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L’olio extravergine di oliva si riconosce dal DNA

Immagine di wirestock su Freepik

Olio extravergine di oliva, il DNA contro le frodi

L’olio extravergine di oliva si può riconoscere dal DNA? Sembra proprio di sì, a giudicare da una ricerca dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Perugia. I ricercatori del CNR hanno messo a punto i marcatori basati sul DNA grazie ai quali è possibile riconoscere le diverse varietà di olivo.

Le caratteristiche dell’olio extravergine di oliva

L’olio extravergine di oliva si ottiene dalla spremitura delle olive con processi meccanici e fisici, senza l’aggiunta di solventi o prodotti chimici.

Per essere classificato extravergine, l’olio di oliva deve rispondere a precisi parametri di qualità. Infatti, quelli in commercio vengono periodicamente analizzati per verificare che corrispondano ai parametri dichiarati in etichetta. Alcuni tipi hanno ottenuto il marchio Dop o Igp.

Le caratteristiche dei diversi oli dipendono dalle varietà, dal territorio e dal processo di estrazione. Ne derivano pertanto diversi tipi di olio che si distinguono in base alla composizione, alle caratteristiche organolettiche e al valore commerciale.

La caratteristica varietale ed eventuali sofisticazioni si possono scoprire solo con l’analisi del DNA.

Cosa evidenzia il DNA?

L’olio extravergine di oliva è uno dei prodotti più soggetti alle adulterazioni, vere proprie truffe che causano danni ai produttori e ai consumatori. I danni economici per i produttori sono ingenti, dal momento che è uno dei prodotti più apprezzati – in Italia e nel mondo – dell’agroalimentare italiano.

Per i consumatori rappresentano un danno alla salute per almeno due motivi: il primo è che le adulterazioni dell’olio sono fatte con ingredienti non sicuri, il secondo è che l’olio extravergine di oliva ha ben precise proprietà nutraceutiche.

Infatti, è la punta di diamante della Dieta Mediterranea per le sue virtù benefiche.

Grazie ai marcatori del DNA è possibile scoprire se si ha a che fare con un prodotto puro o con uno tagliato con altri ingredienti.

Le adulterazioni sono vere truffe

La frode più comune, e in un certo senso la più “innocua”, consiste nel mescolare all’olio extravergine di oliva altri oli di qualità inferiore.

Nei casi peggiori, la miscela prevede l’impiego di oli non commestibili ­ – come l’olio di sansa (ovvero il residuo del processo di lavorazione delle olive per l’estrazione dell’olio) o il lampante (caratterizzato da difetti organolettici e da un’acidità elevata, deve il suo nome al fatto che in passato si usava per le lampade a olio) – che devono essere sottoposti a un processo di rettifica chimica, ma rimangono comunque ai limiti della commestibilità.

Sia gli olivicoltori che le industrie olearie possono rilevare le frodi grazie ai marcatori basati sul DNA. Per i primi è utile se vogliono autocertificare il loro prodotto per esportarlo dove è richiesta una “carta di identità del prodotto; per le seconde serve ad accertare la composizione varietale delle partite di olio extravergine di oliva che acquistano per venderlo con il proprio marchio.  

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