Il rapporto Meat Atlas curato da Friends of the Earth e la Heinrich Böll Stiftung fotografa l’industria globale della carne in tutte le sue sfaccettature: dall’impatto sul clima e sulla biodiversità al sostegno finanziario che riceve, passando per il peso delle multinazionali su diritti sociali, commercio internazionale, deforestazione, conflitti per la terra
Quanto pesano gli allevamenti sul clima?
(Rinnovabili.it) – Le prime 20 multinazionali degli allevamenti al mondo inquinano più di un’economia altamente industrializzata come quella della Germania: 932mila t di CO2 contro 902mila. E le prime 5 – giganti come JBS, Tyson, Cargill, Dairy Farmers of America e Fonterra – producono 578mila t di anidride carbonica, cioè più emissioni di un colosso delle fossili come Exxon (577mila), Shell (508mila) o BP (448mila). Numeri – e un’industria globale – che non sono assolutamente sostenibili. Troppo impatto sul clima. Eppure ricevono miliardi di dollari da aziende, banche e fondi pensione. Aiuti che fanno crescere il mercato (e le sue emissioni).
Lo sottolinea il rapporto Meat Atlas curato da Friends of the Earth e la Heinrich Böll Stiftung: uno sguardo a 360 gradi che con un viaggio di 70 pagine fa luce con dati e informazioni sintetiche e puntuali sull’universo che si cela dietro l’industria globale degli allevamenti. Dal peso dell’export sul clima alle conseguenze dei trattati internazionali come quello tra UE e Mercosur, dall’impatto degli sprechi lungo la filiera alle conseguenze sull’uso del suolo e il tasso di deforestazione, passando per la lezione della pandemia e i pesticidi, il consumo d’acqua e lo strapotere delle multinazionali sulle produzioni locali.
Allevamenti e clima: le emissioni di carne e latte
Partiamo da quello che dovrebbe essere un paradosso, in un’epoca che inizia a prestare attenzione anche a livello politico alle emissioni, alle sue fonti e a come abbatterle. Circa il 90% delle emissioni dei produttori di carne provengono dalla filiera o dagli animali stessi. Tuttavia, spiega il rapporto, “a livello globale, non un solo governo richiede ai produttori di carne di documentare le proprie emissioni o standardizzare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni in modo da consentire confronti all’interno del settore”.
Un buco nero, insomma. Un buco che pesa tantissimo sul clima globale: secondo i dati dell’IPCC, il settore del cibo costituisce tra il 21 e il 37% delle emissioni globali di gas serra. Di questo ammontare, più della metà (56-58%) origina dagli allevamenti: il 45% dalla produzione di mangimi, il 39% dalla fermentazione enterica (metano), un altro 10% dal letame. E contribuisce al riscaldamento globale in modo sproporzionato rispetto al resto del settore alimentare, visto che fornisce solo il 18% delle calorie e il 37% delle proteine.
Una pioggia di finanziamenti
Volumi di questo tipo sono possibili perché sostenuti artificialmente. All’industria globale degli allevamenti, tra il 2015 e il 2020, sono piovuti in tasca qualcosa come 404 miliardi di euro. Per avere un’idea di quanto sia grande questa cifra, basta confrontarla con quella che l’Unione Europea destina alla sua politica agricola comune (quindi non solo all’allevamento) su 7 anni e per 27 paesi: 365 miliardi.
“Il settore ottiene supporto finanziario sotto forma di prestiti, investimenti, obbligazioni, sottoscrizioni e linee di credito rotative, un credito opzionale che le banche concedono alle aziende in caso di necessità”, spiega il rapporto. Solo negli ultimi 5 anni, sono 200 le banche che hanno fatto scorrere fiumi di denaro verso il settore in forma di prestiti, per un ammontare di quasi 150 miliardi di euro. Di queste, più della metà vengono da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Sul podio troviamo BNP Paribas, Barclays e JP Morgan, mentre i fondi di investimento più attivi sono BlackRock, Capital Group e Vanguard. Una situazione che è in forte contraddizione con i requisiti minimi per una finanza sostenibile.
“Il fatto che l’industria della carne continui a trarre profitto durante tutte le crisi pur essendo soggetta a poche regolamentazioni pone la domanda su chi i governi ascoltino davvero”, scrivono gli autori. “Mentre le aziende zootecniche alimentano la crisi climatica, la deforestazione, l’uso di pesticidi e la perdita di biodiversità, e mentre cacciano le persone dalle loro terre, sono ancora supportate e finanziate dalle banche e dagli investitori più potenti del mondo, molti dei quali dall’Europa. Le politiche, d’altra parte, che si tratti del benessere degli animali, del commercio o del clima, includono pochissime restrizioni su questo settore dannoso”.