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Agrifood Forum 2022: tra biologico, biodinamico e ingegneria genetica

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(Rinnovabili.it) – Gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ci chiedono di riconsiderare come coltiviamo, condividiamo e consumiamo il cibo. Con l’obiettivo di riuscire a offrire alimenti nutrienti per tutti e proteggere, nel contempo, il clima e l’ambiente. Quali strumenti abbiamo a disposizione per non mancare il target? A rispondere sono oggi i relatori del panel “Dal biologico al biodinamico: l’agricoltura sostenibile”, organizzato nell’ambito di Agrifood Forum 2022. Con la moderazione del giornalista Massimo Cerofolini, imprese di settore e mondo della ricerca hanno offerto un punto di vista sfaccettato sulle possibilità con cui far progredire il percorso di sostenibilità.

La risposta più immediata che viene in mente è il biologico, settore che negli ultimi anni ha conquistato in Italia fette di pubblico sempre maggiori. Come spiega Massimo Monti, AD di Alce Nero e nuovo presidente del Consorzio il Biologico, il comparto “bio” non è più una nicchia ma c’è ancor molta strada da fare. “Oggi vale più o meno 4,5 miliardi di euro, però rappresenta ancora il 4% di tutto il mercato […] e, dopo molti anni di crescita, da un anno e mezzo (il trend) risulta più o meno piatto. Anzi in questi ultimi tre mesi – complessivi per tutti – sta calando”. 

Eppure oggi il comparto rappresenta una delle risposte migliori all’esigenza di sostenibilità ambientale, riflettendo spesso nel prezzo una serie di sforzi ecologici e produttivi rispetto all’agricoltura “chimica”, difficilmente percepibili dal grande pubblico. In parte quello che servirebbe è una nuova consapevolezza nei consumatori, che sfati anche preconcetti e falsi miti. Come ad esempio l’apparente distanza tra pratiche agricole biologiche e innovazione tecnologica. “Spesso si parla di biologico come un ritorno alle origini dell’agricoltura di 50 anni fa. In realtà il settore rappresenta una punta di diamante da punto di vista delle tecniche agronomiche e degli strumenti utilizzati. Anche quelli innovativi dell’agricoltura 4.0”. D’altra parte basta guardare chi oggi si occupa di biologico:, per lo più giovani agricoltori, con un tasso di laureati molto più alto del passato e una maggiore dimensione dell’azienda.

Affonda le radici nella tradizione, invece, l’agricoltura biodinamica. “Nelle aziende biodinamiche ci sono molti principi attuati nell’agroeconomia […] e si considera la terra come un organismo vivente e non come una macchina”, spiega Anna Beatrice Federici, amministratrice dell’azienda agricola Solaria. “Non si introducono dall’esterno sostanze nutrienti come concimi, si cerca di assecondare lo sviluppo delle piante in base alla loro specie, si allevano animali seguendo la loro etologia e fisiologica”. Il punto di partenza? La salute del terreno. Perché da un suolo sano nascono piante sane e prodotti di qualità; ma anche buoni pascoli per gli animali, determinando carni meno grasse.

Dalla ricerca della sostenibilità nei campi alla quella della tavola, anzi della mensa. Francesca Rocchi, ex vicepresidente nazionale di Slow Food e oggi vicepresidente di Foodinsider Aps, ha raccontato ad Agrifood Forum l’esperienza che da ben 7 anni porta avanti l’associazione. La realtà “si dedica al monitoraggio delle mense scolastiche d’Italia”. Nato dall’idea di un genitore, il progetto stimola il confronto e il miglioramento attraverso la pubblicazione di Rating dei menù scolastici, misurando l’equilibrio e la qualità della dieta offerta ai bambini. “Abbiamo visto che, di fronte ai voti, le amministrazioni ci tengono a fare bella figura e quindi a stimolare processi virtuosi”. Un’iniziativa vincente di cui il Belpaese ha particolarmente bisogno. Nonostante in Italia esista un bando ministeriale per le mense biologiche, che fornisce fondi alle amministrazioni per aumentare la quota bio nei menù (permettendo di arrivare fino al 70% di bio nelle forniture), l’attenzione è ancora bassa. Al punto che oggi solo il 27% delle mense scolastiche a livello nazionale rispetta i Criteri ambientali minimi, ossia garantire un 50% di biologico nell’alimentazione.

Sul percorso verso la sostenibilità alimentare, ma in pieno contrasto con le pratiche biologiche ed agroecologiche, ci sono invece le tecniche editing genetico, soluzioni di evoluzione assistita in grado di attivare benefici in termini di resistenza, contrasto ai parassiti e, in qualche caso, di aumento delle qualità nutrizionali. “Sono tecniche – spiega Massimo Iannetta, responsabile Divisione Biotecnologie e Agroindustria ENEA – che modificano attraverso delle forbici molecolari in maniera molto precisa, efficace e veloce il genoma. Questo senza introdurre geni esogeni”.

Si potrebbero considerare per alcuni versi l’evoluzione di tecniche di ibridazione genetica utilizzate in passato (ad esempio la mutagenesi per irraggiamento impiegata per ottenere negli anni ‘70 il frumento Creso). “Oggi con la pancia piena possiamo ragionare qui, in occidente, in maniera un po’ diversa, ed è bene che si faccia introducendo, i principi dell’agroecologia e del biologico. Ma attraverso la conoscenza del genoma delle piante possiamo intervenire esattamente su un nucleotide, per attivarlo o silenziarlo e rendere la pianta più resistente ad un patogeno legato al cambiamento climatico. O alla scarsità di acqua e a tutta una serie di stress biotici e abiotici”.

Ma oggi, denuncia Claudia Sorlini, vicepresidente Fondazione Cariplo, il trasferimento delle conoscenze dal mondo della ricerca a quello delle imprese non avviene velocemente quanto sperato. Il “passaggio” si registra solo in grandi aziende e multinazionali che hanno maggiori disponibilità, soprattutto in termini di personale, per seguire le innovazioni. Ma una parte delle responsabilità appartiene anche alla scienza che nel tempo ha privilegiato studi e ricerche per il modello dominante dell’agricoltura. Come ridurre il baratro? “Intensificando il lavoro d’innovazione anche per le agricolture minori e quelle di montagna” anche per evitare lo spopolamento. E formando nuove figure professionali. In questo contesto Fondazione Cariplo ha finanziato un master di secondo livello in Formatore agrario ambientale. L’attività è stata svolta metà nelle aule e metà nelle aziende per permettere ai corsisti di apprendere le tecnologie più avanzate nel campo del biologico, dell’agricoltura sociale e di quella digitale. Ed essere preparati da subito ad entrare nelle imprese di qualsiasi livello.

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