Planet Farms lavora sulle filiere di domani
Anni di ricerca e investimenti ingenti, ma i risultati hanno premiato la fatica. Planet Farms, nata pochi anni fa come una startup, è già nella fase di scale up. La strada non è stata tutta in discesa. A gennaio 2024 un incendio ha distrutto lo stabilimento di Cavenago. Non serve piangersi addosso, bisogna rimboccarsi subito le maniche e guardare avanti, ci racconta Luca Travaglini, co-founder e co-CEO di Planet Farms.
Infatti è pronto il lancio sul mercato britannico e l’azienda, che è già Benefit Corporation, sarà presto una B Corp.
Quando è nata precisamente Planet Farms?
Nel 2018, dopo oltre quattro anni e mezzo di ricerca fatta da me e dal mio gruppo di famiglia con circa 25 milioni di investimento.
A gennaio di quest’anno un incendio ha distrutto lo stabilimento di Cavenago, in provincia di Monza. Le cause sono riconducibili al processo produttivo e alle tecnologie utilizzate?
Assolutamente no, tanto che siamo già in fase avanzata di ricostruzione dello stabilimento. Purtroppo l’incendio è avvenuto in un locale tecnico di accesso esterno all’edificio, su un macchinario estremamente semplice, non nostro. Quindi non c’è nessuna correlazione con la tecnologia che usiamo e quello che è capitato è un fatto del tutto accidentale.
Onestamente non ce lo meritavamo. Ma quando le cose succedono puoi rimanere a piangere oppure rimboccarti le maniche e guardare avanti, ed è quello che abbiamo fatto.
Da startup ad azienda di successo il passo è stato breve.
Siamo quella che nel mondo anglosassone viene definita scale up, ovvero stiamo cercando di scalare un business che ormai è assodato che funziona.
È prevista un’espansione dell’azienda all’estero? So che siete in procinto di aprire nel Regno Unito.
Esatto. Fortunatamente avevamo un altro sito in costruzione a Cirimido (in provincia di Como): era previsto in realtà per l’anno prossimo, ma verrà avviato a fine luglio. In parallelo, siamo già in possesso del terreno in Inghilterra e siamo in attesa dei permessi di costruzione per partire con la fase di realizzazione dello stabilimento, già progettato.
Quindi questa battuta di arresto non ha cambiato i vostri progetti.
No, anche perché Planet Farms non è una società di insalate, è una società di tecnologia. L’incidente ci ha creato un disservizio molto importante nei confronti dei nostri clienti che credevano in noi, come confermano i dati. Infatti, il nostro prodotto, dopo tanti anni di sacrifici, ha raggiunto dei livelli di rotazione ben oltre la media di categoria. A dicembre 2023 l’aumento delle vendite a volume rispetto all’anno precedente è stato +123%. In sintesi, i dati dimostrano che il consumatore ci segue, il prodotto è apprezzato ed è fortemente differenziato.
Dopo l’incidente, che ha inevitabilmente creato un’interruzione delle forniture, come vi state riposizionando? I vostri clienti vi stanno “sostenendo” nella ripresa?
L’incidente ci ha fatto capire chi eravamo. Penso di non aver mai visto un tale supporto nei confronti di un’azienda, abbiamo avuto un’enorme ondata di umanità. A oggi, ho ancora migliaia di messaggi a cui non sono riuscito a rispondere. Ci siamo resi conto che Planet Farms non è solo un’azienda: lo stabilimento di Cavenago, molto bello e molto iconico, per molte persone rappresentava una speranza. Ho ricevuto tanti messaggi di supporto, gli stessi stakeholder e shareholder hanno reagito in modo incredibile, anche le banche con cui lavoriamo. Nessuno dei nostri clienti ci ha abbandonato, ci hanno detto “vi aspettiamo, tornerete più forti di prima”. Tutti ci hanno manifestato il desiderio di supportarci, non di darci una spalla su cui piangere. Questo ha fatto sì che un’azienda piccola e atipica ha reagito come forse poche hanno fatto. L’incidente è avvenuto alle 7 di mattina, il mio socio è atterrato alle 11,30 a Londra e non sapeva niente. Alle 13,30 abbiamo fatto una riunione con tutta l’azienda e alle 14,30 il primo incontro con tutti i nostri investitori.
In un mondo come il nostro devi guardare avanti, siamo più di duecento persone in questo momento e nessuno aveva voglia di accettare quello che era successo. Ci siamo subito rimboccati le maniche per prendere in mano la situazione e gestirla, anche perché dietro un incidente di questo tipo c’è una enorme mole di lavoro.
Non lo sapevo, adesso so anche quello. Quindi, il risultato è che Planet Farms, un’azienda giovane, ad oggi ha vissuto problemi come se fosse centenaria. Abbiamo iniziato un cantiere ed è arrivato il Covid, abbiamo subito la crisi energetica, la crisi dei mercati, la guerra in Ucraina… Tutto questo in un business molto tech e capital intensive. Posso dire di essere molto soddisfatto del Paese? L’ondata di solidarietà che Planet Farms ha ricevuto è solo italiana, nel senso che solo qui ci si supporta vicendevolmente.
