Oggi l’Italia ha una potenza geotermica installata di 1.100 MW che generano circa 6 TWh l’anno. Il potenziale arriva a 115 TWh. Per sfruttarlo, Saipem mette a servizio il suo know how specifico e quello nell’ambito delle perforazioni e dell’impiantistica per l’Oil&Gas puntando, oltre che su geotermia tradizionale, anche su offshore, innovazione e sistemi di nuova generazione
L’Italia è un paese pioniere nell’ambito dell’energia geotermica grazie alle sue particolari condizioni geologiche. Nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) aggiornato a giugno 2024, il governo ha previsto un target di 1.000 MW attivo in campo geotermico nel 2030. Al 2040 è fissato poi l’approvvigionamento di una quantità di energia pari a 18 Terawatt/ora (TWh), pari a quasi il 6% del fabbisogno elettrico nazionale (con i consumi attuali). Ma qual è il potenziale italiano in questo campo? E quali sono le prospettive innovative verso cui ci si sta muovendo?
Il potenziale dell’energia geotermica ed esperienza Saipem
Oggi l’Italia ha una potenza geotermica installata di 1.100 MW che generano circa 6 TWh l’anno, cioè poco più del 5% del totale prodotto dalle fonti rinnovabili nazionali. Numeri limitati, che posizionano l’Italia all’ottavo posto per capacità di generazione di energia geotermica installata, ovvero la potenza prodotta dai cosiddetti impianti geotermoelettrici attivi attraverso la conversione del calore in energia elettrica, dietro a Stati Uniti, Indonesia, Filippine, Turchia, Nuova Zelanda, Kenya e Messico.
Il potenziale stimato, però, è molto più elevato e quindi ancora poco sfruttato: secondo RSE, parliamo di una stima massima di 115 TWh, quasi metà del fabbisogno nazionale, per una potenza termica installabile di 13.000 MW distribuita in 382 Comuni. Si tratta di risorse sostenibili, rinnovabili, costanti e programmabili.
Un rapporto di The European House – Ambrosetti e Rete Geotermica sulla geotermia a emissioni nulle (con reiniezione totale del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza) rilasciato lo scorso aprile stima che l’Italia potrebbe coprire fino al 10% della produzione elettrica prevista per il 2050, rispetto all’attuale 1,7% annuo. E sfruttando solo il 2% del potenziale geotermico nazionale entro i primi 5 km di profondità.
Questo potenziale può essere sfruttato molto più di quanto fatto finora e può esser fatto con la filiera industriale italiana che è di elevato livello, ha competenze e lunga esperienza sia nella valutazione che nella valorizzazione della risorsa geotermica e dispone di un know how in materia più vasto di quanto il panorama attuale farebbe ipotizzare. Basti pensare a Saipem, che è attiva nell’ambito dell’energia geotermica fin dagli anni ’70. Prima come contrattista di perforazione, poi anche con la fornitura di servizi di ingegneria per valutare le risorse in campi geotermici.
Saipem ha incorporato anche l’esperienza di AQUATER SpA, società di ingegneria ambientale nata nel perimetro del gruppo ENI, ed ora parte di Saipem, che ha svolto per oltre 25 anni servizi di esplorazione e produzione nel settore geotermico in Italia e all’estero, con progetti in paesi e regioni come Etiopia, Kenya, Rift Valley, Indonesia. Saipem ha contribuito alla realizzazione di almeno 40 pozzi geotermici in tutto il mondo.
Parte di questo bagaglio di competenze, anche esperienze eccellenti come la collaborazione con istituzioni prestigiose e internazionali come il Lawrence Berkeley National Laboratory (LBNL) degli Stati Uniti e l’IGG/Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR/Consiglio Nazionale delle Ricerche, oltre a importanti compagnie energetiche internazionali con cui continua a collaborare nell’ambito della perforazione tradizionale e nella realizzazione di grandi infrastrutture energetiche.
Sviluppare l’energia geotermica
Oltre alla competenza nel campo della geotermia convenzionale, proprio sulla base del suo know how e della sua esperienza pluridecennale, Saipem nel 2023 ha strutturato un nuovo programma di ricerca e sviluppo dedicato allo sfruttamento dell’energia geotermica. Programma che, in prospettiva, ha l’obiettivo di valorizzare le risorse geotermiche per metterle pienamente a servizio di una transizione sostenibile. Andando al di là dei confini tecnici e geografici convenzionali e cercando sinergie con le priorità del processo di decarbonizzazione. Come? Puntando sull’energia geotermica marina, sui sistemi geotermici di nuova generazione e sulla riconversione dei pozzi di estrazione di petrolio e gas depletati.
Riconversione dei pozzi di estrazione di petrolio e gas
La prima direttrice del programma R&D mira a sviluppare l’energia geotermica accompagnando al tempo stesso il processo di abbandono graduale delle fonti fossili. Saipem sta approfondendo le opzioni per convertire i pozzi di idrocarburi non più in uso in pozzi geotermici, offrendo così una soluzione innovativa rispetto alla loro chiusura definitiva.
