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All’Oro di Riccardo Di Giacinto: tra biologico e tradizione creativa

All'Oro di Riccardo Di Giacinto
(foto di Ristorante All’Oro)

 

 

(Rinnovabili.it) – È possibile interpretare la tradizione in modo imprevedibile? Riccardo Di Giacinto, patron del ristorante romano All’Oro, lo fa nel suo “Riassunto di carbonara”: una carbonara senza pasta che abbiamo assaggiato a Taste of Roma 2018. Di Giacinto ha avuto il coraggio di scomporre un classico della nostra cucina, ma il risultato è di tale eleganza e leggerezza da meritare un dieci e lode. Nei suoi piatti la tradizione va a braccetto con la creatività, ma non aspettatevi abbinamenti stravaganti a tutti i costi: la sua cucina vi stupirà per la rivisitazione dei classici della cucina italiana in chiave delicata e saporita nello stesso tempo.

La carriera di Riccardo Di Giacinto è costellata di premi e riconoscimenti: dalla stella Michelin alla forchetta del Gambero Rosso al cappello dell’Espresso. È membro dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, un’associazione di giovani ristoratori che associano il talento per la cucina di qualità con la passione per le tradizioni e i prodotti locali.

Nel panorama degli chef stellati, spesso alquanto supponenti, Di Giacinto si caratterizza per umiltà, garbo e disponibilità; parla con grande tenerezza dei suoi genitori e della sua famiglia, e dimostra una sincera attenzione ai clienti, soprattutto per il rapporto umano che ama stabilire con loro.

Il nome del ristorante si riferisce all’alloro – pianta aromatica e robusta – ma è anche una citazione del lavoro che faceva suo padre, l’orefice: un modo per averlo ancora sempre con sé.

 

Com’è nata questa idea così dirompente del “Riassunto di carbonara”?

Nella mia storia professionale c’è tanta trattoria, tanta tradizione: infatti, non a caso, i miei piatti sono ispirati alla tradizione. Non mi piace stupire, mi piace emozionare giocando con la carbonara o l’amatriciana da altre prospettive. Ho vissuto undici anni in giro per il mondo per conoscere e studiare culture alimentari e preparazioni diverse da quelle italiane. Nei nostri piatti non c’è mai un ingrediente anomalo inserito in modo forzato, ma riuscire a emozionare con una cosa buona mi rende felice. Siamo molto attenti ai cambiamenti della società: negli ultimi venti anni la vita è diventata sempre più veloce e frenetica, quindi bisogna pensare alle cotture, alla leggerezza, alla digeribilità. Ormai non ci muoviamo più: l’unico movimento è quello del dito che scorre sullo smartphone. Per questo ritengo che un cuoco moderno debba fare attenzione anche a queste cose, come pure all’evoluzione dei gusti e delle richieste dei clienti: nei nostri locali, infatti ci sono piatti vegani come pure preparazioni per i celiaci.

 

Vedo nel menù anche il pollo alla cacciatora, una tipica pietanza della cucina delle famiglie. Lei, come mi ha detto, ha trascorso molto tempo all’estero (ha fatto esperienza, tra l’altro, da Ferran Adriá e Marco Pierre White). Qual è stato il motore del rientro? Affettivo, perché legato al suo paese e alla sua famiglia, o perché ritiene che in Italia la ristorazione di alto livello sia apprezzata più che altrove?

L’alta cucina tira anche all’estero: ho vissuto a Londra, Hong Kong e Barcellona e forse all’estero ci sono addirittura condizioni migliori e più semplici per avviare un’attività. Il motivo del mio rientro è stato prettamente affettivo: nel 2003 è mancato mio papà, mia mamma era rimasta sola e non me la sono sentita di ripartire. Nel 2007 abbiamo aperto All’Oro e  adesso abbiamo quattro locali e un hotel tra il centro e Prati. Per poterli seguire con cura abbiamo cercato di organizzarci in modo che fossero tutti vicini, perché la città è dispersiva. Io sono di Monterotondo, ad appena 23 km da Roma, ma la mattina ci metto più di un’ora e mezzo per arrivare.

