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Olio di oliva, strategie e prospettive per il futuro del comparto

L’olio di oliva italiano sta attraversando un momento di crisi dovuto a varie cause, a cominciare dal cambiamento climatico. Servono innovazione, disponibilità al cambiamento, riconoscimento del valore. Stiamo scendendo nella classifica dei paesi produttori: per le imprese sarà sempre più complesso stare in un mercato competitivo e globale. Un contesto in cui scienza, ricerca e tecnologia sono fondamentali

Olio di oliva, strategie e prospettive per il futuro del comparto

La strada dell’olio di oliva sarà tutta in salita?

In quindici anni l’olio di oliva ha perso più del 30% del raccolto e il 38% della produzione: dati che portano l’Italia dal secondo al quinto posto della produzione olivicola mondiale, che invece è cresciuta in tutti gli altri paesi produttori.

Infatti, la produzione mondiale è in ripresa sull’anno precedente (+35%), mentre in Italia è del 26% in meno rispetto al 2023.

La grande sfida, tornare a produrre

Il calo della produzione è strutturale, come è emerso nel corso del convegno “Olio di oliva: dalla tradizione al futuro. Prospettive per l’olivicoltura italiana” organizzato da Confagricoltura e Unapol (Unione Nazionale Associazioni Produttori Olivicoli). La grande sfida, quindi, è tornare a produrre.

Prima di tutto, ha affermato Tommaso Loiodice, presidente di Unapol, «il consumatore deve essere il nostro punto di riferimento, deve essere consapevole di ciò che consuma, della qualità dell’olio di oliva e del suo valore storico e culturale, senza dimenticare il suo valore ambientale e nutraceutico».

Una consapevolezza a cui si lega il discorso sulla contraffazione: il prezzo corrisponde alla qualità del prodotto, un olio che costa troppo poco è inevitabilmente di scarsa qualità, perché le spese di produzione sono ingenti.

Considerando l’insieme dei valori che l’olio di oliva rappresenta, Loiodice sollecita il coinvolgimento dei Ministeri della Salute e dell’Ambiente, oltre a quello dell’Agricoltura.

Fonte: ISMEA

Il modello italiano del controllo

L’olio di oliva è forse il prodotto alimentare più contraffatto, ma è altrettanto vero che «l’Italia rappresenta un modello dal punto di vista del controllo: un modello che si dovrebbe adottare a livello europeo».

Sicuramente non mancano le criticità in un comparto costituito da piccole e micro aziende di cui si deve incentivare la crescita (il 40% ha meno di 2 ettari di oliveto).

Inoltre bisogna rafforzare il legame tra la produzione e il territorio: infatti, esistono oliveti monumentali e non produttivi che hanno un inestimabile valore paesaggistico, come pure oliveti abbandonati.

Le cause del calo di produzione dell’olio di oliva

Quali sono le cause di questo calo? Condizioni climatiche avverse, dominate dalla siccità (gran parte della produzione è al Sud), volatilità dei prezzi.

Un dato che fa riflettere è che a fronte di un calo importante della produzione, il calo della superficie si limita la 3%. Questo significa abbandono, non si raccoglie e non si pota.

Il dato sul consumo (8,2 Kg pro capite all’anno), ha spiegato Tiziana Sarnari, analista di mercato ISMEA, indica un generale calo degli acquisti nella GDO dove i prezzi sono stati troppo alti nell’ultimo anno.

«In dieci anni in Italia sono stati abbandonati 250mila ettari», ha affermato Salvatore Camposeo, docente nell’Università di Bari “Aldo Moro”.

Si parla molto di biodiversità, «ma in realtà è conservata nelle nostre collezioni. Abbiamo censito 250 cultivar, ma la produzione viene da 5 cultivar. In Puglia addirittura sono 2, Coratina e Cima di Bitonto.

L’olivicoltura in Italia è vecchia, ma sono vecchi gli olivicoltori: questo richiede formazione, che dà livelli produttivi e qualitativi molto diversi, e una disponibilità al cambiamento».

