La conferenza sul clima di Baku trova l'intesa sul nuovo quadro della finanza climatica post 2025. Ma è contestatissimo. Il Sud globale raccoglie le briciole
Alle 2:39 del mattino (ora di Baku) è arrivato l’accordo finale. La COP29 sul clima ha deciso il nuovo obiettivo di finanza per il clima, dopo 2 settimane di negoziati molto tesi. L’esito scontenta molte delegazioni: appena 300 miliardi di dollari l’anno dal 2035, quando gli esperti dell’Onu ritengono che il minimo sindacale sarebbero 390 miliardi.
C’è anche un secondo obiettivo, di 1.300 miliardi. Ma a contribuire saranno tutti i paesi. Ed è proprio questa una grande novità della conferenza sul clima di Baku: ha scardinato l’impostazione che i negoziati avevano dal 1992, cioè che solo i paesi ricchi contribuiscono alla finanza climatica.
Cosa significa, in termini concreti? Significa che, per la prima volta nella storia delle COP, adesso potrebbe contribuire anche un paese come la Cina. La cui economia rivaleggia con gli Stati Uniti, mentre il suo bilancio di emissioni di gas serra è più di 3 volte quello dell’Europa. E potrebbero mettere un po’ di risorse anche alcuni paesi mediorientali produttori di petrolio e gas, come l’Arabia Saudita.
Il loro contributo sarà ancora più necessario se Donald Trump farà di nuovo uscire l’America dall’Accordo di Parigi, come ha promesso in campagna elettorale.
Risultati COP29 clima: cosa ha deciso sulla finanza per il clima?
La finanza per il clima era il tema principale nell’agenda della COP29. A Baku si doveva decidere il quadro della finanza climatica post 2025. In particolare, come modificare l’obiettivo di 100 miliardi di dollari l’anno che i paesi più ricchi si erano impegnati a versare ai paesi in via di sviluppo entro il 2020 e fino al 2025.
La conferenza sul clima in Azerbaijan è riuscita con molta fatica a decidere il nuovo target, in gergo Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (New Collective Quantified Goal, NCQG). Si può dire che l’hanno spuntata i paesi industrializzati: gran parte dell’accordo finale è in linea con le loro richieste.
La COP29 ha rivoluzionato 30 anni di conferenze sul clima
Al di là delle cifre concordate, la decisione sul NCGQ è storica perché rivoluziona l’impostazione di 30 anni di conferenze sul clima.
Nell’ambito della Convenzione Quadro Onu per il contrasto del cambiamento climatico (UNFCCC), dal 1992 gli Stati membri sono divisi in 2 gruppi: paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Finora, nel rispetto di un principio fondatore dei negoziati sul clima (Responsabilità Comuni Ma Differenziate, CBDR), erano esclusivamente i paesi industrializzati (sviluppati) ad avere l’obbligo di contribuire alla finanza climatica.
Con l’accordo raggiunto sul NCQG, la COP29 ha sancito che anche i paesi in via di sviluppo sono chiamati a contribuire alla finanza climatica, se ne hanno la capacità. In questo modo, sarà più semplice spingere paesi come Cina e Arabia Saudita, che hanno capacità contributiva adeguata, a fare la loro parte. Non c’è (ancora) nessun obbligo, ma la loro posizione è drasticamente cambiata.
Sintesi dell’accordo COP29 sulla finanza per il clima (NCQG)
L’accordo finale è molto simile all’ultima bozza discussa ai negoziati, quella che conteneva la proposta di compromesso preparata dalla presidenza azera. Non ci sono stati grandi stravolgimenti. In estrema sintesi:
- i paesi sviluppati, insieme a contributi volontari di alcuni paesi in via di sviluppo, garantiranno 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035,
- tutti gli Stati si impegnano a creare le condizioni per mobilitare almeno 1.300 miliardi l’anno da tutte le fonti di finanziamento.
