Le modalità con cui i cambiamenti climatici influiscono sulla resa agricola possono essere spiegate attraverso l’analisi incrociata di dati topografici, climatici e delle condizioni del suolo. Lo dimostra uno studio della Michigan State University condotto sulle colture di mais e soia nel Midwest (USA).
I cambiamenti climatici rendono instabili le colture: nel Midwest, la resa di mais e soia oscilla tra sovra e sottoproduzione
(Rinnovabili.it) – I big data e le nuove tecnologie digitali possono aiutare gli agricoltori ad adattarsi meglio alle minacce, presenti e future, del cambiamento climatico. A dimostrarlo è uno studio condotto dalla Michigan State University e pubblicato su Scientific Reports, il primo del suo genere a confrontare con precisione le caratteristiche del suolo con le variazioni nella resa agricola spazio-temporale dovuta al cambiamento climatico. La ricerca è anche l’unica ad aver impiegato i big data per l’identificazione delle aree agricole in cui il rendimento risulta discontinuo.
Tra il 2006 e il 2017, la variazione della resa agricola nei campi “instabili” a causa del cambiamento climatico è costata agli Stati Uniti una perdita economica quantificata in circa 536 milioni di dollari. Nel Midwest, più di 1/4 delle terre coltivate a mais e soia è instabile e i rendimenti oscillano tra la sovrapproduzione e la sottoproduzione.
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Secondo i ricercatori, la sola analisi del suolo – condotta con classici metodi agronomici – non avrebbe potuto dimostrare con sufficiente precisione le cause di una così drastica variazione nella resa. “In primo luogo – ha spiegato Bruno Basso, professore di Scienze della terra e dell’ambiente della Fondazione MSU e autore principale dello studio – volevamo sapere dove e perché la resa agricola nei raccolti variava così significativamente di anno in anno. Successivamente, era necessario capire se fosse possibile utilizzare i big data per sviluppare e implementare soluzioni rispettose del clima, ma allo stesso tempo in grado di aiutare gli agricoltori a ridurre i costi, aumentare i raccolti e limitare il loro impatto ambientale“.
Attraverso satelliti, droni e suite di sensori geospaziali istallati sulle mietitrebbie, i ricercatori hanno “collezionato” un enorme quantitativo di big data, successivamente analizzati e confrontati. Lo studio ha evidenziato che, nelle aree instabili, le colture rispondono al cambiamento climatico in base all’interrelazione tra topografia, clima e condizioni del suolo. Le variazioni nel terreno (come depressioni, colline e pendii) creano “aree localizzate” dove l’acqua fluisce o ristagna, producendo stress idrico. Almeno i 2/3 di tali aree corrispondono a quelle considerate “instabili”, in cui la resa agricola varia notevolmente di anno in anno. In questo modo, i ricercatori hanno quantificato la percentuale di ogni singola coltura di mais e soia nel Midwest che soffre di stress idrico, scoprendo che la resa in queste aree può essere dal 23 al 33% inferiore rispetto alla media, indipendentemente dalla stagione secca o delle piogge.
“Vogliamo aiutare gli agricoltori a vedere i loro campi in un modo nuovo, a prendere decisioni per migliorarne la resa, ridurre i costi e l’impatto ambientale“, ha detto Basso. “Sapendo che quell’area specifica è per esempio soggetta a carenza idrica, l’utilizzo di fertilizzanti potrà essere pianificato in modo diverso. La quantità di fertilizzante per quest’area dovrebbe essere significativamente inferiore a quella che si applicherebbe in aree della stessa coltura, ma con più acqua a disposizione”.
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