Questa strategia permette di utilizzare il calore immagazzinato nei giacimenti di idrocarburi esistenti, evitando la chiusura e cementazione dei pozzi, e introducendo un approccio di economia circolare e sostenibilità nell’ambito delle fonti fossili convenzionali. Tuttavia, questa opzione non è sempre applicabile a tutti i giacimenti esauriti o prossimi all’esaurimento. La ricerca punta proprio a sviluppare un ventaglio di soluzioni adatte alle diverse configurazioni e caratteristiche dei siti.
Sistemi geotermici avanzati
“Saipem, nel suo percorso di ricerca di innovazione, ha deciso di puntare anche sulla geotermia, in linea con il piano di rafforzamento del nostro ruolo nella transizione energetica. La geotermia onshore e offshore, sia tradizionale che non convenzionale, richiede l’utilizzo di tecnologie, asset e competenze vicine al nostro core business e rappresenta un naturale sbocco tecnologico per i nostri mezzi e le nostre risorse tecniche”, ha sottolineato Filippo Abbà, Chief Technology & Innovation Officer di Saipem, nel corso del suo intervento alle Giornate dell’Energia di Salina Verde 2024, la tre giorni dedicata alla transizione energetica delle isole minori.
Lo sviluppo tecnologico è la seconda direttrice del programma R&D di Saipem. Diverse tecnologie di nuova generazione, attualmente in fase di sviluppo e spesso basate su metodologie dell’industria petrolifera, potrebbero rendere possibile l’utilizzo di risorse geotermiche meno valorizzate o di difficile accesso. Estendendo la produzione di energia oltre le tradizionali regioni idrotermali. Tra queste, i sistemi geotermici a circuito chiuso e i sistemi avanzati permettono la creazione di un serbatoio geotermico in aree dove naturalmente non sarebbe possibile estrarre energia.
Puntare sul geotermico offshore
Le risorse geotermiche presenti in mare offrono un potenziale energetico stimato che è superiore rispetto a quelle terrestri. E restano ancora inutilizzate. Sviluppare soluzioni energetiche su larga scala per sfruttarle, eventualmente includendo la coproduzione di acqua dolce, idrogeno verde e ammoniaca, potrebbe dare un contributo significativo alla transizione energetica globale. Qui Saipem può fare leva sulla sua esperienza nelle operazioni subacquee, anche in acque profonde.
Un orizzonte, quello del geotermico offshore, che ha un potenziale di sviluppo notevole soprattutto in un mare come il Mediterraneo. Incluse le acque del Belpaese. Qualcosa si sta già muovendo con il progetto sperimentale IRGIE dell’INGV finanziato dal Dipartimento dell’Energia della Regione Siciliana. L’obiettivo è valutare nel dettaglio le potenzialità geotermiche dell’intero arcipelago delle isole Eolie, puntando all’utilizzo della risorsa geotermica sia bassa (30°C-100°C), che media (100°C-150°C) e alta temperatura (>150°C). E Saipem sta puntando all’offshore anche tramite un MoU siglato nel 2024 con due società specializzate nel settore geotermico, Geolog e Ignis H2 Energy, per condurre studi congiunti che individuino gap tecnologici e soluzioni per sfruttare la geotermia offshore e non convenzionale.
La geotermia a servizio della transizione
A fianco di queste direttrici, la rivalutazione strategica dell’energia geotermica da parte di Saipem punta anche sullo sviluppo di convergenze virtuose con altri ambiti cruciali nei percorsi di decarbonizzazione dei prossimi decenni. La parola chiave, in questo senso, è “ibridazione”.
Ibridazione di progetti e tecnologie close to market, come nella sinergia tra processi di cattura della CO2 (CCS) ed energia geotermica a bassa-media entalpia. Il consumo di energia richiesto per la CCS comporta un incremento significativo, sia in termini di costi economici sia per le emissioni aggiuntive generate.
La soluzione tecnologica Bluenzyme™ di Saipem per la CCS, idonea all’utilizzo di calore recuperabile da fonti a bassa temperatura, può ridurre ulteriormente le emissioni sfruttando l’energia geotermica come energia di processo. Questo concetto viene concretamente sfruttato nel progetto di cattura della CO₂ del Gruppo Hera e Saipem, denominato CapturEste, che è stato recentemente selezionato dalla Commissione Europea per ricevere quasi 24 milioni di euro di sovvenzioni dal Fondo per l’Innovazione, per contribuire a mettere in atto tecnologie pulite all’avanguardia in tutta Europa.
O, ancora, come nel caso della valorizzazione dei fluidi presenti nei reservoir geotermici, spesso ricchi di minerali come litio e boro. Cioè di minerali fondamentali per la transizione energetica e digitale. Una direttrice R&D mira appunto a valutare tecnologie mature per l’estrazione di materie prime abbinate alla geotermia.