Sugar Tax e obesità, da sola non basta
Di dolce c’è solo il nome, ma la Sugar Tax lascia l’amaro in bocca a molti, sebbene per motivi opposti. Anche se è stato deciso di rinviarne l’applicazione a luglio 2025, si tratta pur sempre di una nuova tassa. Chi andrà a colpire? È una tassa giusta? Stiamo parlando di una proposta introdotta dal Governo Conte 2 con la Legge di Bilancio 2020, che però ha subito vari rinvii con tutti i governi successivi.
Bibite analcoliche zuccherate
La Sugar Tax viene applicata a tutte le bibite analcoliche che contengono zucchero. Questo significa che non si limita a colpire le bibite gassate zuccherate di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati, ma riguarda anche i succhi di frutta o altre bevande dolcificate. L’obiettivo della Sugar Tax sarebbe quello di scoraggiare l’acquisto di qualcosa che proprio salutare non è.
Da tempo i nutrizionisti e gli scienziati sconsigliano il consumo delle bevande zuccherate, poiché contribuiscono all’insorgere del diabete, dell’obesità e di altre patologie ad essa correlate. L’obesità, infatti, è una vera e propria malattia – e come tale va trattata – che pesa sui costi sanitari.
L’allarme degli scienziati non è infondato. Proprio l’Italia, patria della Dieta Mediterranea, ha il più alto tasso di persone obese (9,4%) e sovrappeso (40%) in Europa. I dati del Ministero della Sanità parlano molto chiaro, e un dato preoccupa in modo particolare: il 20,4% dei bambini è obeso. Ovvio che non dipenda tutto dalle bevande zuccherate, la colpa è anche di cattive abitudini alimentari. Ma resta il fatto che cibi ultraprocessati e bevande zuccherate danno un bel contributo.
L’aspra discussione in corso, tuttavia, non verte tanto sulla salute delle persone quanto sul profitto. La Sugar Tax ricadrà sulle spalle dei produttori, degli importatori e alla fine dei consumatori. L’importo è di 5,00 euro per ettolitro di prodotto finito, che aumenterà a 10 euro nel 2026, e di 0,25 euro per chilo nel caso di prodotti da utilizzare previa diluizione.
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Sul fronte del no alla Sugar Tax si schierano i produttori
Assobibe, che riunisce le imprese che producono e vendono bevande analcoliche, ritiene che aumenti la pressione fiscale, scoraggi gli investimenti e quindi freni la competitività e la crescita. Inoltre, la contrazione delle vendite metterà a rischio 5.500 posti di lavoro nell’intera filiera e avrà un impatto recessivo sui territori che producono le materie prime per il settore.
Confagricoltura si è sempre dichiarata contraria alla Sugar Tax, ritenendo che avrebbe avuto un impatto fortemente negativo sulle imprese agroalimentari, sull’occupazione e sui consumatori, che avrebbero visto aumentare il prezzo del prodotto finale.
Dello stesso avviso Coldiretti: «La Sugar Tax va a colpire l’agroalimentare italiano senza avere effetti positivi sulla salute dei cittadini consumatori. Oltre a penalizzare le imprese già gravate dall’aumento dei costi di produzione, la tassa peserebbe soprattutto sulle tasche delle famiglie con minori disponibilità economiche».
Per Federalimentare la Sugar Tax «è una misura depressiva per l’industria alimentare e per l’economia del Paese, e non aiuta a combattere l’obesità e le malattie non trasmissibili». Il rinvio, pertanto, «è una vittoria del buon senso e della scienza contro l’ideologia, a vantaggio dei consumatori e delle imprese». Federalimentare, inoltre, auspica che una discussione approfondita porti all’abolizione definitiva «di una tassa ideologica che non ha concreti effetti positivi sulla salute pubblica ma crea solo distorsioni alle libere scelte dei consumatori, così come avviene per il Nutriscore».
Consumo di zucchero e salute
E la salute? Secondo Assobibe, la fonte principale di zuccheri non sono le bevande analcoliche zuccherate (l’Italia è all’ultimo posto in Europa per consumo medio pro capite), ma diete sbagliate e stili di vita non corretti.
Pertanto, per Assobibe la Sugar Tax non ha senso perché colpisce solo le bevande analcoliche, ma non il consumo di zucchero, molto superiore, negli alimenti.
D’istinto si pensa subito a biscotti e merendine, invece lo zucchero “insospettabile” è presente in prodotti come cereali per la colazione, yogurt, conserve di pomodoro, panatura di alimenti confezionati, aceto balsamico, pancarrè. Per non parlare di birra, vino e liquori.
In Italia, il consumo di bevande zuccherate è diminuito del 20% negli ultimi dieci anni. Inoltre, sottolinea Assobibe, la riduzione di zucchero negli alimenti è già scesa del 41%, grazie a un protocollo siglato dai produttori con il Ministero della Sanità.
Anche l’OMS ritiene che la Sugar Tax possa avere un effetto vantaggioso per la salute in quanto scoraggia il consumo di bevande zuccherate, ma raccomanda comunque l’adozione di stili di vita sani.
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Sugar Tax, il caso del Regno Unito
Alcuni paesi europei hanno già introdotto la Sugar Tax (Belgio, Finlandia, Francia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Monaco, Norvegia, Portogallo).
Una tassa analoga esiste anche nel Regno Unito dal 2018. Uno studio britannico (Associations between trajectories of obesity prevalence in English primary school children and the UK soft drinks industry levy: An interrupted time series analysis of surveillance data, pubblicato in “PLOS Medicine”) è partito dal presupposto che le bevande zuccherate sono i primi zuccheri aggiunti nella dieta dei bambini.
La ricerca ha monitorato oltre 1 milione di bambini delle scuole primarie statali nell’età 4-5 anni e 10-11 anni prima dell’entrata in vigore della tassa e dopo. Inoltre, ha rilevato che il consumo di bevande zuccherate è più elevato nelle aree più svantaggiate, e corrisponde anche a un maggiore tasso di obesità.
Obesità e altre patologie
Posto che il tasso di obesità infantile nel Regno Unito è rispettivamente di circa 10% (4-5 anni) e 20% (10-11 anni), i bambini obesi soffrono anche di altre patologie come ipertensione, diabete di tipo 2, depressione.
Si è osservato un calo dell’obesità dell’8% nelle ragazze di 10-11 anni, mentre nei maschi e nella fascia 4-5 anni la situazione è rimasta immutata. In pratica, ogni anno il Regno Unito registra 5.234 casi di obesità in meno tra le ragazze. La variazione maggiore è stata osservata per il 40% tra le ragazze delle aree più disagiate.
Pertanto, lo studio ritiene che la tassa non abbia cambiato radicalmente il quadro generale. Come dire che funziona, ma da sola non basta.