Vediamo i punti principali dell’intesa sulla climate finance, riassunti nella tabella qui sotto:
Obiettivo di 1.300 mld $ l’anno (art.7) | Obiettivo di 300 mld $ l’anno (art.8) | |
Quantum | “Almeno” 1.300 miliardi di dollari l’anno | “Almeno” 300 miliardi di dollari l’anno |
Fonti | Tutte le fonti pubbliche e private | Fonti pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative |
Modalità di erogazione | Non specificata; altri articoli citano la necessità di aumentare la quota di sovvenzioni (o forme analoghe) almeno per i paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari; non sono state incluse soglie minime per la quota di sovvenzioni come chiesto dai paesi in via di sviluppo | Idem |
Platea di riceventi | Tutti i paesi in via di sviluppo (non solo i più vulnerabili) | Idem (cancellata la priorità verso i paesi “particolarmente vulnerabili”) |
Base contributiva | Tutti i paesi sono “chiamati” a “lavorare insieme” per “aumentare” la finanza verso i paesi in via di sviluppo: in modo implicito, scardina il principio per cui fornire finanza climatica è compito esclusivo dei paesi industrializzati | I paesi sviluppati devono “prendere l’iniziativa”: un altro modo per affermare implicitamente che anche i paesi in via di sviluppo partecipano alla finanza climatica |
Contributi per paese | Non è più prevista l’ipotesi di introdurre un sistema di quote (burden sharing) che definisca quanto ciascun paese deve contribuire | Idem |
Ambiti coperti | L’articolo non specifica nulla, cancellata l’inclusione dei loss & damage insieme a mitigazione e adattamento | L’articolo non specifica nulla |
Tempistica | Entro il 2035 | Entro il 2035 |
Rispetto all’ultima bozza del 22 novembre:
- la modifica maggiore è il quantum: si passa da 250 a 300 miliardi l’anno;
- resta la divisione tra i 2 obiettivi (1.300 e 300 mld $), introdotta dalla presidenza azera per trovare un compromesso tra le posizioni inconciliabili del Nord e del Sud globali;
- indebolisce la formulazione della richiesta ai paesi sviluppati di contribuire alla finanza climatica: l’art.9 adesso è introdotto da “encourages”, non più da “invites”. Nessuno dei 2 verbi indica obbligo, ma quello inserito nell’accordo finale è più debole dell’altro;
- l’art.9 ora dice esplicitamente che il contributo da parte dei paesi in via di sviluppo resta “su base volontaria”;
- molte modifiche ad altri passaggi specificano che bisogna dare priorità ai finanziamenti verso i paesi meno sviluppati (ad es., l’Africa subsahariana) e i piccoli Stati insulari (es., atolli del Pacifico).
Oltre a ciò, l’intesa finale prevede anche due novità importanti:
- è istituita una roadmap di attività “da Baku a Belem”, cioè da oggi fino alla COP30 in Brasile a novembre 2025. Il compito di tali attività è capire come mobilitare i 1.300 mld $ l’anno, con un focus su sovvenzioni, strumenti a tassi agevolati e che non generano debito, e misure per creare “spazio fiscale”;
- introduce una revisione dei nuovi obiettivi di finanza climatica già nel 2030.
L’accordo sulla finanza per il clima raggiunto alla COP29: le reazioni
Alcuni paesi, tra cui India e Nigeria, hanno espresso la loro opposizione all’accordo in plenaria – ma dopo che il presidente della COP29 aveva formalmente approvato l’intesa. Le conferenze sul clima approvano le loro decisioni per consenso, quindi ogni voce contraria è sufficiente a bloccare i lavori. Molte delegazioni hanno accusato la presidenza azera di aver approvato frettolosamente l’accordo sulla finanza climatica, di fatto venendo meno al principio del consenso.
Durante la plenaria finale, dopo l’ok per consenso all’accordo di Baku, arrivano i commenti amareggiati, frustrati e delusi di molte delegazioni del Sud globale. “Avevamo più speranze che il processo avrebbe protetto gli interessi dei più vulnerabili e di coloro con meno capacità… Il livello di ambizione per intraprendere azioni contro il cambiamento climatico deve essere molto, molto più alto”, dichiara il rappresentante del Gruppo AOSIS, l’alleanza dei piccoli stati insulari.
Di risultato “deludente” parla il Gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC): “Abbiamo perso un’occasione per proteggere i più vulnerabili dalla crisi climatica e curare il nostro pianeta. Rimangono forti preoccupazioni per l’obiettivo di finanza climatica adottato”. L’attuale formulazione del NCQG, il nuovo obiettivo di finanza climatica post 2025, “non è solo un fallimento della diplomazia, è un fallimento della giustizia”, aggiunge il rappresentante del Gruppo LDC, Evans Njewa del Malawi.
