"Le funzioni di governo del territorio che i piccoli Comuni sono chiamati a svolgere si sono accresciute nel tempo e sono divenute sempre più complesse", scrive Rosanna Mazza, presidente di Borghi Autentici.
di Rosanna Mazzia
Da Presidente dell’Associazione Borghi Autentici d’Italia, leggo il tema del rapporto città-campagna come quello dell’abitare, vivere e lavorare in un piccolo comune, com’è Roseto Capo Spulico di cui sono Sindaco, in relazione alla dimensione urbana.
In molti, in questi ultimi mesi, hanno guardato positivamente all’attenzione posta da parte di famosi architetti sui borghi come soluzione ai problemi resi evidenti dall’emergenza sanitaria. Anche la nostra Associazione saluta con favore tale interesse ma, coerentemente all’impegno di tutti questi anni, ci sentiamo in dovere di riportare al centro del dibattito nazionale i Borghi e non il rapporto della città con il “fuori”.
Nel dibattito svolto, c’è chi ha rivendicato per i Borghi la dimensione in miniatura delle città, spesso alleandosi con chi si ostina a presentarli come immagini da cartolina, proponendoli come luoghi-rifugio o mettendone al centro la sola bellezza, come se fosse condizione diffusa e indistinta di tutte le aree interne della nostra penisola.
Il futuro dei Borghi non è quello che è stato ipotizzato in questi mesi.
I Borghi come il giardino, un pezzo di orto o le logge milanesi dove si va a vivere “a tempo” sapendo poi di poter tornare in città. I Borghi dove si va a lavorare per una multinazionale che ha sede in una grande metropoli.I Borghi abbandonati in cui non è difficile acquistare una casa ad un euro.
Dobbiamo essere consapevoli che i piccoli Comuni rappresentano per il nostro Paese un sistema complesso, che da nord a sud e dall’Appennino alle coste non è un indistinto territorio dove potersi rifugiare, inseguiti magari dalle fobie metropolitane.
I borghi hanno il diritto ad essere riconosciuti come luoghi e le risposte che i borghi possono e devono fornire all’attuale crisi sono molto più complesse.
È evidente a tutti che questa fase, caratterizzata dalla pandemia, dovrà stimolare un’intensa analisi sull’importanza di una visione nuova dei piccoli Comuni e sulle questioni su cui si è rivelata, con ancor di più urgenza, l’importanza di dare risposte innanzitutto ai propri residenti.
- Le scelte regressive degli ultimi decenni sul sistema sanitario hanno inciso a livello nazionale ma sono stati, soprattutto, i piccoli Comuni a pagarne le conseguenze in termini di emigrazione alla ricerca di cure nei grandi centri urbani, soprattutto del nord. Nei borghi, quindi, va sostenuta la possibilità che anche la sanità diventi smart e sia in grado di avvicinare il medico al paziente nei luoghi dove i presidi sanitari sono pochi e la viabilità non permette spostamenti agili.
- Con la chiusura delle scuole, per questi territori si è rivelata una vera e propria utopia la possibilità di garantire la didattica a distanza, dovendo scontare ritardi e limiti di un piano per la banda ultra larga e facendo i conti con una copertura del segnale di telefonia mobile e traffico dati ancora estremante scarsa o addirittura assente.
- Così come il ricorso al telelavoro (o smart working) – divenuto opportunità concreta e una necessità non più rinviabile – non può essere negato a chi risiede in montagna. Va però evidenziato che non solo i lavoratori ma anche il lavoro – grazie alle nuove tecnologie – va portato nei borghi.
- In relazione alla mobilità, paradossalmente, è più facile che nelle città ci si muova a piedi o con mobilità collettiva, mentre è proprio nei borghi che si è costretti ad usare l’auto privata. Anche in questo caso è necessario “centrare” il tema non sul turista ma sul residente ed è al residente che ci si deve rivolgere se s’intende sviluppare un progetto di sostenibilità locale.
Le funzioni di governo del territorio che i piccoli Comuni sono chiamati a svolgere si sono accresciute nel tempo e sono divenute sempre più complesse e, a seguito della crisi, occorre accompagnare i territori valorizzando le interconnessioni tra le responsabilità individuali e quelle collettive e dando un valore nuovo alle Comunità.
La lezione da apprendere sono le storie che i Borghi Autentici hanno saputo raccontare in questi mesi e che li ha visti affrontare la pandemia, forti di una capacità di resilienza dimostrata sul campo. Nei borghi, infatti, hanno trovato applicazione cambiamenti concreti e, attraverso forme di attivismo delle Comunità, i borghi hanno offerto al Paese un sistema diffuso sul territorio che si approvvigiona e consuma in forme innovative, che riduce gli sprechi e gli effetti sull’ambiente e che tutela la salute pubblica.
Nello scenario apertosi con la pandemia, centrale è l’agricoltura e il ruolo di chi è, da sempre, tra i fedeli custodi di queste aree, gli agricoltori. E in questa direzione è interessante notare come si sta rafforzando l’attenzione posta dalla futura programmazione europea ed evidenziare alcune specifiche prospettive del Piano strategico nazionale della nuova PAC post 2020 volte a:
- garantire e stabilizzare i redditi degli agricoltori e di aumentarne la resilienza, attraverso un sostegno più mirato ed equilibrato, al fine di contrastare la forte competizione, l’instabilità dei mercati e la volatilità dei prezzi;
- promuovere un settore agricolo intelligente, resiliente e diversificato attraverso il miglioramento della posizione degli agricoltori nella catena del valore, incentivando le produzioni di qualità certificata, le filiere corte, i sistemi produttivi locali, ecc.;
- favorire l’orientamento all’innovazione e in particolare la capacità di cogliere le opportunità dello sviluppo tecnologico e della digitalizzazione, che a sua volta richiede anche il rafforzamento del capitale umano e delle capacità manageriali e organizzative;
- perseguire la sostenibilità economica, sociale e ambientale e l’adattamento ai cambiamenti climatici, sostenendo l’ammodernamento di tutti i tipi di investimenti produttivi, compresi quelli volti, ad esempio, a ridurre le perdite e gli sprechi di alimenti.
