di Isabella Ceccarini
Il mondo dell’agroalimentare continua a manifestare grande preoccupazione per la tenuta dell’intera filiera, come ha espresso il coordinamento di Agrinsieme – che riunisce Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari – in un incontro con il ministro delle Politiche Agricole Alimentare e Forestali, Stefano Patuanelli.
Con lo scoppio della guerra e il folle aumento dei costi dell’energia l’agroalimentare si troverà a pagare in un anno 8 miliardi in più. Un motivo più che sufficiente per spegnere i trattori e tenere in porto i pescherecci.
Agroalimentare, primo settore produttivo italiano
Agrinsieme rappresenta oltre i due terzi delle aziende agricole italiane, ovvero il 60% della produzione agricola e della superficie coltivata, con più di 800mila occupati.
L’agroalimentare è il primo settore produttivo del Paese, un motivo più che sufficiente per sostenerlo con interventi rapidi e mirati al fine di mantenere le imprese competitive.
Positivo e collaborativo il clima dell’incontro: il coordinamento di Agrinsieme intende collaborare con le istituzioni in un momento di grande difficoltà per il Paese e si impegna a fare il possibile per garantire produzioni sufficienti e di qualità utilizzando tutte le superfici disponibili.
«Oggi ci troviamo in una situazione estremamente complessa e purtroppo destinata a peggiorare in ragione delle tensioni geopolitiche in atto. La questione riguarda i cereali, ma anche i semi oleosi» ha sottolineato Massimiliano Giansanti, coordinatore di Agrinsieme e presidente di Confagricoltura.
Pianificare l’immediato e ragionare sul futuro
«Questa drammatica situazione è però anche il risultato di scelte strategiche sbagliate fatte nel passato, che hanno lasciato gli imprenditori agricoli quasi totalmente esposti alle dinamiche di mercato; diventa quindi fondamentale pianificare l’immediato e iniziare a ragionare sul futuro dell’intera agricoltura italiana, a partire dai seminativi».
Agrinsieme sollecita anche la revisione di alcune scelte in campo energetico: «I costi vanno calmierati con appositi interventi dell’esecutivo per garantire un’adeguata produzione di cereali e semi oleosi. Sul gasolio, in particolare, serve una rivisitazione delle aliquote delle accise».
«Guardando all’orizzonte comunitario riteniamo che debba essere temporaneamente sospesa l’adozione della nuova Pac, così come l’obbligo del greening (ovvero il rispetto di tre pratiche benefiche per clima e l’ambiente a cui sono legati i pagamenti diretti: diversificazione delle colture, mantenimento dei pascoli permanenti nelle aziende dove siano presenti, mantenimento o costituzione di aree di interesse ecologico o EFA-Ecological Focus Area); allo stesso modo si renderebbe necessaria una proroga dell’attuazione della strategia Farm to Fork, rivedendola alla luce della situazione odierna».
Per Agrinsieme vanno riviste anche le norme che vincolano o limitano la possibilità produttiva dei campi: oggi abbiamo 1 milione di ettari non coltivati che si potrebbero recuperare e mettere a regime.
Ulteriore, ma non ultimo, il problema della ricerca in agricoltura, che deve riprendere a pieno regime: le varietà riprodotte in Italia devono avere un brevetto italiano, mentre al momento ci approvvigioniamo dalle multinazionali. Sementi come girasole, mais e soia sono frutto della ricerca di altri Paesi.
Bestiame a dieta forzata
I motivi di inquietudine dell’agroalimentare, tuttavia, restano. Coldiretti fa presente che gli allevatori sono stati costretti a tagliare il 10% delle razioni a mucche e maiali, e nonostante questo al momento lavorano in perdita.
Questo provoca ovviamente degli effetti sulle forniture, con la riduzione della produzione di latte, carne, uova e formaggi. Il rischio di non poter garantire l’alimentazione al bestiame, secondo Coldiretti, sta diventando reale.
I primi disagi stanno arrivando anche ai consumatori: il supermercato Unicoop Firenze ha stabilito un tetto per chi compra olio di semi di girasole, farina e zucchero.
Pertanto, al Tavolo grano convocato dal sottosegretario al MIPAAF Gian Marco Centinaio, Coldiretti ha dichiarato la «disponibilità a coltivare da quest’anno 75 milioni di quintali in più di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, per rispondere alle difficoltà di approvvigionamento dall’estero determinate dalla guerra».
Si stanno scontando scelte miopi: si è preferito importare materie prime dall’estero a prezzi concorrenziali piuttosto che produrre in Italia, dove il costo del lavoro è molto alto ma agli agricoltori vengono riconosciuti compensi troppo bassi, che tra l’altro sono rimasti fermi anche a fronte dell’impennata dei prezzi delle materie prime e dell’energia.
È necessario lavorare a contratti di filiera con impegni pluriennali per la coltivazione di grano e mais e il riconoscimento di un prezzo di acquisto equo.
Evitare spopolamento e degrado dei territori
Sottolinea Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, che «la stabilità della rete zootecnica italiana ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale.
Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate, dall’interno alla montagna».
Grande apprezzamento al ministro Patuanelli arriva dal mondo agroalimentare per aver accolto le proposte relative a ristrutturazione e rinegoziazione del debito bancario delle imprese agricole, misure di sostegno alle filiere più esposte e potenziamento delle filiere nazionali.
Inoltre, sottolinea Prandini, «il MIPAAF ha annunciato un regime di aiuto straordinario sul modello dell’emergenza Covid e ha sostenuto l’esigenza, per quanto riguarda la Politica Agricola Comune (PAC), di rimuovere il vincolo al non incremento della superficie irrigabile, per aumentare la produttività del settore agroalimentare».
Una soluzione, questa, che ridurrebbe sensibilmente la nostra dipendenza dall’estero per le forniture agroalimentari. In più, aumentare le superfici coltivate sarebbe anche un ottimo sistema per contrastare l’invasione di fauna selvatica che crea danni enormi.