Mentre i tre esperti indipendenti autori del rapporto Onu sulla finanza climatica sottolineano che, dai loro calcoli, entro il 2035 servirebbero 390 miliardi di dollari, di insoddisfazione per l’accordo parla il rappresentante di Panama, Juan Carlos Monterrey Gómez: “Questo è l’unico spazio che abbiamo per negoziare e lavorare per i nostri obiettivi comuni. Abbiamo accettato il testo perché non potevamo lasciare Baku senza un testo, ma non siamo per niente soddisfatti”.
L’ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Al Gore, attivo da decenni per l’azione climatica, sottolinea che “Non possiamo continuare a fare affidamento su mezze misure dell’ultimo minuto”.
Climate Action Network, uno dei più accreditati osservatori delle politiche climatiche, “respinge categoricamente l’esito della COP29 di Baku”. La cifra finale del NCQG è “del tutto inadeguata”, la qualità dei finanziamenti è “carente”, “non c’è equità o giustizia nel testo”, e “la direzione del finanziamento dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo non è stata presa in considerazione”, aggiunge l’organizzazione della società civile.
Il think tank italiano ECCO, specializzato in energia e clima, parla di “accordo al ribasso” sul NCQG. “L’accordo raggiunto è solo il punto di partenza, da qui a Belem si avvia un percorso per garantire che si trovino le risorse necessarie per finanziare la transizione in tutti i Paesi, soprattutto quelli più vulnerabili”, commenta Eleonora Cogo di ECCO. “L’ingresso della Cina come nuovo contributore ai finanziamenti per il clima è un segnale importante che dimostra anche che è meglio scommettere sulla decarbonizzazione. Sfruttando a pieno il potenziale delle istituzioni finanziarie internazionali possiamo, non solo raggiungere, ma anche superare questo obiettivo”.
“Non solo si è trattato di un accordo estremamente debole per la COP29, ma è stato anche portato avanti nonostante le obiezioni di numerosi paesi”, si rammarica il direttore del think tank africano Power Shift Africa, Mohamed Adow.
Cosa ha deciso la COP29 su mitigazione e Global Stocktake?
Debolissimo e deludente l’esito dei negoziati su altri due capitoli cruciali della conferenza sul clima di Baku: mitigazione e Global Stocktake.
Se con il NCQG bisognava fornire abbastanza risorse ai paesi in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica, in questi due filoni negoziali si trattava di:
- decidere come e quanto ridurre le emissioni di gas serra per rispettare gli obiettivi di Parigi,
- decidere come monitorare i progressi degli Stati.
I testi degli accordi finali non contengono nulla di tutto ciò.
Risultati COP29 clima sulla mitigazione (Mitigation Work Program)
Il Mitigation Work Programme è il programma dedicato alla mitigazione. Si concentra sulle azioni necessarie per limitare l’ulteriore aumento della temperatura media globale, puntando alla riduzione e, infine, all’azzeramento delle emissioni di gas serra.
Questo capitolo dei negoziati è stato un vero campo di battaglia. Durante la fase di negoziati tecnici, la prima settimana di conferenza, il testo dell’accordo si è arenato. La presidenza ha però deciso di “resuscitarlo” e discuterlo ancora durante la fase più politica dei negoziati. Il motivo? Serviva da contrappeso al testo sulla finanza climatica.
Sulla mitigazione, il braccio di ferro tra Nord e Sud globali è ribaltato rispetto a quello sulla finanza per il clima. Qui sono i paesi industrializzati a chiedere più ambizione, mentre i paesi in via di sviluppo spingono per un testo più vago, con pochi dettagli e ancor meno impegni e numeri. Tenere in vita questo testo serviva per bilanciare i risultati.
Di fatto, il Nord globale ha vinto sulla finanza, il Sud globale sulla mitigazione. E tutti noi ci ritroviamo con due accordi deboli, estremamente al ribasso.
Rispetto alle versioni discusse durante l’ultima settimana di negoziati, l’accordo finale cancella ogni riferimento:
- agli obiettivi dell’Accordo di Parigi (sia i 2°C sia gli 1,5°C di riscaldamento globale),
- all’obiettivo di lungo termine di emissioni nette zero,
- alla riduzione delle emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019,
- a qualsiasi rapporto dell’IPCC, che contengono le sintesi della scienza del clima.
