Riccardo Piunti, Presidente di CONOU spiega a Rinnovabili perché è conveniente e sostenibile usare l'HVO prodotto con gli oli di scarto

L’Italia è un’eccellenza in molti settori. Uno di questi è la raccolta degli oli lubrificanti giunti a fine vita, in cui abbiamo raggiunto un tasso di rigenerazione e quindi di circolarità, unico: il 98%. E il merito è di
CONOU, Consorzio nazionale oli minerali usati, che da oltre 40 anni, si distingue non solo in Italia, ma in tutta Europa per aver saputo “connettere” le varie imprese del territorio, sensibilizzarle e coinvolgerle in questa best practice. Ma come spesso accade da una buona azione ne nasce un’altra. Con l’obiettivo di perseguire un modello circolare e sempre più sostenibile, CONOU ha siglato un protocollo d’intesa con UNEM (Unione energie per la mobilità) per diffondere l’utilizzo del biodiesel HVO, acronimo di Hydrotreated Vegetable Oil, il biocarburante prodotto dagli oli usati, nei 678 mezzi usati dal Consorzio proprio per raccogliere gli oli dagli oltre 103mila punti di raccolta sparsi da nord a sud.
Si tratta di mezzi di raccolta speciali, dotati di cisterne scompartate e di apposite pompe di aspirazione per aspirare l’olio dai fusti o dai serbatoi dei clienti, idonei a raggiungere qualunque attività in qualunque luogo del paese.
Noi di Rinnovabili siamo andati nella sede nazionale di CONOU per incontrare il suo Presidente, Riccardo Piunti, e capire in che misura questo biocarburante, a basso impatto ambientale, rappresenta un’alternativa al carburante tradizionale.
Presidente Piunti, iniziamo per gradi. Cos’è il biodiesel HVO e quali sono le fonti da cui si produce?
I carburanti di origine vegetale o derivati dal trattamento degli oli vegetali usati hanno una storia molto antica. Già molti anni fa, lavorando in Eni, il biodiesel era molto utilizzato per via delle facilitazioni fiscali, tuttavia, all’epoca – erano gli anni Novanta – un uso massiccio, con una bassa miscelazione con il diesel tradizionale, provocava problemi e disfunzioni, come la formazione di alghe e muffe nei serbatoi dovuti all’instabilità di questi biocarburanti. Successivamente, Eni intravide l’opportunità di convertire siti di raffinazione in dismissione per produrre un carburante di origine vegetale con scarti. L’HVO, di cui parliamo oggi, è prodotto con olio di frittura usato e altri oli vegetali di scarto, ma con un livello di
qualità tale da non causare problemi per poter essere usato anche in purezza al 100%. Per arrivare a questo livello, sono stati costruiti impianti che trattano la materia prima vegetale, rendendola chimicamente idonea alla combustione nei motori diesel.

L’idrogenazione, con l’uso di idrogeno, è il processo chiave per purificare il biocarburante.
Come avviene questo processo?
Serve un catalizzatore, una temperatura adeguata e una pressione di idrogeno sufficiente. L’idrogeno, infatti, è il grande purificatore nei processi di raffinazione, perché elimina gli inquinanti, garantendo un
prodotto stabile e pulito ed anche se il processo necessita di energia, il bilancio resta largamente positivo, perché è un sistema che produce diesel di qualità da materiale di scarto.
Che ruolo ha avuto CONOU in questa transizione?
I soci fondatori del CONOU, le compagnie petrolifere, insieme ai rigeneratori e raccoglitori, hanno promosso l’uso dell’HVO, considerando la sua enorme valenza dal punto di vista ambientale. Dobbiamo
considerare, infatti, che il biodiesel HVO riduce del 70% e oltre le emissioni di CO2 rispetto al diesel tradizionale.
Quindi può essere usato sia miscelato col diesel convenzionale che in purezza?
Sì, però per l’uso in purezza servono motori più moderni, come quelli Euro 6, per questo parlando con il Presidente di UNEM, Gianni Murano, abbiamo stretto un accordo per sensibilizzare i raccoglitori, che con i loro mezzi pesanti girano su strade ed autostrade, passando per i comuni e le città, tra le persone per raccogliere gli olii usati, a utilizzare l’HVO. Il consorzio non è un’azienda, ma un insieme di imprese
autonome e indipendenti, alle quali abbiamo chiesto di provare. Il primo caso, in particolare, è stato di grande successo; si tratta di un grande raccoglitore che opera nel Nord, che aveva già cambiato i camion Euro 6 e ha usato HVO sia miscelato che, poi, in purezza, e ne ha verificato l’efficacia.
Che impatto sui consumi?
I nostri raccoglitori hanno notato che i consumi risultano leggermente più alti, di circa il 5%, perché la densità dell’HVO è inferiore rispetto a quella del diesel tradizionale, ma tenendo conto di tutto il ciclo di utilizzo non si registra una perdita economica, perché il FAP (filtro antiparticolato), che ha il compito di bruciare il carburante per eliminare i residui accumulati, si attiva con una frequenza dimezzata rispetto al diesel tradizionale; inoltre non ci sono sedimenti, alghe o muffe nei serbatoi, che risultano anche più puliti e richiedono meno manutenzione.
E dei costi rispetto al diesel comune?
L’HVO ha un prezzo simile al diesel, a volte addirittura inferiore perché non è dipendente da meccanismi geopolitici. In più, CONOU ha fornito degli incentivi per il suo utilizzo, e in un caso particolarmente virtuoso il raccoglitore che ha iniziato a giugno 2024, a fine anno aveva già usato
146.000 litri.
La disponibilità di materia prima sarà sufficiente se l’HVO dovesse diventare un carburante diffuso?
Questo è un tema critico. ENI ha già convertito alcune raffinerie di Gela, Venezia e Livorno in bioraffinerie; tuttavia, il recupero dell’olio vegetale e degli scarti deve crescere con la domanda. Inoltre, il settore degli oli usati domestici è ancora in fase di sviluppo, ma è una sfida importante.
Quale potrebbe essere il futuro del biocarburante HVO entro i prossimi 10 anni?
Probabilmente l’HVO ed i carburanti alternativi avranno un ruolo chiave nel trasporto pesante, navale e aereo, perché c’è un problema di disponibilità e di quantità, non di efficienza meccanica, mentre il settore automobilistico ha già intrapreso la strada dell’elettrico e tranne qualche aggiustamento, credo che quella sarà la strada. Questo è un prodotto la cui essenza è nel riciclo, per cui il biocarburante resta una soluzione valida per la decarbonizzazione di molti settori industriali e della mobilità pesante.
La raccolta degli olii vegetali e l’utilizzo per produrne biodiesel HVO sono un modello solo italiano?
Il diesel di origine vegetale è un’idea molto italiana. Noi siamo primi in Europa, perché abbiamo una tradizione di risparmio e di attenzione a non sprecare niente, e dall’altra abbiamo avuto un modello vincente, che è quello consortile. In questo caso il modello industriale, cioè l’idea di Eni di usare i siti industriali per stabilirci impianti di riciclo, credo sia stata molto intelligente.