(Rinnovabili.it) – L’acquacoltura riuscirà a soddisfare la crescente domanda di prodotti ittici? Al momento sembra proprio di no, tanto che si prevede che nel 2050 mancheranno 50 tonnellate di pesce all’appello dell’approvvigionamento richiesto.
Planet Tracker è un think tank che produce analisi e rapporti per guidare le strategie di investimento delle istituzioni finanziarie ad allineare il sistema finanziario con un’economia a emissioni zero.
L’incolmabile divario tra domanda e offerta
Stando al nuovo rapporto di Planet Tracker, Avoiding Aquafailure, si impone un cambiamento di rotta. Anche nello scenario più ottimistico e con un sensibile miglioramento delle tecniche di acquacoltura, il divario tra domanda e offerta rimarrebbe sempre enorme.
Esistono soluzioni tecnologiche come l’allevamento di frutti di mare offshore o sulla terraferma o la coltivazione di pesce in laboratorio.
Queste potrebbero contribuire fino a 5 milioni di tonnellate aggiuntive di frutti di mare entro il 2050; l’acquacoltura rigenerativa potrebbe produrre ulteriori 45 milioni di tonnellate di frutti di mare e soddisfare l’incremento della domanda.
L’acquacoltura rigenerativa è un tipo di produzione di cibo dal mare. È utilizzato in particolare per allevare alcuni tipi di bivalvi (ad esempio ostriche, cozze e vongole) ma anche alcune specie di alghe che che apportano benefici all’ecosistema, ad esempio per il filtraggio dell’acqua o il sequestro del carbonio.
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L’allevamento intensivo è dannoso anche in acqua
Come avviene per l’agricoltura o gli allevamenti a terra le pratiche intensive sono sconsigliabili anche in acqua.
Le monocolture ittiche concentrate comportano rischi importanti per la biodiversità, con impatti che andrebbero dall’inquinamento da nutrienti allo spostamento di specie autoctone, e conseguenti perdite economiche per l’industria.
Purtroppo le ricerche effettuate dimostrano che non si tengono in gran conto questi principi: l’industria è sempre più concentrata sull’allevamento di dieci prodotti ittici – per l’89% del totale – e oltre il 75% delle grandi aziende acquacoltura allevano salmone, gamberetti o pangasio.
Una situazione confermata da François Mosnier, Head of Oceans Programme di Planet Tracker: «Sulla terraferma, la conversione dell’habitat naturale in monocoltura è ampiamente riconosciuta come un fattore chiave della perdita di biodiversità, ma meno riconosciuti sono i modelli simili che influenzano la vita marina a causa della monocoltura ittica.
L’acquacoltura rigenerativa è una possibilità realistica
La produzione ittica non sostenibile non nutrirà il mondo entro il 2050, ma la buona notizia è che si può costruire un’industria dell’acquacoltura resiliente, produttiva e sostenibile dal punto di vista ambientale.
Ci vorranno almeno 55 miliardi di dollari in spese in conto capitale per finanziare questa transizione, che la maggior parte delle aziende di acquacoltura non può permettersi.
Ecco perché chiediamo agli investitori e ai finanziatori di aiutare a diversificare l’industria dell’acquacoltura e colmare il divario di offerta».
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Planet Tracker ha messo in evidenza nel rapporto alcuni punti chiave utili agli investitori e agli istituti di credito che intendono sostenere la transizione rigenerativa:
- essere consapevoli dei crescenti rischi per la produzione in uno scenario business-as-usual;
- esigere migliori procedure di divulgazione, trasparenza e tracciabilità;
- sostenere la mitigazione di questi rischi attraverso la diversificazione delle specie e della distribuzione geografica;
- sostenere la mitigazione di questi rischi attraverso una tecnologia che consenta prodotti ittici offshore, RAS e coltivati, ma solo se ciò è rispettoso dell’ambiente;
- sostenere gli investimenti nell’acquacoltura rigenerativa.