(Rinnovabili.it) – Il cambiamento climatico è una realtà evidente sotto gli occhi di tutti. Non solo provoca disastri ambientali (siccità, alluvioni, perdita di biodiversità), ma come vedremo comporta variazioni rilevanti anche nelle coltivazioni.
L’agricoltura è il comparto produttivo che più risente delle conseguenze del cambiamento climatico, ma sembra pronta a raccogliere le nuove sfide che questo impone.
La flessibilità degli agricoltori spinta dal cambiamento climatico
Se da un lato è apprezzabile la flessibilità con cui le imprese agricole cambiano le produzioni per adattarsi al cambiamento climatico, dall’altro è preoccupante assistere a un riscaldamento costante del clima che incide «sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio», dichiara Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.
Il Rapporto Copernicus 2022 non lascia spazio a dubbi: il 2022 è stato il secondo anno più caldo in Europa, in particolare nell’area nord-occidentale che ha fatto registrare condizioni prolungate di siccità.
Nell’emisfero opposto, l’Australia ha subito gravi devastazioni a causa di inondazioni da record. Nello stesso periodo, inoltre, sono cresciute le concentrazioni di gas serra.
Per tornare all’Italia, la temperatura media è stata superiore di 1,15° e le precipitazioni sono diminuite del 30% rispetto alla media storica del periodo 1991-2020 (elaborazioni Coldiretti su dati CNR-Isac).
Il cammino inarrestabile del cambiamento climatico influenza il paesaggio, ma anche la distribuzione e la stagionalità dei prodotti agricoli.
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La “migrazione” delle coltivazioni
Negli ultimi anni alcune coltivazioni stanno “migrando”: ad esempio, l’olivo è arrivato nelle zone alpine. L’ultima frontiera nord della coltivazione dell’olivo è arrivata in provincia di Sondrio.
Spiega Coldiretti che «negli ultimi dieci anni la coltivazione dell’olivo sui costoni più soleggiati della montagna valtellinese è passata da zero a circa diecimila piante, su quasi 30 mila metri quadrati di terreno».
Lo scenario sta cambiando anche per il vino. Non solo è aumentata di un punto la gradazione, ma sono anticipati i tempi della vendemmi di circa un mese rispetto al periodo tradizionale settembre-ottobre. Le temperature più calde hanno portato a coltivare la vite fino a quasi 1200 metri in Valle d’Aosta.
Dove il cambiamento climatico sta incidendo notevolmente sulle coltivazioni è nelle regioni del Mezzogiorno: in cinque anni le coltivazioni di frutti tropicali sono triplicate fino a raggiungere circa 1200 ettari tra Puglia, Calabria e Sicilia.
In Sicilia, si coltivano diverse varietà di mango oltre ad avocado, frutto della passione, litchi, zapote nero (un frutto originario dell’America Centrale la cui polpa sembra un budino al cioccolato), sapodilla (coltivata sia per i frutti la cui polpa ricorda la pera, sia per il lattice), canna da zucchero (era stata importata dagli Arabi e coltivata con successo tanto da essere definita “oro bianco”, poi abbandonata e oggi ripresa).
Oltre a mango e avocado, già da qualche anno la Calabria sta sperimentando con successo la coltivazione di annona (un frutto originario dell’America centro-meridionale con sentori di banana, ananas e pera), noce di macadamia (coltivata per uso alimentare e cosmetico), melanzana thay.
Anche in Puglia il cambiamento climatico ha spinto a cambiare le coltivazioni. Anche qui mango e avocado sono diventati una realtà insieme a banane, lime, bacche di aronia (di aspetto simile ai mirtilli neri) e bacche di goji (uno degli ultimi trend del momento che proveniva dai Paesi asiatici).