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Buono! Il valore di dieta mediterranea e agrifood italiano

buono!

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Buono! sicuramente, ma potremmo anche azzardare ottimo. “Buono! Il buono della dieta mediterranea e dell’agrifood italiano verso il Food Systems Summit – Storie italiane di agricoltura, territori e cibo sostenibili”, l’incontro organizzato da Maker Faire Rome in collaborazione con Santa Chiara Lab-Università di Siena, entra nel vivo di un settore che troppe volte è guardato con interesse, ma senza comprenderne la reale portata. Non bisogna fermarsi a una valutazione economica, che ha sicuramente il suo peso dal punto di vista del Pil, come secondo settore produttivo italiano. La dieta mediterranea è un simbolo dell’Italia di cui è riconosciuto l’importante valore nutrizionale. L’agricoltura italiana si distingue in Europa per sostenibilità, sicurezza, qualità e innovazione, e Buono! si propone come uno spazio di dialogo indipendente tra imprenditori e innovatori nell’agroalimentare e rappresentanti di associazioni e istituzioni. 

Sostenibilità, un tema etico, ambientale ed economico

L’Italia avrà l’onore di ospitare il primo G20 dedicato all’alimentazione in preparazione al Food Systems Summit delle Nazioni Unite: una grande occasione per comprendere nel profondo quali sono i modelli di agricoltura sostenibile in linea con la strategia europea Farm to Fork e con i principi del Green Deal europeo. Non a caso «La sostenibilità è un tema etico, ambientale ed economico», ha dichiarato David Granieri, membro di giunta della Camera di Commercio di Roma e presidente di Agro Camera, intervenendo a Buono!

«Ci avviamo a grandi passi al Food Systems Summit, un appuntamento che ha rappresentato uno stimolo per produttori, consumatori, giovani» ha detto aprendo il suo intervento a Buono! Luigi Di Maio, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le connessioni del G20 con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sono evidenti: diritto al cibo sano e alla salute, diritto a un lavoro dignitoso, protezione degli ecosistemi e delle risorse naturali, sviluppo di città e comunità sostenibili. L’Italia è considerata da anni un modello per il suo sistema agroalimentare sostenibile, ma è sempre aperto il confronto con altri paesi per individuare sistemi migliori e più resilienti.

Nella Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo è nato il tavolo sulle filiere italiane per in preparazione al Food Systems Summit con l’obiettivo di discutere ed elaborare posizioni comuni da presentare al Vertice ONU. «Lavoriamo con la FAO per costruire sistemi alimentari che non siano estranei alle realtà locali. Le diete tradizionali sono tecnica, memoria e innovazione, anche grazie a queste si preservano i piccoli produttori, le risorse e il territorio», ha proseguito Di Maio. Ma soprattutto si deve puntare sull’educazione alimentare per formare consumatori consapevoli: il cibo è anche cultura, il consumatore deve scegliere conoscendo il valore dei cibi. Il contesto pandemico ha reso ancora più chiaro il rapporto tra alimentazione e salute, e abbiamo constatato il ruolo dell’innovazione, «fondamentale per avviare nuovi modelli di sviluppo, migliorare i processi, ridurre gli sprechi e generare economia circolare».

L’Agenda 2030 è la nostra bussola

«Negli ultimi anni c’è maggiore consapevolezza che l’agroalimentare emetta il 30% di gas serra a livello planetario; gli opposti si scontrano tra obesità e malnutrizione, fame e spreco di cibo. Ma l’Agenda 2030 è la bussola per affrontare questi problemi», ha dichiarato Angelo Riccaboni, presidente di Fondazione Prima e di Santa Chiara Lab-Università di Siena, ha preso parte al gruppo di lavoro “Uniti nel cibo”, coordinato dall’ambasciatore Giorgio Marrapodi. Marrapodi ha voluto mettere in evidenza le tante buone pratiche italiane: le filiere corte – che aumentano la resilienza agli choc esterni – che si intersecano con le filiere lunghe, la valorizzazione dei prodotti locali che sono un sostegno all’economia dei territori e assicurano la biodiversità, la riduzione degli sprechi, la cultura della preparazione del cibo che ha un grande valore identitario che supera la pura sfera economica.

«Il modello Italia è basato sul rispetto della qualità e della biodiversità. È basato sulla relazione tra produttori, consumatori e grande distribuzione. La nostra agricoltura ha iniziato a ridurre da tempo l’uso di fertilizzanti e pesticidi (il 15% dei terreni sono coltivati in regime biologico, contro una media europea dell’8%), molte aziende hanno provveduto alla riformulazione dei prodotti», ha continuato Riccaboni, ribadendo quanto sia importante educare le persone perché imparino a conoscere i nutrienti e gli ingredienti essenziali di quello che mangiano: in sostanza perché capiscano che se mangiano bene fanno bene a se stessi e alla società. Ma non basta, possiamo e dobbiamo fare di più.

