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Cibo in orbita: come funziona lo space-farming

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via depositphots

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Space-farming. Rendering 3D. Via depositphots

di Daniela Maurizi

Space-farming, ultima frontiera agro-alimentare

I cambiamenti climatici e la conseguente scarsità di risorse stanno mettendo ormai da anni alla prova scienziate e scienziati per trovare soluzioni alternative all’agricoltura tradizionale, che possano sopperire alla crisi cui assistiamo costantemente. Una delle frontiere più all’avanguardia in questo senso è sicuramente lo space-farming, vale a dire la coltivazione in orbita di piante e ortaggi. Si tratta di una vera e propria sfida che impegna tecnici di tutto il mondo, ma che sta facendo enormi passi in avanti. Vediamo insieme di cosa si tratta e quali sono le reali prospettive per il futuro.

L’importanza dell’astrobotanica

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’astrobotanica non è una disciplina di recente formazione. Per l’esattezza, questo termine fu usato per la prima volta nel 1954 dallo scienziato Gavriil Adrianovich Tikhov, un vero pioniere della materia. In quanto branca derivata dalla botanica e imparentata con l’astrobiologia, l’astrobotanica si preoccupa di studiare il comportamento delle piante in ambienti extra-terrestri. È proprio grazie a essa se si è arrivati a vagliare la possibilità di coltivare piante in ambienti controllati collocati nelle stazioni spaziali in orbita. 

È una sfida più grande di quanto si possa pensare, poiché – affinché lo space-farming sia possibile – è necessario creare una condizione di microgravità, in assenza di peso ma pressurizzato. In Italia, il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ed Europea (ESA), è impegnata da oltre vent’anni nello studio di questi sistemi di coltivazione in orbita. Quello che ad oggi è stato creato sono camere di crescita che simulano parametri ambientali terrestri ideali, per cui le piante riescono a svilupparsi anche in condizioni di microgravità.

I benefici di questo tipo di coltivazioni sono molteplici e non riguardano solo la sostenibilità:

  1. Sono innanzitutto fondamentali per tenere in buona salute fisica gli astronauti e le astronaute nelle missioni di lunga durata, consentendo loro di avere anche pasti freschi e non solo liofilizzati;
  2. Sono l’anticamera per tentare forse un giorno la coltivazione sul suolo di altri pianeti, andando a sgravare la Terra dall’enorme richiesta di risorse di cui attualmente l’umanità necessita;
  3. Limitano i consumi legati al trasporto di materie prime, sia in termini economici che di spazio, diminuendo drasticamente la quantità di approvvigionamenti necessari;
  4. Ultimo punto, ma non meno importante, è la componente psicologica, che riguarda il benessere delle astronaute e degli astronauti: come fiori e piante rallegrano la nostra giornata sulla Terra, lo stesso vale per le missioni in orbita.

Un nuovo ecosistema nello spazio

La Terra offre tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere insieme alle piante e agli animali del nostro pianeta. Quando si parte per una missione spaziale, tantissime di queste componenti vitali vengono meno. L’ideale sarebbe poter portare in orbita l’ecosistema terrestre per sopravvivere nel duro vuoto dello spazio; ovviamente non è possibile, ma gli scienziati della NASA e dell’ESA stanno mettendo a punto dei metodi per riprodurre il nostro ecosistema nella maniera più fedele possibile.

Un esempio è il progetto MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative), che impegna l’ESA da oltre trent’anni. Esso studia i sistemi di supporto vitale rigenerativi, che mirano al massimo grado di autonomia e quindi a produrre cibo, acqua e ossigeno dai rifiuti della missione. Mettendo a punto il modo in cui cellule microbiologiche, sostanze chimiche, catalizzatori, alghe, batteri e piante interagiscono tra loro, l’ESA mira a elaborare i rifiuti per fornire forniture infinite di ossigeno, acqua e cibo. In certa misura questo già avviene: infatti, l’acqua potabile sulla Stazione Spaziale Internazionale viene trattata dall’urina, dalla condensa e da altre fonti, ma il sistema ha ancora bisogno di rifornimenti regolari e di filtri freschi. L’obiettivo è un sistema di supporto vitale chiuso in grado di riciclare aria, acqua e rifiuti, producendo al contempo acqua potabile e cibo.

Oltreoceano, la NASA sta studiando un modo per fornire agli astronauti frutta e verdura fresche. La sfida è come farlo in un ambiente chiuso, senza luce solare o gravità terrestre, dal momento – come abbiamo detto – non siamo in grado di portare in orbita l’ecosistema terreste.  Per tentare di raggiungere questo scopo, la NASA ha dato vita a “Veggie”, un orto spaziale che risiede sulla stazione spaziale internazionale (ISS). Lo scopo di Veggie è quello di studiare la crescita delle piante in microgravità, aggiungendo al contempo cibo fresco alla dieta degli astronauti e migliorando la felicità e il benessere sul laboratorio orbitante. 

Il meccanismo che risiede dentro questo “orto spaziale” è affascinante: ogni pianta cresce in un “cuscino” riempito con un substrato di crescita a base di argilla e fertilizzante, che aiutano a distribuire l’acqua, i nutrienti e l’aria in un sano equilibrio intorno alle radici. Ad oggi, “Veggie” ha coltivato con successo una varietà di piante, tra cui tre tipi di lattuga, cavolo cinese, senape, cavolo rosso russo e fiori di zinnia. Alcune di queste piante sono state raccolte e mangiate dai membri dell’equipaggio, mentre i campioni rimanenti sono tornati a Terra per essere analizzati. 

Batteri spaziali?

Una delle preoccupazioni era la crescita di microbi nocivi sui prodotti. 

Anche se al momento non si osservano conseguenze negative sulla salute degli astronauti, uno studio di recente pubblicazione ha svelato come la microgravità simulata faciliti l’ingressione stomatica da parte di Salmonella nella lattuga. Quello che viene affermato è che, a bordo della ISS, sono presenti patogeni alimentari noti e la lattuga coltivata nello spazio è stata colonizzata da un microbioma eterogeneo che comprende generi batterici noti per contenere patogeni umani.

I risultati dello studio, quindi, evidenziano i potenziali problemi di sicurezza alimentare legati al volo spaziale, unici nella produzione di colture in condizioni di microgravità. Tuttavia, né la NASA né l’ESA ha fatto dichiarazioni in questo senso, anzi: finora non è mai stata rilevata alcuna contaminazione nociva e il cibo è risultato sicuro (e piacevole) per l’equipaggio. In conclusione, vediamo come lo space-farming sia una pratica tutta ancora in divenire e – con le dovute accortezze legate alla sicurezza alimentare – promette risultati sorprendenti ed entusiasmanti.

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