Analizzando il ghiacciaio Mendenhall i ricercatori hanno scoperto depositi di nerofumo risalenti alla prima rivoluzione industriale, materiale che sta modificando gli ecosistemi oceanici
(Rinnovabili.it) – I ghiacciai ci stanno dando numerose informazioni sul nostro passato racchiudendo anche i segni antropici dell’inquinamento. Analizzando i campioni prelevati i ricercatori americani del Centro di ricerca di Woods Hole, in Massachusetts, hanno potuto affermare con certezza che nei ghiacci si nasconde l’inquinamento prodotto dall’uomo dall’inizio della prima rivoluzione industriale fino ad oggi. Per venire a capo della problematica Robert Spencer, assieme ai colleghi ricercatori, ha studiato il ghiacciaio Mendenhall vicino a Juneau, in Alaska, analizzando i depositi di carbonio sotto forma di fuliggine, il comune nerofumo.
“Stiamo trovando questa firma umana depositata in un angolo degli Stati Uniti, luogo che viene tradizionalmente considerato come eccezionalmente intatto” ha dichiarato Spencer. “La combustione di fonti fossili e di biomassa ha un impatto che possiamo notare in questi ghiacciai anche se sono distanti dai centri industriali, e si evidenzia perciò che i cicli biogeochimici superficiali di oggi sono universalmente post-industriali, in un modo che non riusciamo ancora a comprendere pienamente.”
Anche se molti scienziati ritengono che la fonte di questo carbonio siano le antiche foreste e le torbiere invase dai ghiacciai, Spencer e i suoi colleghi hanno rilevato che la datazione al radiocarbonio e la spettrometria di massa suggeriscono che il carbonio proviene principalmente dalla combustione di carburanti fossili e della biomassa di età contemporanea.
Il nerofumo, che a causa dello scioglimento dei ghiacci si deposita in mare, ha però effetti spesso negativi sugli ecosistemi marini e sulla catena alimentare, hanno annunciato i ricercatori, e lo scioglimento del ghiaccio del Golfo dell’Alaska è un fenomeno moderno, post-industriale.
“Quando guardiamo le catene alimentari marine oggi, possiamo vedere un quadro che è significativamente diverso da quello che esisteva prima del tardo 18° secolo” ha specificato Aron Stubbins, collaboratore presso l’Istituto di Oceanografia Skidaway in Georgia. “Non si sa come questo carbonio abbia influenzato le reti trofiche costiere dell’Alaska e quelle della pesca” ma rimane la preoccupazione che l’innalzamento della temperatura e il costante afflusso di fuliggine nelle acque influenzi negativamente la catena alimentare dei microrganismi marini.