Così come un ruolo sempre più rilevante sta assumendo il settore agroalimentare anche in relazione ad una produzione responsabile e sostenibile capace di assicurare cibo e benessere alle popolazioni, indipendentemente da appartenenze, reddito, età, classe sociale. Lunga e faticosa è stata la strada che ha portato al riconoscimento delle tradizioni agricole e alimentari dei territori come bene da tutelare e valorizzare.
Affinché questo riconoscimento non resti solo una battaglia culturale vinta dagli addetti ai lavori, però, è sempre più necessario che il sistema produttivo agroalimentare sia calato sul territorio e sentito dalla Comunità locale come fattore di crescita del benessere locale.
Il “cibo”, quindi, deve essere al centro di un progetto di prosperità, dove un ambiente più sano, migliori relazioni personali e una produzione economica responsabile dei diritti collettivi, diventano l’architrave di una società meno ineguale.
Una prospettiva che trova riscontro anche nell’istituzione dei “Distretti del Cibo“, avvenuta nell’ambito della riforma e del rafforzamento della previsione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (c.d. “legge orientamento”) con cui vennero istituiti i “Distretti rurali e agroalimentari di qualità”.
Se il cibo diviene un bene comune, diventa compito delle Comunità locali farsene carico. Va creata un’alleanza tra Istituzioni, piccole Aziende e Cittadini per ridisegnare su aree vaste una rete di presidi, multifunzionale e connessa con settori diversi (dal commercio alla scuola, al welfare locale, alla formazione e al turismo) ma soprattutto animata e gestita dai giovani che vogliono restare sul proprio territorio.
I Distretti del Cibo possono rappresentare per i borghi la chiave per:
- valorizzare le attività di prossimità che trovano condizioni favorevoli in contesti coesi e abituati alla collaborazione: i mercati contadini e la vendita dei prodotti trasformati direttamente nelle piccole aziende ma anche le forme innovative di e-commerce rivolte ai mercati internazionali;
- mettere a valore le competenze locali e favorire il loro trasferimento dalle vecchie alle nuove generazioni: gli spazi per la valorizzazione delle tradizioni culturali, la formazione e la didattica per una nuova cittadinanza attiva e responsabile;
- dare risposte concrete ai bisogni alimentari di una popolazione che sperimenta sul campo il valore dell’apertura e dell’inclusività: le feste e l’ospitalità, le mense e le cucine solidali.
In un contesto globale che, in seguito alla pandemia, va sempre più rivisto in funzione della protezione delle Comunità locali, spesso queste esperienze sono in grado (se opportunamente sostenute) di generare modelli “green” che guardano prioritariamente alla soddisfazione dei bisogni delle persone e che, se innestate in una logica di rete, possono aumentare le potenzialità di crescita per i territori.
Questo è lo spazio di lavoro che abbiamo per i prossimi mesi e anni: trovare nuove soluzioni alle grandi questioni (non nuove) e dovremmo farlo continuando a consolidare le tante esperienze di innovazione che i borghi, in tempi non sospetti, hanno saputo avviare e con cui hanno saputo creare più valore economico e sociale.
Alla ripartenza, quindi, i Borghi Autentici si propongono effettivamente come la “soluzione” richiamata dai più, ma nella misura in cui si prenda finalmente consapevolezza dello specifico valore che essi hanno per il sistema socio-economico dell’intero Paese.
Se attivare risorse e talenti locali è il motore del modello di sviluppo perseguito da questi territori, sarebbe sbagliato pensare ad un modello autosufficiente, ancor di più nel corso di una crisi terribile come quella che stiamo vivendo, rispetto alla quale sarà difficile fare argine e impensabile concepire prospettive senza politiche mirate.
Non è un caso che nelle recenti linee guida per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (cioè nelle scelte nazionali sul Recovery Fund), in una specifica missione “Equità sociale, di genere e territoriale”, si afferma la necessità di adottare, tra un ampio spettro di politiche di coesione territoriale e sociale, un piano di “Rigenerazione e riqualificazione dei borghi rurali”.
Pensiamo, inoltre, a quanto già in campo a livello nazionale ma che deve trovare una piena e più soddisfacente attuazione: il lavoro svolto attraverso la strategia nazionale per le aree interne e la legge 158/2017 per la valorizzazione dei piccoli comuni.
A livello comunitario, confidiamo nella prossima programmazione e nell’iniziativa volta ad attuare approcci e strategie per i villaggi intelligenti in tutta Europa, coniugando vita rurale ed economia digitale (banda larga permettendo).
Pensiamo che il Decisore nazionale debba tenere conto degli sforzi fatti in questo periodo e guardare alle esperienze positive di resilienza dei nostri Borghi come occasione per tutto il Paese per sostenere l’elaborazione della crisi, valorizzando le soluzioni che a livello locale sono emerse e creando condizioni sempre più favorevoli ad una “connessione di cura” tra Territorio e Comunità.