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Un anno di sfide per le montagne italiane

Accumuli sopra la media nelle Alpi, ma i ghiacciai soffrono il caldo record e le polveri sahariane. I rapporti di SNPA e Legambiente sottolineano il delicato equilibrio tra il ritorno della neve e le conseguenze della crisi climatica. Tra cui aumento del rischio valanghe e continua fusione dei ghiacciai

Neve in Italia 2024: Ritorno alla Normalità ma Ghiacciai in Crisi
Foto di Markus Spiske su Unsplash

Nell’ultima stagione invernale, le Alpi sono uscite dalla lunga fase di siccità e assenza di precipitazioni e accumuli nevosi consistenti. Anche se questo motivo di sollievo si è accompagnato a un aumento del rischio di valanghe e al costante ritiro dei ghiacciai. La neve in Italia è tornata dopo due anni ai minimi storici, ma i cambiamenti climatici non se ne sono mai andati.

Neve in Italia, un anno di ritorno alla normalità

La panoramica che emerge dal rapporto annuale del Sistema Nazionale Protezione Ambiente (SNPA), pubblicato in occasione della Giornata Internazionale della Montagna dell’11 dicembre, certifica il lento ritorno alla normalità per copertura nevosa. Ma sul lungo periodo la tendenza è chiara: -50% neve in 100 anni, ha calcolato di recente uno studio di università di Trento e Eurac Research di Bolzano 

Per la prima volta in cinque anni, in Piemonte si è registrato un surplus di neve fresca. Si è raggiunto un +20/40% rispetto alla media 1991−2020. Inoltre, le precipitazioni concentrate tra marzo e maggio hanno garantito un buon innevamento, con un inizio della fusione ritardato fino a luglio.

Anche in Valle d’Aosta e Lombardia si sono registrati accumuli nevosi superiori alla media storica, grazie a condizioni primaverili favorevoli.

D’altronde, è da aprile in avanti che è tornato stabilmente positivo lo Snow Water Equivalent (SWE), o equivalente idrico nivale. Cioè la misura che rappresenta la quantità di acqua derivabile dalla neve qualora venisse completamente fusa. Secondo i dati di Fondazione CIMA, tuttavia, lo SWE è rimasto in forte deficit ovunque al di sotto del 1000 metri di quota (-71% a maggio 2024) e sopra i 2000 la situazione è cambiata solo a partire da marzo.

Ghiacciai, ritirata perenne

Ma le temperature record del 2024 hanno annullato i benefici delle nevicate primaverili. Lo sostiene un rapporto pubblicato ieri da Legambiente dove l’associazione tira le somme della campagna Carovana dei Ghiacciai. E mette l’accento sugli eventi estremi sull’arco alpino: quest’anno sono stati 146. A cui si aggiungono le polveri sahariane trasportate dalle perturbazioni primaverili, che hanno accelerato la fusione dei ghiacci. Mentre, secondo il SNPA, è aumentato il numero di giorni di pericolo valanghe su tutto l’arco alpino, sia per il pericolo 3 (marcato) che 4 (forte).

La scomparsa dei ghiacciai non si è interrotta, anche se i dati sono meno compromessi rispetto agli anni recenti. La campagna di Legambiente ha constatato che il ghiacciaio dell’Adamello ha perso 3 metri di spessore nel settore frontale e mostra segni di fusione fino a 3100 metri di quota. Il ghiacciaio del Careser (Ortles-Cevedale) ha registrato una perdita media di 190 cm di spessore. Perdita di spessore compresa tra 1,5 e 2 metri per la Vedretta Lunga (Val Martello) e la Vedretta di Ries (Valle Aurina).

Arretramento glaciale e riduzione del permafrost generano, a loro volta, altre conseguenze. Una è l’avanzata dei boschi. Uno studio prevede che un innalzamento di 3°C nei prossimi 100 anni (scenario in linea con la traiettoria emissiva attuale) porterà le zone di vegetazione a spostarsi di 600 metri verso l’alto. Mentre si intensificano le frane d’alta montagna. Caso esemplare, nel 2024, l’evento sul ghiacciaio Tschierva (Piz Bernina): 8-9 milioni di metri cubi di roccia e ghiaccio crollati il 16 aprile.

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