 

I ritmi del suo lavoro sono molto intensi, riuscire a coniugarli con una famiglia è un esercizio di equilibrismo: per questo sono ancora più numerosi gli chef  uomini?

È un lavoro estremamente duro, anche se poi le colleghe che riescono a sfondare sono davvero in gamba. Forse si tratta più di una “selezione naturale”, specialmente nelle grandi cucine occorre una buona resistenza fisica.

 

Lei aveva una tradizione familiare a cui ispirarsi?

Mio papà era orefice, quindi lavorava in un campo completamente diverso dal mio.

 

E come le è nata questa passione?

Andavo male a scuola, mio padre si è arrabbiato e senza troppi complimenti mi ha detto “devi andare a lavorare”, così sono andato da un amico ristoratore. Oggi anche i bambini dicono che da grandi vogliono fare gli chef, ma io le parlo di venticinque anni fa, quando fare il cuoco non era sicuramente in cima ai desideri di un ragazzo. Dopo qualche mese di lavoro in questo ristorante, sono andato da mio padre e gli ho detto che volevo fare il cuoco: a casa mia questa notizia è stata presa come una tragedia, sembravo il figlio scemo. Lui avrebbe voluto mandarmi ad Amsterdam a fare il tagliatore di pietre. La cosa che mi dispiace davvero è che lui sia morto prima che io prendessi la stella Michelin (a 28 anni, ndr), ma sono sicuro che oggi sarebbe contento e da lassù qualche dritta me la dà.

 

Il successo di un ristorante quanto dipende dallo chef e quanto dalle materie prime che usa?

Le materie prime incidono per l’80%. Anche se sei lo chef migliore del mondo, con materie prime scadenti potrai ottenere un piatto appena sufficiente, ma certo non di più. La nostra filosofia intende esaltare la qualità di materie prime eccellenti, che preferiamo biologiche e del territorio: la nostra passata di pomodoro, ad esempio, è biologica, così come le marmellate. Non usiamo aromi di sintesi né additivi chimici. Nei nostri menù c’è la pasta Verrigni, biologica certificata. Anche per quanto riguarda le cotture usiamo tecniche in grado di conservare sapori e aromi degli alimenti con grande attenzione alla leggerezza e alla digeribilità. Il nostro obiettivo è coccolare il cliente, farlo sentire a casa, con la sicurezza di alimentarsi in modo sano e bilanciato.

 

Lei e sua moglie Ramona Anello lavorate insieme, suppongo che non sia solo un’ispiratrice ma una presenza concreta nel raggiungimento del suo successo.

Ramona è una collaboratrice preziosa: lavora a tutto campo nell’organizzazione e nella comunicazione, e la sera in sala. In più, essendo sommelier, ci aiuta nella scelta dei vini.

 

Cosa differenzia i suoi locali?

Da Madre le cucine spagnola e sudamericana si legano a quella italiana spaziando da ceviche (pesce crudo marinato), parrilla (grigliata all’argentina) e tortillas per arrivare alla pizza con impasto rigorosamente con pasta madre, MadeIterraneo è un ristorante che offre proposte sui sapori e le tradizioni gastronomiche dei paesi del Mediterraneo, Up Sunsetbar è una terrazza panoramica aperta dalla colazione alla cena. All’Oro, cuore pulsante di tutte le attività, è un ristorante stellato. Infine, The H’All Tailor Suite è un hotel a 5 stelle. Sicuramente non ci annoiamo!

 

A quale si dedica di più?

Di giorno cerco di essere presente nei vari locali. La sera l’80% dei servizi sono All’Oro, che è il locale di punta, il ristorante dove riesco anche a costruire rapporti umani con clienti appassionati che amo seguire personalmente.

 

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