Dal campo alla tavola, l’agroalimentare supera il 15,2% del Pil
(Rinnovbabili.it) – L’agroalimentare è uno dei settori che soffre maggiormente dell’attuale situazione di instabilità economica. Il susseguirsi di eventi drammatici a livello geopolitico ha agito da moltiplicatore del generale clima di incertezza. L’agroalimentare italiano, in particolare, ha un ruolo basilare nell’economia del Paese sia perché fornisce beni indispensabili alla vita e alla salute delle persone, sia perché dipende dall’estero per l’approvvigionamento energetico e per alcune materie prime. Per questa ragione è un settore produttivo particolarmente vulnerabile alle tensioni internazionali.
L’inflazione alza i prezzi dei prodotti alimentari
L’ultimo Rapporto ISMEA 2023 sull’agroalimentare italiano evidenzia il contributo dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari alla crescita dell’inflazione. La crescita media dei prezzi (misurata dall’indice Istat per i prodotti alimentari, bevande e tabacco) in Italia ha raggiunto l’8,1% (con un picco del 12% a marzo), ma è rimasta sotto alla media dell’UE (10,2%) e dell’Eurozona (9%).
Il migliore andamento della Francia (6%) è dovuto alla sua maggiore autosufficienza sia alimentare che energetica, che le ha permesso di risentire meno degli aumenti internazionali.
Il reddito medio pro capite italiano è inferiore alla media UE; questa situazione, sommata all’inflazione, ha eroso il potere di acquisto delle famiglie colpendo in particolar modo quelle più deboli.
Cresce la spesa e calano i consumi
L’impatto sugli acquisti alimentari domestici è stato significativo. Nel 2022 i consumi sono diminuiti 3,7% con un aumento di spesa del 5%: ovviamente l’esigenza del risparmio ha guidato gli acquisti e ne ha rimodulato le scelte.
La necessità di fare fronte a un aumento generale delle spese per la casa e le utenze domestiche ha ristretto il budget per l’alimentazione (non è un caso che nello stesso periodo ci sia stato uno spostamento di spesa dai supermercati ai discount).
L’industria alimentare ha avuto un decennio di crescita nel periodo 2012-2022, l’agricoltura invece è stata penalizzata dagli effetti del cambiamento climatico, tra siccità e alluvioni. Questo ha portato a una retrocessione dell’Italia al terzo posto nella graduatoria della produzione agricola, alle spalle di Francia e Germania; nel 2021, dopo aver mantenuto il primato del valore aggiunto per un decennio, ha dovuto cedere il posto alla Francia.
La mancanza di giovani penalizza l’agroalimentare
Un elemento che gioca a sfavore dell’agroalimentare italiano è la bassa presenza di giovani imprenditori (9%, contro una media UE del 12%), a cui si accompagna la scarsa formazione di chi guida la maggioranza delle aziende agricole.
Inoltre, il tessuto produttivo rimane frammentato, nonostante sia aumentata la superficie agricola aziendale (ricordiamo che gran parte delle aziende agricole italiane è di dimensioni piccole/molto piccole o medie).
L’industria alimentare è al terzo posto in Europa con circa il 12% del valore aggiunto totale, dopo Germania e Francia ma prima della Spagna.
Abbiamo il primato dell’industria pastaria, che supera il 73% del fatturato UE; bene anche vino (28%), prodotti da forno e biscotti (21%), come pure ortofrutticoli trasformati, industria del caffè, del tè e delle tisane, industria molitoria e del riso.
Nel complesso, il valore aggiunto della filiera agroalimentare nel 2022 ha raggiunto i 64 miliardi di euro (37,4 nel settore agricolo e 26,7 nell’industria alimentare) che corrispondono al 3,7% del valore aggiunto dell’economia italiana.
Inglobando anche distribuzione e ristorazione il valore arriva al 7,7%; se si considerano anche trasporti, logistica e intermediazione il valore dell’agroalimentare, dal campo alla tavola, supera il 15,2% del Pil.