Olio extravergine di oliva, il DNA contro le frodi
L’olio extravergine di oliva si può riconoscere dal DNA? Sembra proprio di sì, a giudicare da una ricerca dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Perugia. I ricercatori del CNR hanno messo a punto i marcatori basati sul DNA grazie ai quali è possibile riconoscere le diverse varietà di olivo.
Le caratteristiche dell’olio extravergine di oliva
L’olio extravergine di oliva si ottiene dalla spremitura delle olive con processi meccanici e fisici, senza l’aggiunta di solventi o prodotti chimici.
Per essere classificato extravergine, l’olio di oliva deve rispondere a precisi parametri di qualità. Infatti, quelli in commercio vengono periodicamente analizzati per verificare che corrispondano ai parametri dichiarati in etichetta. Alcuni tipi hanno ottenuto il marchio Dop o Igp.
Le caratteristiche dei diversi oli dipendono dalle varietà, dal territorio e dal processo di estrazione. Ne derivano pertanto diversi tipi di olio che si distinguono in base alla composizione, alle caratteristiche organolettiche e al valore commerciale.
La caratteristica varietale ed eventuali sofisticazioni si possono scoprire solo con l’analisi del DNA.
Cosa evidenzia il DNA?
L’olio extravergine di oliva è uno dei prodotti più soggetti alle adulterazioni, vere proprie truffe che causano danni ai produttori e ai consumatori. I danni economici per i produttori sono ingenti, dal momento che è uno dei prodotti più apprezzati – in Italia e nel mondo – dell’agroalimentare italiano.
Per i consumatori rappresentano un danno alla salute per almeno due motivi: il primo è che le adulterazioni dell’olio sono fatte con ingredienti non sicuri, il secondo è che l’olio extravergine di oliva ha ben precise proprietà nutraceutiche.
Infatti, è la punta di diamante della Dieta Mediterranea per le sue virtù benefiche.
Grazie ai marcatori del DNA è possibile scoprire se si ha a che fare con un prodotto puro o con uno tagliato con altri ingredienti.
Le adulterazioni sono vere truffe
La frode più comune, e in un certo senso la più “innocua”, consiste nel mescolare all’olio extravergine di oliva altri oli di qualità inferiore.
Nei casi peggiori, la miscela prevede l’impiego di oli non commestibili – come l’olio di sansa (ovvero il residuo del processo di lavorazione delle olive per l’estrazione dell’olio) o il lampante (caratterizzato da difetti organolettici e da un’acidità elevata, deve il suo nome al fatto che in passato si usava per le lampade a olio) – che devono essere sottoposti a un processo di rettifica chimica, ma rimangono comunque ai limiti della commestibilità.
Sia gli olivicoltori che le industrie olearie possono rilevare le frodi grazie ai marcatori basati sul DNA. Per i primi è utile se vogliono autocertificare il loro prodotto per esportarlo dove è richiesta una “carta di identità del prodotto; per le seconde serve ad accertare la composizione varietale delle partite di olio extravergine di oliva che acquistano per venderlo con il proprio marchio.