Le differenze di genere esistono anche in agricoltura, un settore considerato tradizionalmente maschile. Invece In Italia le imprenditrici agricole sono più di 200mila, molte delle quali under 35 e le donne rappresentano il 40% della forza lavoro agricola. Eppure il Fondo Impresa Donna non prevede sostegni per il settore primario
di Isabella Ceccarini
(rinnovabili.it) – Anche in agricoltura esistono le differenze di genere, anche perché quello dell’agricoltura è un settore considerato tradizionalmente maschile e certi pregiudizi sono duri a morire.
Tuttavia i numeri dicono il contrario. In Italia le imprenditrici agricole sono più di 200mila, molte delle quali under 35. Anche la forza lavoro ha una forte colorazione rosa, dal momento che le donne costituiscono il 40%.
Il valore green delle imprenditrici agricole
Gli studi condotti dalle associazioni di categoria, inoltre, dimostrano che le imprenditrici agricole conducono aziende più innovative, più resilienti e soprattutto più green: «capaci di coniugare produzione alimentare, welfare, tutela del suolo e del paesaggio, salvaguardia della biodiversità. Questo pone le donne in prima linea di fronte ai cambiamenti in atto: dalla sfida della transizione verde alle risposte alla lunga crisi pandemica», come ha sottolineato Pina Terenzi, presidente nazionale di Donne in Campo, l’associazione al femminile di Cia-Agricoltori Italiani.
Anche in agricoltura, quindi, è necessario un cambiamento culturale per combattere le disuguaglianze di genere e creare maggiore occupazione femminile.
La legge sulla parità salariale
La legge sulla parità salariale, recentemente approvata al Senato, dovrebbe andare proprio in questa direzione. Due i punti cardine della legge: rispetto della parità di genere e trasparenza.
Le aziende con più di 50 dipendenti dovranno compilare un rapporto sulla situazione del personale da cui si può evidenziare l’eventuale trattamento discriminatorio: orari di lavoro impossibili, riunioni fuori orario, o comunque condizioni lavorative che – in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive – porrebbero le lavoratrici in una posizione di effettivo svantaggio che ne limiterebbe anche l’avanzamento di carriera.
Le carenze della politica, tuttavia, non finiscono mai. Il deficit di attenzione dell’occupazione femminile in agricoltura (ritenuta a torto marginale?) presente nel Fondo Impresa Donna, infatti, ha provocato numerose e giuste reazioni.
Nel Fondo Impresa Donna manca il settore primario
Il Fondo Impresa Donna fissa regole di accesso ai contributi a fondo perduto e ai finanziamenti agevolati per sostenere l’imprenditoria femminile: il Fondo vuole essere uno stimolo alla creazione di nuove imprese femminile e alla realizzazione di progetti innovativi e un sostegno per rafforzare le imprese femminili già esistenti.
La dotazione iniziale del Fondo è di 40 milioni di euro (suddivisi tra 2021 e 2022); a questo importo si aggiungeranno i 400 milioni previsti dal PNRR per l’imprenditoria femminile nell’ambito “inclusione e coesione”.
Allora dov’è il problema? Nel fatto che il Fondo Impresa Donna non prevede sostegni per il settore primario, ovvero per l’agricoltura.
I settori ammessi alla misura sono industria, servizi, commercio, turismo, artigianato e trasformazione dei prodotti agricoli. Questo di fatto comporta l’esclusione dai finanziamenti delle 200mila aziende agricole femminili che non trasformano prodotti agricoli come attività principale.
Le presidenti di Confagricoltura Donna, Alessandra Oddi Baglioni, e Donne in campo-CIA, Pina Terenzi, hanno scritto una lettera al ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, al ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti e al ministro per le Pari opportunità, Elena Bonetti, chiedendo con forza di includere l’imprenditoria agricola femminile tra i destinatari del Fondo.
Una carenza da colmare subito, dato il ruolo che le imprenditrici agricole rivestono nella transizione green dell’agricoltura, che è uno dei pilastri su cui poggia il Green Deal europeo.