La tecnologia si chiama PETE (Photon Enhanced Thermionic Emission), e nasce per aumentare il più possibile l’efficienza degli impianti termodinamici, riducendo al contempo i costi
(Rinnovabili.it) – C’è ancora molta strada da fare, ma Pete ha già raggiunto importanti risultati. Dietro al nome si nasconde un processo tecnologico, il “Photon enhanced thermionic emission”, vera e propria svolta concettuale che ricercatori di Stanford hanno messo a punto tre anni fa come modalità per catturare e sfruttare sia la luce e il calore in un dispositivo solare. Dal 2010 a oggi gli scienziati dell’ateneo americano sono riusciti a migliora PETE a tal punto da averne aumentato l’efficienza di un centinaio di volte. “Si tratta di un passo importante verso la realizzazione di dispositivi pratici e basati sulla tecnica per sfruttare luce e calore solare”, ha spiegato Nicholas Melosh, professore associato di scienza dei materiali e ingegneria a Stanford.
Le celle fotovoltaiche convenzionali utilizzano solo una porzione di lunghezze d’onda dello spettro solare per generare energia elettrica. PETE, invece, impiega uno speciale chip di semiconduttori per produrre elettricità utilizzando l’intero spettro solare, comprese le lunghezze d’onda dei raggi infrarossi. Ora la domanda è: in che modo i ricercatori immaginano di poter impiegare questo dispositivo? Dal momento che PETE opera bene a temperature molto calde, gli scienziati sono convinti si possa integrare “ai grandi impianti solari a concentrazione, come i progetti multi-megawatt in programma nel deserto del Mojave in California”. Lì, spiegano, il chip aiuterebbe ad aumentare la loro produzione elettrica anche del 50 per cento. Per raggiungere questi risultati la squadra di Melosh ha sostituito il silicio con il nitruro di gallio e ha aggiunto un secondo strato metallico a base di cesio, per aumentare ulteriormente la produzione di elettroni attraverso un meccanismo conosciuto come effetto termoionico.