di Fabrizia Sernia
Il futuro è nell’oceano. E soprattutto le giovani generazioni dovranno difendere quello che è il più grande ecosistema conosciuto fino ad oggi nell’Universo dalle aggressioni e dalle derive guidate dall’uso dissennato delle sue risorse. Come intervenire da subito? Attraverso un ripensamento del paradigma di crescita economica seguito fin qui e una mitigazione della pressione antropica, ovvero dell’azione dell’uomo. Occorre insomma “cambiare rotta” e fare un intenso lavoro di sensibilizzazione.
E’ il filo conduttore che ha guidato l’evento “Il futuro è nell’oceano: la faccia nascosta del pianeta”, organizzato dal Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente e dall’Unità Comunicazione del CNR, svoltosi a Roma, nella sede dell’Ente, dove è stata inaugurata anche la mostra imperdibile “Aquae. Il futuro è nell’oceano”, visitabile fino al 18 dicembre, che accompagna i visitatori con exibit e percorsi interattivi per scoprire come è fatta la faccia nascosta del pianeta e che cosa ne regola l’equilibrio.
Serbatoio immenso di ossigeno per il pianeta – gli oceani producono più del 50% dell’ossigeno presente nell’atmosfera – e scrigno di biodiversità – oltre la metà delle specie viventi si trova nel mare – gli oceani sono fonte essenziale di alimentazione per 3 miliardi di persone al mondo. Assorbendo il 93% del calore in eccesso che arriva sulla Terra e il 30% delle emissioni di anidride carbonica, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del clima sul Pianeta. Questo patrimonio naturale, capace di generare, dagli esordi del commercio nella storia dell’uomo, anche fondamentali benefici per l’economia e la ricchezza dei Paesi del mondo – il valore economico degli oceani supera i 24 mila miliardi di dollari ed è destinato a crescere -, giocherà un ruolo determinante nei prossimi decenni anche per l’approvvigionamento di risorse energetiche.
Si stima che nel 2050 oltre il 50% delle risorse energetiche e minerarie verranno estratte dal mare. Un capitale naturale che tuttavia non è illimitato. Occorre monitorarlo, tutelarlo e preservarne la biodiversità, perché l’azione dell’uomo non mini a tal punto l’ecosistema da sovvertirne totalmente gli equilibri. Un dovere che attiene a tutti, scienziati e società civile. Un compito che riguarda soprattutto il futuro dell’umanità, le giovani generazioni.
Ma perché queste ultime possano, iniziando fin d’ora, ad onorare questo impegno, è necessario un lavoro continuo di conoscenza e di conquista della consapevolezza, che ha bisogno di tre elementi: i risultati della ricerca scientifica, la loro condivisione, la sensibilizzazione attraverso la divulgazione e il coinvolgimento delle scuole, con un ruolo importante e insostituibile svolto sia dai ricercatori che dai docenti.
La Presidente del CNR, Maria Chiara Carrozza: “Esplorare l’oceano è una grande opportunità”
“Esplorare il mare è una grande opportunità. E’ un po’ come esplorare l’Universo” – ha dichiarato la Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Maria Chiara Carrozza, accogliendo, insieme al Direttore del Dipartimento Scienze del Sistema Terra, Francesco Petracchini, gli studenti di due Licei e due scuole medie di Roma, sottolineando l’importanza del lavoro dei ricercatori e delle conquiste della ricerca scientifica.
L’uomo conosce più gli abissi dello spazio – Luna, Marte e gli altri pianeti – che gli abissi del mare. Gli scienziati stimano che soltanto il 5% degli oceani sia stato esplorato in modo sistematico e che ci siano ancora migliaia di specie da scoprire negli abissi marini. ““”Conosciamo meglio la superficie della Luna rispetto ai fondali oceanici”, ha spiegato Marco Faimali – Direttore Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino e Referente Comunicazione Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC). Mostrando il primo scatto della Terra dalla Luna, ha aggiunto: “Sul fondo del mare siamo arrivati soltanto con dei robottini, con dei sommergibili, con le onde sonore. Sulla Luna, viceversa, ci siamo arrivati e la conosciamo maggiormente”.
