasi

Irene Pipola, EY Consulting Sustainability Leader Italy, spiega il modello in tre fasi che Campus Peroni ha realizzato in questi anni: tracciabilità, misurazione, miglioramento a cui hanno collaborato Hort@, XFarm e Università Campus Bio-Medico.

La tracciabilità parte dalla raccolta dei dati dell’intera filiera (dall’origine delle materie prime al confezionamento) e diventa disponibile grazie alla blockchain e al QR Code che permettono al consumatore di conoscere tutti i passaggi della produzione. Misurare è il primo step per migliorare. Il secondo passaggio prevede la misurazione e l’analisi dell’impatto della filiera attraverso la raccolta di dati diretti (ad esempio la quantità di CO2 prodotta nei vari passaggi, le risorse consumate). Gli strumenti utilizzati sono sensori (in particolare per quanto riguarda i fertilizzanti, l’acqua, le condizioni climatiche), stazioni meteorologiche che forniscono dati geospaziali, telemetria, piattaforme, o sistemi più tradizionali come quaderni di campo e reportistica.

La metodologia Life Cycle Assessment valuta in particolare gli impatti ambientali. In questo modo è possibile sia ricavare informazioni di base che output relativi alla resa delle coltivazioni e determinare l’impronta climatica della produzione (ad esempio, la CO2 prodotta per ogni tonnellata di orzo, la quantità di fitosanitari impiegati).

Risultati incoraggianti

I risultati di questa valutazione di impatto, condotti su 4mila ettari, sono stati incoraggianti e quindi fanno ben sperare anche su larga scala. Il miglioramento passa dall’identificazione delle azioni di agricoltura di precisione e dal miglioramento delle performance.  Gli strumenti usati sono il Decision Support System, le piattaforme di precision farming e gli investimenti su operations.

«Si parla sempre di problemi legati alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici. Ma poi? Cosa possiamo fare?», si domanda Federico Sannella, che trova una possibile soluzione nella tecnologia. «I dati ci danno le informazioni per capire dove intervenire, per questo i dati devono essere open source e condivisi da tutti i soggetti. La blockchain fornisce dati trasparenti che tutti possono leggere. Bisogna creare connessioni di valore, in modo che dove non riesco ad arrivare io possa intervenire un altro».

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Necessità di una visione ecosistemica

«Innovazione, dati, nuove tecnologie fanno parte di una visione ecosistemica senza la quale non si potrà raggiungere alcun risultato», afferma Enrico Giovannini, co-fondatore di Asvis, che auspica che si crei una competizione sulla sostenibilità. «Il Green Deal non è una strategia ambientalista, vuole porre aziende e società europee come leader di sostenibilità nei confronti del mondo». Non si tratta nemmeno di fare la cosa giusta, è anche un’opportunità di business perché le aziende green sono più forti. C’è un tema di innovazione molto forte, i giovani vogliono lavorare in aziende sostenibili.

Crisi climatica e rischio idrico

L’allargamento della rendicontazione non finanziaria sarà esteso dalle grandi alle medie imprese: una grande sfida che imporrà ingenti investimenti in sostenibilità. Un passaggio di grande rilievo secondo Giovannini.

Giovannini esorta le imprese italiane ad aprirsi maggiormente ai mercati internazionali e a vedere nell’innovazione un passaggio obbligato per la sopravvivenza futura. Si è visto quanto sia importante per ridurre l’impatto ambientale delle coltivazioni, ma tanti sono i fattori di cui tenere conto. Ad esempio, una politica lungimirante deve porsi il problema dell’adattamento alla crisi climatica e del rischio idrico.

Condivisione e collaborazione

Katia Da Ros, vicepresidente di Confindustria, sottolinea l’importanza della condivisione e della collaborazione: insieme si va più lontano. La responsabilità di impresa deve uscire dai muri aziendali, ma serve un profondo cambiamento culturale, una visione per capire che superare la valutazione solo in termini di impatto economico immediato è perdente: nel lungo periodo un rapporto positivo con i consumatori garantirà un ritorno economico nel lungo periodo.

«Raggiungere l’impatto zero nel 2050 come prescrive l’UE sarà economicamente pesantissimo. Si calcola che serviranno circa 1.100 miliardi di euro, ma il PNRR nel stanzia solo il 3,7%. Perdere questa sfida significa mettere a rischio la nostra stessa sopravvivenza», sottolinea Da Ros. «Per questo bisogna mettere insieme le risorse e le competenze, perché nessuno ha la forza per farcela da solo», le fa eco Sannella. E Campus Peroni lavora proprio per creare connessioni e condivisioni.