Perché l’oliveto è da ristrutturare? Perché il 61% delle piante ha più di 50 anni, il 49% ha una densità per ettaro inferiore a 140 piante e solo l’1,5% ha più di 400 piante per ettaro.

Le famiglie preferiscono il frantoio

Le famiglie hanno preferito acquistare direttamente dal frantoio: non più tutto in una volta, ma ripartendo l’acquisto in più volte.

Quello che è comunque evidente è che la produzione è inferiore a quello che richiede il consumo interno e al valore dell’export.

I prezzi degli oli DOP (42) e IGP (8) hanno registrato un forte aumento, anche se inferiore a quello degli oli cosiddetti “convenzionali”, riducendo il gap tra le due categorie di prodotto.

Inoltre, gli oli con riconoscimento comunitario restano un prodotto di nicchia che non conquista quote di mercato significative.

Il costo non deve essere alto o basso ma giusto per evidenziare la qualità dell’olio di oliva.

Valore e professionalità

Anna Cane, presidente del gruppo olio di oliva di ASSITOL, ha messo l’accento su alcuni punti chiave. Innanzi tutto il valore: ad esempio, «l’olio al ristorante non si paga e non si accorda con il cibo, come avviene per il vino. Come possiamo dare valore all’olio se non se conosce il valore?».

Un altro punto chiave è quello delle professionalità. «Non esiste una scuola di formazione per addetti ai lavori del settore olivicolo-oleario. Mancano i potatori specializzati, i maestri di frantoio, i blend master (che sono l’equivalente degli enologi)».

Valorizziamo il prodotto italiano, ma non demonizziamo l’importazione: «Se dovessimo consumare solo olio di oliva italiano ne avremmo da gennaio a fine maggio, azzerando l’export che traina con sé altre categorie del paniere mediterraneo come pasta, sughi, olive da tavola».

Fonte: ISMEA

Non è più tempo per i dilettanti, servono professionisti

Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, conclude con un monito per il futuro. «Abbiamo 600mila imprese, di cui molte non professionali, con una produzione che non basterebbe a una famiglia per un anno. Segno che non abbiamo espresso un modello economico rilevante e la redditività non ha permesso di fare investimenti. Invece dobbiamo investire sulla filiera.

Ci viene chiesto di produrre di più. Non è più tempo per i dilettanti, in campo devono scendere i professionisti con imprese vocate al mercato, che possono attrarre e ridistribuire investimenti, soprattutto quando nel modo esistono player importanti e altri se ne stanno aggiungendo, come l’Arabia Saudita.  

Se giochiamo da dilettanti una partita con i professionisti, questa partita la perdiamo. Dobbiamo avere le idee chiare. Si parla di programmazione europea, ma dove andiamo se non sappiamo dove vogliamo andare?

Per le imprese sarà sempre più complesso stare in un mercato competitivo e globale: 30 anni fa il mercato era locale, 20 anni fa il confronto era regionale, 10 anni fa abbiamo conosciuto il mercato unico, oggi ci si confronta con il mercato globale. Un contesto in cui scienza, ricerca e tecnologia sono fondamentali».

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About Author / Isabella Ceccarini

Lavora da più di trent’anni nel campo editoriale e giornalistico. Di formazione umanistica, è curiosa delle novità e affascinata dalla contaminazione tra saperi diversi. Non ama i confini mentali e geografici, è un’europeista sostenitrice dell’Italia, convinta che le sue grandi qualità – bellezza, arte, cultura, creatività – che il mondo ci invidia dovrebbero essere più apprezzate per primi dagli italiani. Promuove e sviluppa iniziative di comunicazione della scienza, di formazione giornalistica professionale e di sensibilizzazione sui temi della sostenibilità, ricerca, innovazione e formazione, nuove tecnologie, economia circolare. Organizza e modera tavole rotonde per mettere a confronto opinioni diverse.