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Agricoltura e cambiamento climatico, quale futuro?

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Foto di jplenio da Pixabay

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – «L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze del cambiamento climatico ma è anche il settore più impegnato a contrastarli promuovendo l’uso razionale dell’acqua, l’innovazione tecnologica per la riduzione dell’impatto ambientale, l’economia circolare con la produzione di energie rinnovabili come biogas e biometano e lo sviluppo del fotovoltaico sui tetti senza consumo di terra fertile», ha affermato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini.

Sostenere l’agricoltura con interventi di lungo periodo

Proprio a causa di una interconnessione così stretta non possiamo rimandare le scelte che possono portare a una mitigazione del cambiamento climatico.

È pienamente evidente l’urgenza di sostenere l’agricoltura con interventi strutturali di lungo periodo per salvare stalle e aziende agricole.

Per qualcuno può sembrare sorprendente, ma l’agricoltura italiana è la più green d’Europa; per continuare il suo percorso virtuoso non ha bisogno solo di buone intenzioni e belle parole, ma di azioni e politiche concrete.

La COP27 si svolge in un anno che l’Italia ha registrato come il più caldo di sempre: +1,07 gradi rispetto alla media storica, con le precipitazioni ridotte di un terzo (dati ISAC-CNR, l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche).

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Tendenza alla tropicalizzazione

L’aumento delle temperature è stato più elevato al Nord, a conferma dell’anomalia climatica in atto. Questa tendenza alla tropicalizzazione ha portato con sé un susseguirsi di eventi estremi – siccità, alluvioni, trombe d’aria, grandinate, sbalzi termici – che finora hanno provocato in Italia danni per 6 miliardi di euro, pari al 10% della produzione nazionale (elaborazione Coldiretti su dati ESWD-European Severe Weather Database).

Abbiamo accolto volentieri un’estate protratta ad autunno inoltrato (a ottobre +2 gradi rispetto al dato medio europeo rilevato da Copernicus) come un modo per risparmiare sul riscaldamento, ma non abbiamo pensato al danno che questa ennesima manifestazione del cambiamento climatico reca all’agricoltura e all’approvvigionamento idrico.

Il livello del Po continua a essere bassissimo e alcune rive sono ridotte a distese di sabbia. Confagricoltura lancia l’allarme: il Po in secca compromette l’agricoltura e gli allevamenti italiani che si concentrano in buona parte nella Pianura Padana. Senza pioggia e con i terreni aridi le semine autunnali del grano e degli altri cereali sono a rischio.

Fioriture fuori stagione

Le piante sono “confuse” da ritmi stagionali irregolari: in Puglia sono sbocciati i ciliegi e in Veneto fioriscono i nespoli e perfino le mimose. Le fioriture anticipate sono pericolose perché rendono le piante più sensibili al successivo calo delle temperature, con conseguente rischio di diminuzione delle produzioni. Perfino i parassiti sono ancora attivi a causa delle temperature miti e attaccano più facilmente le colture.

La pioggia che giova alle campagne deve durare a lungo, cadere in maniera costante e non troppo intensa: esattamente il contrario di quello che invece accade in un susseguirsi di precipitazioni violente che danneggiano le colture. I terreni inariditi dalla prolungata siccità non sono in grado di assorbire l’eccesso di acqua e danno origine a frane e smottamenti.

La situazione è allarmante già da alcuni anni. La siccità grave e prolungata non è un problema di quest’anno: in questo autunno non piove e non nevica, una situazione che si era verificata anche l’anno scorso con un inverno e una primavera con rarissime precipitazioni. Le falde acquifere impoverite non si stanno riempiendo, siamo già in sofferenza e il quadro generale non fa ben sperare per le necessità dell’agricoltura.

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Necessità di interventi strutturali

Come sottolinea Giovanna Parmigiani – membro di giunta di Confagricoltura con delega all’ambiente e componente del Consiglio nazionale dell’ANBI (che riunisce i Consorzi di bonifica e irrigazione italiani) – c’è urgente necessità di interventi strutturali a fronte delle anomalie prodotte dal cambiamento climatico di cui gli agricoltori parlano da tempo. Tuttavia la loro voce è inascoltata.

In Italia non si fanno dighe dagli anni Settanta. Anche quando piove, in Italia si capta solo l’11% delle precipitazioni, tutto il resto va disperso. Questo comporta carenza d’acqua quando serve e danni economici, ambientali e produttivi dovuti alle alluvioni. Anche le reti infrastrutturali sono gravemente carenti e perdono quasi il 50% del portato: anche qui sarebbe necessario un investimento importante.

Il problema vero, fa notare Parmigiani, non è il costo degli investimenti (i danni costano molto più delle alluvioni) ma la complicazione dell’iter autorizzativo e l’opposizione di principio a qualunque opera infrastrutturale. Verrebbe da concludere che non si deve investire solo in infrastrutture e innovazione, ma anche in un cambio di mentalità.

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