Il fatto che le banche abbiano continuato a darvi fiducia e a investire su Planet Farms è significativo, dimostra la qualità dell’azienda.
Chiunque ci ha dato fiducia: le banche, le istituzioni, i clienti, gli stakeholder. Abbiamo avuto un supporto incredibile, a 360°. È stato molto bello vedere tanta solidarietà in un momento davvero difficile.
Tra le tante crisi che avete dovuto affrontare c’è stata anche l’impennata dei costi dell’energia. Da quel punto di vista ora siete autonomi?
In tutti gli stabilimenti siamo obbligati a usare esclusivamente fonti rinnovabili al cento per cento. Quindi, anche Cirimido sarà alimentato in parte da un impianto fotovoltaico installato on site e il resto da fonti certificate green, ossia fotovoltaico, eolico e idrico.
Tutti i nostri stabilimenti sono così, i clienti stessi ce lo chiedono. Non andiamo alla ricerca della sostenibilità, siamo già sostenibili.
L’ultimo Life Cycle Assessment evidenzia il basso impatto ambientale del processo produttivo di Planet Farms: risparmio di risorse idriche del 95% rispetto alla coltivazione in pieno campo, risparmio di suolo del 93% rispetto alla coltivazione in pieno campo, risparmio di pesticidi del 100% rispetto alla coltivazione in pieno campo, risparmio di fertilizzanti del 96% rispetto alla coltivazione in pieno campo.
Continuate a investire nella ricerca?
Certamente. Proprio perché, come dicevo prima, Planet Farms è una società di tecnologia che lavora soprattutto sulle filiere del domani.
Infatti, sono oltre sette anni che facciamo ricerca su caffè, cotone, lino e grano, che fanno capire qual è l’entità di questa opportunità. Parliamo forse dell’unica tecnologia che va verso quelli che sono i bisogni.
Anche il Ministero delle Politiche Agricole ha virato verso la sovranità alimentare. Pertanto, possiamo portare sul territorio cose che altrimenti non potranno mai essere. Proviamo a pensare se fosse possibile portare sul territorio italiano una produzione di cotone completamente diversa: il bello di questa tecnologia è che l’output è un prodotto come quello che si trova in natura.
Il nostro non è un prodotto artificiale, sintetico; la nostra insalata, ad esempio, è cresciuta rispettando il fotoperiodo, lo spettro di luce, l’intensità della luce, il cambio del colore della luce. Soprattutto vorrei sottolineare che non è un modello in antagonismo all’agricoltura tradizionale, bensì in parallelo.
L’agricoltura deve essere ribilanciata, come pure il nostro ecosistema. Il nostro obiettivo è trovare una soluzione per le colture a maggiore impatto ambientale e sociale e dare spazio a una biodiversità che oggi è fondamentale.
Una tecnologia come la vostra si potrebbe esportare dove il cambiamento climatico è particolarmente intenso?
Senza dubbio. Oggi non c’è un paese che non chieda l’utilizzo di una tecnologia come la nostra. Secondo me, è una delle soluzioni più concrete al dramma delle migrazioni che continueranno ad aumentare, perché le persone migrano per mancanza di cibo.
La nostra tecnologia fa sì che ad oggi siamo già competitivi su un prodotto normale, possiamo sempre efficienti, mentre la natura sovrasfruttata dall’uomo lo è sempre meno.
Quale posto occupa Planet Farms nel settore della IV gamma?
Faccio un esempio. A luglio dell’anno scorso, in un momento inflattivo a due cifre, il prezzo è sceso del 22%: nessuna azienda al mondo l’ha fatto. Questo fa capire la potenzialità di questa tecnologia, che apprende, migliora, è più efficiente e noi la riportiamo sul consumatore. Il settore della IV gamma aveva perso un po’ innovazione e di biodiversità facendo una battaglia solo sul prezzo e perdendo il contenuto.
Planet Farms fa esattamente l’opposto: cerchiamo di mettere insieme la biodiversità e il fabbisogno delle persone lavorando sul contenuto. Il nostro prodotto, che prima era premium, adesso è allineato con i prodotti normali.
La confezione delle vostre insalate, se non ricordo male, non è di plastica.
È di carta, quindi riciclabile. Ma stiamo anche mettendo a punto un nuovo materiale: la nostra ricerca non si ferma mai.
Si dice che dalle crisi nascono le opportunità. Andrete ancora più lontano in direzione della sostenibilità?
Ad oggi non cerchiamo di essere sostenibili perché, come accennavo prima, già lo siamo. Sicuramente confermiamo e miglioriamo: siamo già Benefit Corporation e nei prossimi mesi diventeremo B Corp.