“Uniti nel cibo”, ha spiegato Riccaboni, è un gruppo di lavoro in cui convergono le imprese di produzione, trasformazione e grande distribuzione. Ne è nato un documento che definisce 10 impegni comuni: continuare nell’implementazione dei processi produttivi sostenibili, contribuire all’educazione alimentare, valorizzare la buona cittadinanza d’impresa – cioè essere attori positivi nei propri territori, adottare strumenti per sostenibilità sociale e ambientale della filiera, integrare principi di sostenibilità ambientale all’interno delle politiche aziendali, adottare l’innovazione tecnologica, istituire percorsi di formazione, allinearsi agli obiettivi condivisi anche a livello internazionale, valorizzare le buone pratiche e definire meccanismi di autovalutazione per aiutare le imprese nella transizione, affinché questa non sia vista con preoccupazione, non sia un onere ma un’opportunità.

Il tema sul quale tutti si sono trovati d’accordo è la bocciatura del cibo sintetico e delle dannose semplificazioni delle etichette a colori. Il cibo deve essere naturale, legato alla terra, non deve uscire dai laboratori. Alle spalle della dieta mediterranea c’è la storia, un sistema di vita, territori, persone. Quello che ci penalizza, ha rilevato Marco Pedroni, presidente di ANCC Coop, è «un sistema forte che ci rappresenta, perché sulla qualità non c’è nulla da dire. Il cibo italiano è buono, vario e sostenibile; l’impegno di tutta la filiera agroalimentare è di rendere i prodotti sani accessibili a tutti, specie ora che la pandemia ha generato nuova povertà. Combattiamo piuttosto i semafori nelle etichette che danno informazioni fuorvianti: serve educazione alimentare a mangiare tutto in giusta quantità. Ma per fare questo dobbiamo lavorare insieme».

Il dovere di essere sostenibili

Piero Cardile, responsabile Ufficio Legale Conad ha ricordato che Conad è un sistema formato da imprenditori legato al territorio, che promuove prodotti italiani: i prodotti a marchio Conad vengono dalle PMI del territorio. Il gruppo promuove iniziative di educazione alimentare sostenibile, anche attraverso la trasparenza delle etichette nutrizionali. «La sostenibilità deve essere un dovere per ogni impresa» ha detto Cardile, ricordando che a breve nascerà una fondazione che sosterrà progetti e iniziative sulla sostenibilità: «sarà l’anello di congiunzione tra i nostri valori e la nostra organizzazione economica».

Ha parlato chiaro Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia: «Siamo attaccati per eccesso di successo. I nostri prodotti non sono mai stati così apprezzati, per questo ci attaccano in modo strumentale, siamo i più sostenibili con più qualità. Siamo ugualmente impegnati a migliorare. Siamo secondi al mondo per innovazione e robotica, e l’ambiente si protegge con l’aiuto dell’innovazione e della tecnologia. Però sappiamo che c’è chi vuole produrre in laboratorio, e non dobbiamo temere di denunciare chi sostiene il cibo fake sponsorizzato dalle multinazionali». 

Non è questa l’innovazione a cui guarda l’Italia, ribadisce Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. «Nel 1990 nel mondo eravamo 5 miliardi, nel 2020 siamo arrivati a 7miliardi, nel  2050 saremo 10 miliardi. La sfida è di produrre di più e meglio per dare cibo sano a più persone possibile. Gli agricoltori vogliono essere protagonisti, non si deve demonizzare il cibo naturale e la dieta mediterranea in contrapposizione con il cibo sintetico, bisogna combattere i semafori. Ricerca e innovazione sono sempre più abbinate alla produzione di cibo di qualità. Ricordiamo che la vera ricchezza della cultura alimentare è la varietà».

La produzione di cibo naturale si difende con l’innovazione

Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali e Paolo Glisenti, commissario Expo Dubai 2020 hanno firmato un protocollo di intesa per difendere il Made in Italy. Patuanelli spiega il valore del protocollo: «Andiamo verso un Pianeta con più persone e meno terra coltivabile. L’unico modo per difendere la produzione di cibo naturale è attraverso innovazioni e tecniche colturali nuove, con l’agricoltura di precisione. I prodotti agroalimentari sono la nostra forza, con il valore aggiunto dei prodotti tipici che non sono solo cibo ma cultura, è il cibo che racconta la storia dell’Italia coniugando tradizione e innovazione. Solo con l’innovazione possiamo ridurre l’impatto sull’ambiente continuare a produrre. L’innovazione è strategica: l’agricoltura è antica ma i giovani impiegano le nuove tecnologie per migliorare le produzioni. Agricoltura 4.0 è il motore di un nuovo modo di produrre che incrementerà i posti di lavoro».

Paolo Glisenti ha sottolineato il valore dell’agroalimentare italiano a Expo Dubai 2020: «Portiamo l’innovazione e la sua capacità di rendere distintivi i prodotti italiani a cominciare dall’agroalimentare nell’ambito di una collaborazione internazionale tra istituzioni, filiere di imprese e università nell’area mediterranea. L’innovazione in agricoltura è legata alla transizione ecologica e alla sostenibilità, ma avrà impatto in altri settori come sanità e medicina precisione. L’Italia porterà la sua leadership con i giovani agricoltori 4.0 che saranno oggetto di programmazione istituzionale in ambito europeo. Expo si avvicina, l’innovazione è dovunque, porteremo avanti collaborazioni internazionali tra filiere di imprese anche a livello politico-istituzionale. L’innovazione farà la differenza. Siamo davanti a una disruptive innovation, una innovazione prototipale mai sperimentata prima, come dimostrano 21 tra acceleratori e incubatori anche nel settore agricolo nati negli Emirati in vista di Expo 2020».

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