Inoltre, il testo di punta sul pilastro della mitigazione del riscaldamento globale non contiene alcun riferimento alla necessità di avviare la transizione dai combustibili fossili, sancita dal Patto di Dubai siglato alla COP28 l’anno scorso. Come se non bastasse, le 3 pagine di accordo non citano alcuna soluzione concreta da adottare per tagliare le emissioni di gas serra.
Global Stocktake: cos’è e perché è importante
Il Global Stocktake (GST) è il bilancio quinquennale sugli impegni nazionali sul clima previsto dall’Accordo di Parigi. Fa il punto sugli sforzi collettivi per rispettare il Paris Agreement e dà indicazioni su come correggere la rotta.
Le indicazioni del Global Stocktake servono come bussola per formulare i piani climatici nazionali (Contributi Nazionali Volontari, NDC), che devono essere aggiornati ogni 5 anni. Anche se i risultati del GST non sono vincolanti – non obbligano i paesi a modificare i loro NDC – sono comunque un punto di riferimento su cui valutare se gli Stati stanno facendo la loro parte.
Il 1° GST si è tenuto l’anno scorso alla COP28 di Dubai. È anche grazie ai risultati del 1° GST (poco lusinghieri) che il vertice del 2023 è riuscito a includere nella dichiarazione finale la necessità di avviare la transizione dalle fonti fossili.
Quello del Global Stocktake resta un tema nuovo, di cui le conferenze sul clima non si sono mai occupate prima a 360 gradi. La COP28 ha discusso un rapporto tecnico preparato dall’Onu, mentre a Baku bisognava mettersi d’accordo sia su come procedere, sia su quali temi rientrano nel prossimo GST e quali no.
Tre i tavoli negoziali che hanno lavorato in parallelo alla COP29:
- questioni strutturali e sulle procedure: quale base scientifica è accettabile? Solo fonti dell’IPCC o anche altre (magari meno rigorose, che esprimono meno il consenso della comunità scientifica)?
- cosa rientra nel “Dialogo EAU sul GST”: considerare tutti i risultati del GST, o concentrarsi solo sui flussi finanziari (visto che gli NDC dei paesi in via di sviluppo spesso dipendono in larga parte da finanziamenti esterni)?
- come continuare il dialogo annuale sul GST: la COP28 ha istituito un momento annuale di dialogo per lo scambio di buone pratiche e esempi su elementi positivi degli NDC, da tenersi nei negoziati intermedi che si svolgono ogni giugno in preparazione alla COP successiva. Come proseguire?
Risultati COP29 clima Global Stocktake (GST)
Dei 3 filoni, solo il 2°, il Dialogo EAU sul GST, ha prodotto un accordo finale. Il dialogo dovrebbe vertere su come concretizzare i risultati della Global Stocktake del 2023. In realtà, dal testo manca qualsiasi elemento chiave che rende possibile implementare la GST.
Le principali debolezze dell’accordo sul GST sono:
- Mancanza di un processo per monitorare l’attuazione degli obiettivi stabiliti nel GST, come il passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, il triplicamento dell’energia rinnovabile e altri impegni simili.
- Assenza di collegamenti con le future agende della COP, rendendo difficile integrare tali obiettivi nei prossimi incontri internazionali.
- Nessun ulteriore obiettivo definito su temi cruciali come le reti elettriche, i sistemi di stoccaggio dell’energia o il divieto di nuove centrali a carbone.
Risultati COP29 clima sui mercati del carbonio
I mercati del carbonio sono sistemi che consentono lo scambio di crediti di carbonio. Questi crediti sono (o meglio, dovrebbero) rappresentare emissioni ridotte o rimosse, e possono essere scambiati tra paesi, aziende o individui.
I carbon market mirano a incentivare la riduzione delle emissioni globali, permettendo ai paesi o soggetti più virtuosi di vendere crediti a chi è in ritardo sugli obiettivi climatici. L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi disciplina questi scambi, prevedendo meccanismi di cooperazione internazionale per raggiungere obiettivi climatici comuni.