Faimali: “Più acqua che terra: gli oceani equivalgono al 71% della Terra”
“Chiamiamo il nostro pianeta Terra, ma in realtà il 71% è costituito da acqua. Di questo il 97,5% è acqua di mare. Il mare è il più grande ecosistema che conosciamo, per ora, nell’Universo”, ha spiegato ancora Marco Faimali, aggiungendo che gli oceani sono una realtà di 1330 milioni di Km cubi di acqua di mare, con una profondità media di circa 4mila metri, e un apice di profondità nell’Oceano Pacifico, che tocca gli 11mila metri della Costa delle Marianne, tra il Giappone e le Filippine.
I benefici che questo grande ecosistema dona all’umanità sono molteplici, a partire dall’effetto combinato che gli oceani e le grandi correnti oceaniche giocano nella regolazione del clima. Gli oceani assorbono calore nei periodi e nelle zone più calde, rilasciandolo lentamente nei periodi e nelle zone più fredde. Un’azione, questa, così determinante da regolare sia la variabilità economica nelle stagioni, sia quella climatica anche nel corso di decine di anni. Le correnti oceaniche agiscono come un nastro trasportatore che trasferisce acqua calda dall’equatore ai poli e acqua fredda in senso opposto. Sono questi movimenti che regolano il clima del pianeta, grazie ad un’azione di contrasto alla distribuzione non uniforme della radiazione solare che raggiunge la Terra. Senza oceano e senza correnti oceaniche l’uomo avrebbe temperature estreme nelle diverse regioni della Terra – con caldo e freddo intollerabili all’Equatore e ai Poli, rispettivamente – rendendo queste regioni del pianeta inabitabili.
“Gli oceani sono anche un grande polmone blu. Respiriamo non soltanto grazie agli alberi, ma anche grazie all’incredibile foresta sommersa che abita gli oceani nel primo strato di 200 metri di profondità, dona l’ossigeno per vivere e respirare ed è un grande serbatoio capace di assorbire la CO2”. L’oceano è anche un grande serbatoio di vita. Si stima che nel mare si trovi quasi l’80 per cento delle specie. Ma è una stima, ha nuovamente sottolineato il Direttore Faimali, “perché del mare conosciamo ancora poco. Il mare è la faccia nascosta del nostro pianeta. Ed è questo ciò che gli scienziati, con la ricerca, con passione, cercano di capire”. Quanto al Mare Nostrum, il Mediterraneo, è pari all’1% delle superfici degli Oceani mondiali, ma incide per il 20% sul Prodotto interno lordo globale. E conta il 10% di biodiversità marina.
Risorsa alimentare, ma ecosistema fragile
Il mare è fonte di cibo. Per tre miliardi di persone il pesce è la principale fonte di proteine. Ma la dipendenza globale da questa importane risorsa alimentare è anche la più forte minaccia per la sopravvivenza delle specie ittiche.
Il mare è fragile. Gli impatti dei comportamenti umani sono numerosi. L’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino studia cause ed effetti su questo ecosistema. “Nell’era dell’antropocene – ha avvertito il Direttore dell’Istituto, Faimali – , le attività dell’uomo stanno modificando tutte le regole. Occorre cambiare rotta. Fra gli impatti dobbiamo ricordare le microplastiche, ma anche i medicinali che usa l’uomo per curarsi e le sostanze di origine antropica finalizzate alla salute dell’uomo”. La maggior parte dei rifiuti prodotti dall’uomo finisce, in un modo o nell’altro, in mare, esercitando un’enorme pressione sull’ecosistema marino. L’80% dell’inquinamento dei mari proviene dalla terraferma, il 20% da attività svolte in mare – pesca, acquacoltura, trasporti marittimi, estrazioni petrolifere –.
Di fronte a questo scenario, come intervenire? La via è una e una sola. “Il rapporto dell’uomo con l’ambiente deve tornare ad essere circolare” – afferma Faimali. Non possiamo pensare di salvare l’ecosistema oceanico mantenendo inalterata l’idea di crescita economica su cui si è basato lo sviluppo fino ad oggi, preservando soltanto qualche zona “bella”, funzionale al turismo di massa. Dobbiamo studiare l’oceano, la sua biodiversità e i suoi fondali, passando ad un’economia circolare che superi l’impostazione “usa e getta” che il nostro pianeta, anche con l’aiuto prezioso degli oceani, non riesce più sostenere. “Dobbiamo tornare a comportarci da specie, consapevoli che siamo una parte della biodiversità, che l’uomo può regolare con la consapevolezza che la conoscenza e la ricerca possono dare”.
