(Rinnovabili.it) – L’agricoltura sostenibile non fa bene solo all’ambiente. Chi oggi investe nella sostenibilità ottiene vantaggi economici e di mercato, è più resiliente e competitivo, ed è in grado di portare valore al territorio e alla comunità. Uno scenario win-win i cui risultati parlano da soli. Ed è proprio a partire da questi risultati che Agrifood Forum 2023, l’evento digitale di Rinnovabili.it dedicato all’agroalimentare italiano, è partito per definire un nuovo modello di sviluppo. Un modello inclusivo, replicabile, attento all’ambiente e alle persone in ugual misura. L’appuntamento, giunto alla sua terza edizione, ha indagato quanto la sostenibilità rappresenti oggi un vantaggio per l’agroalimentare nazionale e in che termini, dedicando un focus specifico al valore sociale.
Agricoltura sostenibile come mezzo di competitività
“Uno dei più intelligenti ambientalisti italiani, Alexander Lange, alcuni decenni disse: ‘la conversione ecologica si potrà affermare soltanto quando apparirà socialmente desiderabile’”, ha esordito Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola. “Questo significa quando produrrà lavoro, identità, difenderà le comunità”. Una premessa che vale soprattutto per l’ambito agricolo e che, in parte, si sta già verificando. Nel corso degli anni molte imprese e settori economici hanno fatto una serie di investimenti nella sostenibilità (dettati dalla necessità più che da un’alta sensibilità) che ci hanno portato avanti rispetto ad altre nazioni. Basti pensare all’economia circolare italiana: oggi “recuperiamo nei cicli produttivi molto più degli altri paesi europei, 30 punti in più dei tedeschi, perché siamo stati spinti a fare di necessità virtù. Un ragionamento analogo si può fare anche con l’agricoltura dove si è andata affermando una attività legata alla qualità, al territorio e alla comunità anche perché quella più adatta all’Italia”.
Realacci ha portato come esempio la filiera del vino italiano che molti anni fa aveva impostato una strategia che puntava su grandi quantità e basso prezzo. Una scelta che col tempo ha aperto le porte a sofisticazioni illegali e criminali, culminate nel celebre scandalo del metanolo. Una truffa che portò alla morte di 20 persone, all’intossicazione di altre 153 e al crollo delle vendite di vino italiano. E dopo? “Dopo la politica ha alzato il livello dei controlli, ma il resto lo hanno fatto le imprese, passando nel giro di pochi anni da grandi quantità a basso prezzo a qualità legata al territorio”. Un approccio che oggi premia le tante differenze regionali, il risparmio di risorse e l’innovazione. Ma soprattutto che ci ha permesso di crescere sia internamente che all’estero dal momento che l’export del vino italiano ha sfiorato lo scorso anno sfiora gli 8 miliardi di euro.
Agricoltura sostenibile come mezzo di rinascita
Esistono oggi diverse esperienze sul territorio nazionale che mostrano come sostenibilità ambientale e sociale corrano sugli stessi binari. Una di queste è rappresentata da Terra Felix, cooperativa sociale iscritta ai Custodi del Genoma Campano per tutelare la biodiversità locale. La realtà oggi svolge attività agricola su terreni confiscati alla malavita secondo metodi naturali ed ecologici, ma con un sguardo sempre aperto sulla ricerca e l’innovazione. “Siamo una realtà piccola da 10 anni sul territorio”, spiega Nicola Margarita di Terra Felix. “Un territorio difficile che tuttavia ha voglia di rivalsa”.
A Santa Maria La Fossa la cooperativa coltiva cardo selvatico, scelto appositamente per la sua capacità di crescere in condizioni aride e di rigenerare il suolo precedentemente compromesso. Dal seme Terra Felix estrae l’olio che destina alla produzione di bioplastica compostabile; la biomassa solida viene invece sfruttata nella produzione del fungo cardoncello. Un lavoro di rinascita e crescita che non è confinato al campo, come spiega Margarita. “Noi cerchiamo di piantare semi non solo nel terreno ma anche nel cuore delle nuove generazioni. Lo facciamo attraverso progetti contro la povertà educativa, come la realizzazione di orti sociali e didattici, anche in collaborazione con enti museali. I bambini compiono un percorso che dura mesi e che parte dal seme per arrivare al frutto, acquisendo esperienze e consapevolezza”.
Agricoltura sostenibile come mezzo di riscatto sociale
Dall’educazione alla formazione sempre con un sguardo al valore sociale. E’ l’esperienza raccontata da Beatrice Massaza, ideatrice del progetto Recto-Verso, nato per creare un nuovo modello di olivicoltura non solo attenta all’ambiente ma anche alla comunità. L’iniziativa, spiega Massaza, è partita in un ambiente chiuso e protetto quale la Casa di Reclusione situata sull’isola di Gorgona, nell’Arcipelago Toscano, con una precisa finalità: “creare benessere sia per il detenuto, che per la sua famiglia e il territorio. E abbattere quelle che possono essere delle resistenze sociali rispetto all’inserimento di un detenuto in una realtà agricola”.
Il progetto ha messo a punto un programma di formazione a 360 gradi – dalla coltivazione delle piante al lavoro nel frantoio, passando per le attività di comunicazione – avendo come punto di riferimento la domanda di personale qualificato del mercato nazionale. E i risultati non hanno tardato ad arrivare. “A distanza di soli tre anni dal lancio, il 100 per cento dei detenuti a fine pena è stato assunto regolarmente in aziende olivicole”. I prossimi passi? “Farne un modello da applicare ad altre realtà carcerarie magari anche con altri tipi di coltivazione, lavorando con loro per creare un portale dove gestire anche una sorta di scambio di competenze e di offerta di lavoro”.
Agricoltura sostenibili come mezzo per affrontare la fragilità sociale
E’ stata quindi la volta dell’esperienza di Salvatore Stingo, presidente Cooperativa Sociale Agricoltura Capodarco, a pochi chilometri da Roma. La realtà è stata una delle prime ad attivare esperienze di agricoltura sociale in Italia. Oggi attraverso il suo lavoro promuove l’integrazione di soggetti fragili producendo reddito e sostenendo l’emancipazione lavorativa. La cooperativa, spiega Stingo, è nata nel 1978 in una casa di campagna abbandonata con l’insediamento di un gruppo di persone con disabilità fisica riunite lì per vivere e lavorare assieme la terra. In 40 anni si è evoluta in una cooperativa agricola multifunzionale, che crea reddito da attività diversificate: dalla coltivazione alla produzione e vendita di beni agricoli.
“Questo tipo di interventi sono tutti caratterizzati da un fattore comune: l’utilizzo delle pratiche agricole per creare percorsi. Percorsi di emancipazione, di inserimento al lavoro o riabilitativi. Oggi la maggior parte delle persone che vengono qui sono ragazzi con disabilità mentali” e il luogo ospita, oltre ai campi e alla cooperativa agricola in sé, anche una casa famiglia, un ristorante, un negozio e un vivaio. Tra i tanti progetti messi in campo Capodarco ha da poco chiuso un accordo con un sito archeologico a Gabii, per la gestione dei terreni sopra gli scavi per la produzione di fieno.