di Angelo Riccaboni
In tempi di Covid, la percezione generale è che sia meglio affrontare SARS-CoV-2 nelle città più piccole o nelle aree rurali, dove le famiglie hanno a disposizione spazi verdi più ampi e qualche metro quadrato di libertà in più.
Se a questa sensazione si affianca l’accresciuto ricorso allo smart working, ne consegue inevitabilmente che un numero crescente di persone stia mettendo in discussione la necessità di vivere e lavorare nei grandi agglomerati urbani.
In merito a tale nuova tendenza si è attivata una riflessione molto partecipata, secondo cui per invertire l’inerzia che stava portando le famiglie nelle città più grandi, vanno affrontate molteplici tematiche inerenti ai rapporti di lavoro, all’urbanistica, ai servizi culturali, educativi, sanitari e di trasporto e al modo di concepire le relazioni sociali.
Se si vuole che tale trasformazione porti veramente benessere occorre affrontare, però, anche un’altra questione, che forse viene prima di tutte: creare le condizioni affinché gli agricoltori, da sempre i più fedeli custodi di tali aree, ottengano un’equa redditività dalle loro attività, generando così, intorno all’agricoltura, un convincente sviluppo economico e sociale locale.
Senza giusta profittabilità, gli agricoltori tendono ad abbandonare le attività rurali e a spostarsi verso le città, mentre senza vivacità economica e sociale, il vivere nei borghi e nelle campagne perde molto del suo fascino. In tale situazione, chi decide di lasciare le aree metropolitane si troverebbe in borghi ‘fantasma’ e ‘aree deserte’, dai quali probabilmente scapperebbe ben presto.
Il settore agroalimentare del nostro Paese ha sicuramente interessanti potenzialità economiche, connesse alla valorizzazione dei prodotti tipici e, più in generale, allo sfruttamento dei legami con il territorio.
Nello scenario apertosi con la pandemia, peraltro, l’interesse generale nei confronti del settore agroalimentare si è sicuramente rafforzato. Covid19 ha definitivamente comprovato la stretta relazione fra cibo, salute personale e sostenibilità del Pianeta e l’importanza della produzione nazionale per la sicurezza delle forniture alimentari.
Tali premesse però non si stanno dimostrando sufficienti per garantire la prosperità delle imprese e delle aree rurali. A tal fine occorrono puntuali investimenti pubblici e cambiamenti nel modo di fare impresa.
Per portare redditività e sviluppo nelle aree rurali sono necessari innanzitutto investimenti strutturali che aiutino ad elevare le caratteristiche sociali e competitive del contesto rurale, attraverso la piena connessione digitale, il superamento delle situazioni di eccessivo isolamento fisico, la costruzione delle necessarie infrastrutture logistiche e l’accesso a servizi sanitari ed educativi della stessa qualità del resto della popolazione.
Per sfruttare le potenzialità economiche del settore, un fattore cruciale è rappresentato dall’innovazione tecnologica e organizzativa, nella consapevolezza che questo richiede anche un cambiamento del sistema di valori e nella cultura degli imprenditori.
Il permanere di dimensioni assai limitate nelle imprese del settore e la scarsa integrazione verticale e orizzontale delle filiere e, più in generale, del comparto agroalimentare rendono difficile l’accesso all’innovazione e il pieno sfruttamento delle notevoli potenzialità e della diversità del patrimonio agroalimentare italiano. Politiche di incentivazione fiscale e la creazione di nuovi meccanismi di relazione fra aziende agroalimentari e centri di ricerca possono fornire un contributo essenziale per superare tali criticità.
Vanno inoltre promosse ulteriori forme di reddito per gli imprenditori agricoli attraverso la diversificazione delle attività economiche, mettendo in più stretta relazione, nei singoli territori, agricoltura, zootecnia, silvicoltura, turismo, eno-gastronomia e altre possibili attività economiche. Vanno altresì sfruttate le opportunità che possono discendere dalla connessione fra filiere eterogenee, in una logica di bioeconomia circolare.
Per l’evoluzione del comparto e l’induzione dell’innovazione, un ruolo centrale è svolto anche dalla capacità delle istituzioni pubbliche nel definire e gestire i programmi di sviluppo rurale, e dall’efficacia delle politiche fiscali a supporto degli investimenti nel settore.
Per un’agricoltura profittevole è infine essenziale modificare i rapporti di forza fra gli attori della filiera, per evitare che gli agricoltori vengano eccessivamente svantaggiati rispetto agli operatori più vicini al consumatore. A tal fine, è essenziale che fra le fasi di produzione e quelle di trasformazione si passi da una logica di competizione ad una di forte cooperazione, anche attraverso la definizione di contratti di fornitura più equi e la condivisione delle pratiche tecnologiche più innovative.
Le condizioni perché ci sia veramente una rivitalizzazione delle campagne, dunque, non sono di facilissima realizzazione. Ci troviamo, però, allo stesso tempo, di fronte ad un’occasione unica. Quella in cui il Paese può decidere se il futuro debba essere caratterizzato dal vivere in aree sempre più ristrette, consapevoli dei relativi vantaggi in termini di sviluppo sostenibile, connessi dal gestire in maniera ravvicinata i servizi ai cittadini e le risorse naturali, e degli svantaggi derivanti dal tutelare meno efficacemente le nostre campagne; oppure se la nostra resilienza vada basata su una più ampia distribuzione della popolazione nel territorio.
Il Santa Chiara Lab e Rinnovabili.it su queste tematiche vogliono promuovere un confronto con imprenditori, ricercatori, esperti, intellettuali, amministratori, per comprendere vantaggi e ostacoli, e possibili soluzioni, rispetto ad una trasformazione che potrebbe aprire interessanti orizzonti non solo per la società e l’economia ma anche per la salute e l’ambiente del nostro Paese.