Posizioni divergenti sulla proposta di revisione della direttiva europea sulle emissioni industriali relativamente alla riduzione dell’inquinamento. Secondo le associazioni italiane di categoria, gli allevamenti non potrebbero sostenere l’aumento dei costi amministrativi e burocratici e sarebbero costretti alla chiusura. La voce europea sostiene il contrario, e vuole che entro il 2050 tutte le attività economiche non siano più inquinanti
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Grande preoccupazione nel settore degli allevamenti. La Commissione Europea ha presentato una proposta per la revisione della direttiva sulle emissioni industriali relativamente alla riduzione dell’inquinamento.
Aumento dei costi burocratici e amministrativi
La direttiva 2010/75/UE attualmente in vigore, che stabilisce norme per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento da attività industriali, riguarda anche gli allevamenti avicoli e suinicoli di maggiore dimensione.
Oggi solo il 5% di tali allevamenti rientra nell’applicazione della direttiva in vigore; in base alle proposte della Commissione si arriverebbe al 50% e le nuove regole riguarderebbero anche gli allevamenti di bovini con più di 150 capi.
In sostanza, la nuova direttiva inasprirebbe gli obblighi esistenti con un aumento dei costi amministrativi e burocratici che le aziende non sarebbero in grado di sostenere, specie quelle che si trovano nelle aree marginali.
Gli allevamenti, secondo la nuova direttiva, sarebbero equiparati agli stabilimenti industriali.
Gli allevamenti rischiano il taglio della produzione
Per il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, «rischiamo un taglio di produzione a livello europeo, aprendo così la strada a maggiori importazioni da Paesi terzi dove le regole sono meno rigorose di quelle valide nell’UE, anche ai fini della sostenibilità ambientale».
Giansanti ribadisce anche con fermezza che «Confagricoltura farà il possibile per contrastare la diffusione delle carni sintetiche».
L’Italia dipende già dall’estero per il latte (16%), la carne bovina (49%) e di maiale (38%). Il rischio di favorire le importazioni da Paesi extra-UE e colpire la produzione nazionale ed europea è quindi reale.
Come ha evidenziato il CREA, gli allevamenti italiani hanno avuto un incremento di costi del 57% e stanno lavorando in perdita; un ulteriore aumento dei costi sarebbe il colpo di grazia che le costringerebbe alla chiusura.
No a insetti e carne sintetica
Anche Coldiretti, che esorta le istituzioni comunitarie al senso di responsabilità per scongiurare la chiusura degli allevamenti italiani, è contraria alla carne sintetica, come sottolinea il presidente Ettore Prandini: «In un momento in cui è sempre più evidente la necessità di puntare sulla sicurezza alimentare e sull’autosufficienza, a Bruxelles si rischia di fare scelte che aprono la strada alla carne sintetica.
La carne italiana nasce da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne».
Puntare sull’innovazione e diminuire la burocrazia
Durissima la posizione della Regione Lombardia, dove si alleva oltre il 50% dei suini italiani, il 25% dei bovini da carne, e si produce il 45% del latte italiano.
Fabio Rolfi, assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi, punta il dito contro Bruxelles che «per interessi economici e per una visione anti-impresa, continua a penalizzare la nostra zootecnia.
È ormai evidente il tentativo dell’Ue di favorire la produzione di carne sintetica e una dieta a base di insetti».
Anche Rolfi chiede il sostegno del Governo italiano e sottolinea che le aziende agricole lombarde – quindi anche gli allevamenti – «stanno facendo investimenti enormi in materia di sostenibilità ambientale.
Bisogna raggiungere gli obiettivi puntando sull’innovazione dei mezzi e delle tecniche di produzione, non stringendo la burocrazia e penalizzando gli imprenditori».
La Direttiva sulle Emissioni Industriali
La Commissione Europea è su posizioni opposte.
Tutte le attività industriali – compresi gli allevamenti intensivi di bestiame – rilasciano nell’atmosfera sostanze nocive per la salute umana, gli ecosistemi e le colture.
Grazie alla Direttiva sulle Emissioni Industriali (IED) del 2010 (attualmente in vigore), negli ultimi 15 anni le emissioni sono molto diminuite, ma non è ancora abbastanza.
Per raggiungere un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente, lo IED prescrive di ridurre le emissioni industriali nocive in tutta l’Unione Europea con un approccio integrato, ovvero le autorizzazioni devono tenere conto dell’insieme delle prestazioni ambientali dell’impianto.
Si valutano pertanto le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, la produzione di rifiuti, l’uso di materie prime, lefficienza energetica, il rumore, la prevenzione degli incidenti e il ripristino del sito al momento della chiusura.
Le condizioni di autorizzazione, compresi i valori limite di emissione, si basano sulle migliori tecniche disponibili (BAT, Best Available Techniques) definite daesperti degli Stati membri, dell’industria e delle organizzazioni ambientaliste con il coordinamento dell’IPCC europeo.
Le nuove misure a integrazione dello IED
Le nuove misure che andrebbero a integrare lo IED prescrivono autorizzazioni più efficaci; più sostegno agli innovatori e agli investimenti che favoriscono l’economica circolare; sinergie tra “disinquinamento” e decarbonizzazione.
Per quanto riguarda gli allevamenti intensivi su vasta scala, «le nuove norme si applicherebbero gradualmente agli allevamenti di bovini, suini e pollame di maggiori dimensioni che rappresentano circa il 13 % delle aziende agricole commerciali europee e che sono responsabili del 60 % delle emissioni di ammoniaca e del 43 % di metano prodotte dal bestiame dell’UE.
Si stima che l’ampliamento dell’ambito di applicazione si tradurrà in benefici per la salute superiori a 5,5 miliardi di euro l’anno.
Tutte le aziende agricole interessate godranno di un regime di autorizzazione più snello, poiché le loro operazioni sono più semplici rispetto a quelle degli impianti industriali.
Gli obblighi derivanti dalla proposta terranno conto, mediante requisiti su misura, delle dimensioni dell’azienda e della densità di bestiame.
La politica agricola comune resta una fonte fondamentale di sostegno alla transizione».
Il registro europeo delle emissioni
Le nuove norme dovrebbero aumentare la trasparenza delle autorizzazioni e la partecipazione pubblica al processo. Il registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti diventerà un portale sulle emissioni industriali nell’UE in cui i cittadini potranno consultare dati sulle autorizzazioni concesse ovunque in Europa e reperire facilmente informazioni sulle attività inquinanti nella loro zona.
Secondo Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, «entro il 2050 le attività economiche nell’UE non dovrebbero più inquinare l’aria, l’acqua e l’ambiente in generale.
Le proposte odierne consentiranno di ridurre notevolmente le emissioni nocive degli impianti industriali e degli allevamenti europei di maggiori dimensioni.
Modernizzare il quadro in materia di emissioni industriali in Europa significa offrire certezze riguardo alle norme future, in modo da orientare gli investimenti a lungo termine, migliorare l’indipendenza europea sul fronte dell’energia e delle risorse e incoraggiare l’innovazione».
Per Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, «con le nuove norme i grandi impianti industriali e gli allevamenti intensivi potranno contribuire a raggiungere l’obiettivo del Green Deal europeo e a concretizzare l’ambizione dell’inquinamento zero.
Questi sviluppi creeranno anche più posti di lavoro, come già dimostrato in passato dal settore UE dell’ecoinnovazione. Le misure che affrontano in modo proattivo le crisi dell’inquinamento, del clima e della biodiversità possono rendere la nostra economia più efficiente e resiliente».