Alla COP29 di Baku, è stato approvato un accordo sull’articolo 6.4, che istituisce un mercato globale del carbonio regolato da standard internazionali per garantire integrità, trasparenza e funzionamento equo del sistema.
Quali sono gli elementi chiave dell’accordo raggiunto alla COP29 in questo ambito?
- Adozione di standard internazionali per i crediti di carbonio supervisionati da un organo ONU (Supervisory Body).
- Regole per evitare il doppio conteggio delle riduzioni di emissioni.
- Inclusione di progetti per rimozioni e stoccaggi verificabili e misurabili.
- Meccanismo di transizione dal vecchio sistema del Clean Development Mechanism (CDM).
- Gli standard non sono definitivi, e sono ancora incompleti: la presidenza ha fatto pressione affinché l’accordo prevedesse la possibilità di rivederli già dall’anno prossimo.
E’ stato approvato anche un accordo sull’articolo 6.2, che riguarda lo scambio bi- e multilaterale di riduzioni delle emissioni e di rimozioni delle emissioni. Tale scambio avviene tramite dei crediti particolari chiamati ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes).
L’intesa finale non riesce a dare la necessaria cornice di affidabilità, integrità ed efficacia a un mercato, quello dei crediti di carbonio su base volontaria, che è accusato da più parti di essere carente e scambiare crediti non corrispondenti a reali rimozioni durature di gas serra.
- Nello specifico:
- l’accordo non prevede né sanzioni né procedure per rimediare nel caso emergessero delle incoerenze tra l’efficacia dichiarata dai contraenti e l’efficacia reale dei progetti di riduzione/rimozione di CO2,
- non è chiaro quando sarà creato il nuovo registro globale degli scambi di crediti ex art.6.2, né quanto potrà essere efficace,
- le regole fanno sì che eventuali incoerenze nei crediti potrebbero emergere dopo anni.
FAQ – Domande frequenti
Cosa ha deciso la COP29 sulla finanza climatica?
La COP29 ha fissato due obiettivi finanziari: 300 miliardi di dollari annui dai paesi sviluppati (con il concorso di quelli in via di sviluppo) e 1.300 miliardi da tutte le fonti entro il 2035. Questo segna un cambiamento storico, coinvolgendo anche alcuni paesi in via di sviluppo come contributori, ma molti ritengono le cifre insufficienti per affrontare la crisi climatica.
Quali sono le principali novità della COP29?
L’accordo della COP29 rivoluziona la finanza climatica includendo anche paesi in via di sviluppo come potenziali contributori. Inoltre, prevede una roadmap “da Baku a Belem” per mobilitare i fondi e una revisione degli obiettivi già nel 2030. Tuttavia, resta controverso per il basso livello di ambizione e la mancanza di obblighi chiari.
Perché l’accordo della COP29 di Baku è contestato da molti paesi?
Le delegazioni del Sud globale, tra cui Nigeria e India, lo giudicano inadeguato, accusando la presidenza di aver ignorato il principio del consenso con cui si approvano gli accordi sul clima. La cifra di 300 miliardi è ritenuta troppo bassa rispetto ai 390 miliardi richiesti dagli esperti ONU, e il testo manca di equità, trascurando le necessità dei paesi più vulnerabili.
Quali sono stati i risultati della COP29 sulla mitigazione del riscaldamento globale?
Il testo finale è debole e privo di impegni concreti. Non cita gli obiettivi di Parigi, le emissioni nette zero o il taglio del 43% delle emissioni entro il 2030. Inoltre, ignora riferimenti ai combustibili fossili e non include misure specifiche per ridurre le emissioni globali.
Cosa ha evidenziato l’intesa sul Global Stocktake?
L’intesa non ha portato a risultati concreti. Non sono stati previsti processi per monitorare l’attuazione degli obiettivi cruciali, come la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili. Inoltre, manca un legame con le future agende della COP, rendendo difficile l’integrazione di questi obiettivi nei prossimi incontri internazionali.
Quali sono i risultati sui mercati del carbonio?
L’accordo sull’articolo 6.4 istituisce standard globali per i mercati del carbonio, promuovendo la trasparenza e l’integrità. Introduce criteri per certificare le riduzioni di emissioni e stabilisce un comitato di supervisione. Non risolva molte delle questioni principali, ma getta le basi per un mercato più regolamentato.