L'indice ISPRED di ENEA, che dà il polso della situazione della transizione energetica italiana, scende del 25% annuo e tocca il minimo storico. I dati 2024

Cresce il differenziale dei prezzi dell’energia nel 2024 tra Italia e gli altri paesi europei. Sia per l’elettricità che per il gas. L’anno scorso la media annuale del MWh elettrico alla Borsa italiana è arrivato a 108 euro, rispetto a 78 in Germania, 63 in Spagna, 58 in Francia. Lo spread del costo del gas a MWh tra il mercato italiano PSV e quello di riferimento europeo TTF si è attestato a circa 3 euro in media. E i principali indicatori mostrano un allontanamento dai target 2030 del PNIEC, nonostante alcuni segnali positivi nella riduzione delle emissioni e nell’espansione delle rinnovabili.
È quanto emerge dall’analisi trimestrale di ENEA sull’andamento dei prezzi dell’energia 2024. Dati che vanno letti in un quadro complessivo che evidenzia una fase di difficoltà per la transizione energetica italiana.
Prezzi energia 2024, i dati di ENEA
I prezzi dell’energia sono ancora caratterizzati da un andamento altalenante, con aumenti concentrati nell’ultima parte dell’anno. Traiettoria analoga alle emissioni di gas serra.
Nel 2024 i consumi di energia sono aumentati dell’1% rispetto al 2023, trainati da trasporti (+3%) e settore civile (+2,5%). Le emissioni sono invece diminuite del 3% su base annua. Ma sono tornate a salire dell’1,5% nell’ultimo semestre (+3,5% nei settori trasporti e civile), dopo due anni di valori in calo.
“La nostra analisi ha rilevato una fase di estrema difficoltà nella transizione energetica nazionale, con un’Italia lontana dagli obiettivi di energia e clima al 2030”, commenta Francesco Gracceva che cura l’aggiornamento trimestrale dell’Analisi ENEA. “I pezzi di elettricità e gas – aggiunge – sono entrambi diminuiti del 15% nel 2024, tuttavia nella seconda parte dell’anno hanno avuto un trend di crescita e restano ancora molto al di sopra della media del decennio 2010-2020 (+60% il gas e più che raddoppiato il prezzo dell’elettricità)”.
I consumi di energia primaria nell’eurozona sono diminuiti di appena mezzo punto percentuale, con una riduzione drastica del carbone (-14%) e del petrolio (-1,5%), mentre i consumi di gas sono rimasti stabili. L’elettricità prodotta da rinnovabili e nucleare ha registrato un incremento del 5%. Nonostante ciò, il calo delle emissioni di CO2 (-3,5%) è risultato inferiore del 50% rispetto a quanto necessario per allinearsi alla traiettoria del target 2030. Per raggiungere gli obiettivi, sarebbe ora richiesta una riduzione media annua del 7%.
A differenza dell’eurozona, l’Italia ha visto un aumento dei consumi finali di energia (+1%), trainato da settori come trasporti (+3%) e civile (+2,5%), mentre l’industria ha continuato a registrare cali (-3%). Questo trend si è accompagnato a un riallineamento con i driver tradizionali (PIL, produzione industriale, mobilità). Segnale del fatto che le riduzioni dell’intensità energetica degli ultimi anni siano state solo parzialmente strutturali.
L’analisi di ENEA restituisce comunque degli elementi positivi. I consumi di carbone sono crollati (-2,5 Mtep), dimezzando il loro peso nella generazione termoelettrica (1% della domanda). Le rinnovabili (+12%) hanno invece guadagnato terreno, pur senza invertire la dipendenza dai fossili.
Per una lettura complessiva di questi dati sull’Italia, l’ENEA utilizza l’indice proprietario ISPRED, l’Indice Sicurezza-PREzzi-Decarbonizzazione che misura l’andamento della transizione energetica. Questo indicatore ha segnato un peggioramento sensibile,-25%, con valori al minimo storico. Le ragioni? Soprattutto la frenata nel calo delle emissioni e l’insufficiente crescita delle fonti rinnovabili. C’è stato, sì, un forte aumento delle installazioni di impianti fotovoltaici (+6,8 GW), ma la quota delle rinnovabili sui consumi finali (20%) resta 2,5 punti sotto l’obiettivo PNIEC al 2024.
“Sul minimo storico raggiunto dal nostro indice ISPRED ha giocato un ruolo importante il dato molto negativo delle emissioni nei settori non-ETS: per rispettare i target, dovrebbero ridursi del 5% l’anno fino al 2030, a fronte del -1% della media degli ultimi cinque anni”, conclude Gracceva.