Occorre insomma “fare delle ricerche e prendere delle decisioni, prima di tutto puntuali, poi tecnologiche. Pensiamo all’inquinamento. La plastica non è il problema, è l’uso che ne facciamo che va modificato. E lo dovete fare voi – ha detto rivolgendosi agli studenti delle scuole -. Siete voi il cambiamento, il futuro, non solo dell’Oceano ma del nostro pianeta. Ricordiamocelo. Abbiamo un unico posto dove viviamo per ora…a parte Elon Musk con qualche suo amico che tra qualche anno potrà scappare su un altro pianeta.. Ma lo vedo molto triste, non sarà così bello come il nostro pianeta” – ha avvertito Faimali.
“Conoscere e monitorare per tutelare la biodiversità” – Mariachiara Chiantore, docente di Ecologia all’Università degli Studi di Genova e co-coordinatrice Spoke 2 – Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC)
“La tutela della biodiversità è stata inserita nell’articolo 9 della Costituzione. Per tutelarla occorre conoscere e monitorare – ha ricordato la docente di Ecologia dell’Università di Genova e co-coordinatrice Spoke 2 – Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC), Mariachiara Chiantore.“Conosciamo soltanto il 5% dei fondali oceanici, perché è stato esplorato. E conosciamo soltanto circa il 10% della biodiversità totale”. Per la scienziata “occorre quindi monitorare l’oceano e formare le nuove generazioni”. C’è bisogno di ridurre gli impatti antropici. “In questi giorni – ha aggiunto – si sta svolgendo la Cop29 a Baku, in Azerbajan. Il primo obbiettivo è quello di cercare di contrastare il cambiamento climatico, che impatta in maniera davvero importante su tutta la biodiversità marina e terrestre”.
Una diversità che va preservata, ha sottolineato, perché la ricchezza delle forme di vita sul pianeta assicura il benessere della specie umana. Un benessere per la salute dell’uomo che si può tradurre anche in un minor ricorso a farmaci antidepressivi o ansiolitici, “dal momento che la biodiversità può essere uno strumento per farci stare bene. Dobbiamo conservare la biodiversità, proteggerla, come si fa con un’opera d’arte, perché la natura è un’opera d’arte”. A questo proposito sarà importante il ruolo del Centro Nazionale per la Biodiversità (NBFC), uno dei Cinque centri nazionali finanziati attraverso il Ministero della Ricerca con i fondi del PNRR , con il compito di monitorare, conservare, restaurare, far tutelare la biodiversità, che permetterà anche a tutti i cittadini di conoscere la biodiversità.
Educare i giovani alla biodiversità… Anche per le professioni del futuro
“Mi rivolgo agli insegnanti – ha fatto infine un appello la scienziata – perché il ruolo degli educatori è molto importante nel formare alla sensibilità per la biodiversità. Quando c’è questa educazione, i ragazzi hanno un approccio molto costruttivo”. La biodiversità “è un capitale naturale, che attirerà investimenti anche da parte dei privati – le ha fatto eco il Direttore Marco Faimali -. Anche nel mondo delle aziende si fa largo fra i manager l’idea che per salvaguardare il proprio business occorre tutelare la biodiversità. Questo significa che ci saranno sicuramente per i giovani professioni del futuro che punteranno alla ricostruzione della biodiversità”.
Il premio Citizen Science del CNR
Le giovani generazioni, anzi, soprattutto loro, possono contribuire a innescare un percorso virtuoso di salvaguardia della biodiversità. “La ricerca è collaborazione e un aspetto interessante è che la ricerca si può fare anche con persone che non sono esperte, come i normali cittadini o gli studenti”, ha spiegato Silvia Merlino, ricercatrice dell’Istituto CNR di Scienze Marine. “Citizen Science”, istituito dall’area comunicazione del CNR in collaborazione con la Biblioteca Guglielmo Marconi vuole realizzare questo obbiettivo. Grazie al Premio è possibile avviare dei progetti con le associazioni, ma anche con le scuole, per consentire agli studenti di “sporcarsi le mani” e fare attivamente qualcosa per tutelare la biodiversità. Giunto alla sua seconda edizione, lo scorso anno il Premio è stato assegnato ad un progetto che ha esaminato l’impatto antropico sull’ecosistema, rivolgendosi direttamente alle scuole. Per l’edizione di quest’anno si candida, fra gli altri, il progetto “Piccoli Grandi scienziati e Cittadini crescono”, a cura dell’Istituto Comprensivo Piaget- Majorana di Roma, che è stato presentato al CNR dagli studenti della scuola.