Il rapporto annuale dell’Agenzia ONU per la Protezione Ambientale aggiorna gli indicatori chiave per valutare le probabilità che ci restano di rispettare Parigi e quanto veloce dobbiamo correre. Il potenziale di mitigazione al 2030 è di 31 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, abbastanza per stare sotto 1,5°C. Ma non lo stiamo sfruttando
Tenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi è ancora “tecnicamente fattibile”. Ma bisogna parlare di meno e agire di più. Oggi gli Stati non stanno onorando i loro impegni nazionali sul clima. Di questo passo andiamo verso un aumento di 3,1°C. E anche se rispettassimo alla lettera le promesse sul clima con orizzonte 2030, arriveremmo comunque a +2,6-2,8°C. Per rispettare la soglia più ambiziosa dell’Accordo di Parigi, entro il 2030 bisogna tagliare le emissioni di gas serra del 42% sui livelli del 2019. Il potenziale c’è: con le tecnologie attuali e investimenti adeguati possiamo arrivare a -52%. Finora, è mancata una reale volontà politica e finanziaria.
Sono i messaggi al centro dell’Emissions Gap Report 2024, il rapporto annuale curato dall’Agenzia ONU per la Protezione Ambientale (UNEP) e uno degli strumenti più affidabili per comprendere se gli obiettivi di Parigi sono ancora a portata di mano e cosa serve per centrarli.
Gap di emissioni: cosa significa e perché è importante
Il gap di emissioni mostra quanto siano lontani gli impegni di mitigazione dei paesi dai livelli che la scienza ci dice essere necessari per rispettare l’Accordo di Parigi.
Il gap di emissioni è la differenza tra:
- le emissioni globali di gas serra stimate che risultano dalla piena attuazione degli ultimi NDC (i piani nazionali volontari che ogni paese presenta all’ONU), e
- le emissioni globali individuate negli scenari emissivi allineati con l’obiettivo di temperatura a lungo termine (2100) dell’Accordo di Parigi.
Oltre a indicare quello al 2030 e al 2050, l’Emissions Gap Report 2024 indica il gap di emissioni anche al 2035. Questi dati sono infatti fondamentali per valutare l’allineamento o meno agli obiettivi sul clima del prossimo aggiornamento degli NDC. Tutti i paesi sono tenuti a depositare all’ONU i nuovi piani nazionali entro febbraio 2025, e dovranno avere come orizzonte il 2035. Gli NDC attuali, invece, hanno orizzonte 2030.
Il gap di emissioni è “enorme”, sostiene l’Emissions Gap Report 2024
Per orientarsi nelle 100 dense pagine dell’Emissions Gap Report 2024 si può partire da qualche numero. Le emissioni di gas serra nel 2023 sono arrivate a 57,1 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (GtCO2eq). Dovremmo ridurle, invece le stiamo aumentando: +1,3% rispetto al 2022. Non solo. Le stiamo aumentando più rapidamente di quanto abbiamo fatto lo scorso decennio, quando l’incremento medio annuale si fermava a +0,8%. In sintesi: non solo stiamo andando nella direzione sbagliata, stiamo anche accelerando.
Qual è invece la traiettoria compatibile con l’obiettivo di 1,5°C di riscaldamento globale? Entro il 2030, dovremmo tagliare le emissioni del 42% sui livelli del 2019, per salire poi a -57% entro il 2035.
Quantificare il gap di emissioni
Traduciamo questi dati e percentuali in valori assoluti. E inseriamoli nei 3 scenari analizzati nel rapporto dell’UNEP. Quante emissioni possiamo ancora emettere nel 2030, nel 2035 e nel 2050?
I 3 scenari impiegati dall’Emissions Gap Report portano a:
- Scenario 1: restare attorno a 1,5°C, con uno sforamento temporaneo limitato o assente, e con una probabilità del 50%;
- Scenario 2: restare sotto 1,8°C con una probabilità del 66%;
- Scenario 3: restare sotto 2°C con una probabilità del 66%.
Le emissioni che possiamo generare nelle 3 date cardine ammontano a:
- Scenario 1: 33 GtCO2eq nel 2030, 25 nel 2035, 8 nel 2050. Si avrebbe così una probabilità del 66% di raggiungere un picco di riscaldamento globale attorno a 1,6 o 1,7°C e scendere a 1,2-1,5°C nel 2100.
- Scenario 2: 35 GtCO2eq nel 2030, 27 nel 2035, 12 nel 2050. Si avrebbe una chance del 66% di raggiungere il picco a 1,6-1,8°C e di arrivare al 2100 con 1,4-1,7°C di riscaldamento globale. Esiste, cioè, ancora una possibilità residuale di restare sotto 1,5 gradi.
- Scenario 3: 41 GtCO2eq nel 2030, 36 nel 2035, 20 nel 2050. Si ha così una probabilità del 66% di arrivare a un picco di 1,8-1,9°C e di traguardare il 2100 con 1,6-1,9°C. In questo scenario c’è una probabilità del 90% di salire fino a 2-2,4°C a fine secolo, fallendo anche l’obiettivo meno ambizioso dell’Accordo di Parigi. Per stare in questo scenario, entro il 2035 le emissioni devono ridursi del 28% entro il 2030 e del 37% rispetto ai livelli del 2019.
La tabella seguente riassume i gap di emissioni stimati, in GtCO2eq, nei 3 scenari di riscaldamento globale di riferimento. Le stime sono differenziate per anno (2030, 2035, 2050) e livello di ambizione.
Cosa succede se non implementiamo i piani nazionali volontari (NDC)?
L’altro dato fondamentale fornito dal rapporto dell’UNEP è la proiezione del riscaldamento globale a seconda del grado di implementazione degli NDC. Considerando solo le politiche attuali, cioè la legislazione vigente al netto delle promesse e degli obiettivi, stiamo andando verso un aumento di 3,1 gradi della temperatura del Pianeta.
La situazione migliora ma è ancora drammaticamente insufficiente se si considera l’apporto degli NDC attuali (vedi anche grafico sotto):
- Se entro il 2030 venissero implementati alla lettera, cioè sia la parte degli impegni incondizionati sia la parte degli impegni condizionati (sui quali i paesi si impegnano a condizione di ricevere determinati finanziamenti o facilitazioni), andremmo verso un mondo 2,6 gradi più caldo.
- Implementare solo gli impegni incondizionati porta verso +2,8°C.
- Implementare tutti gli NDC e rispettare gli impegni sul raggiungimento di emissioni nette zero porterebbe a +1,9°C, ma si tratta di impegni per la maggior parte fumosi e, al momento, la loro realizzabilità è poco probabile.
Tutti questi scenari avrebbero “effetti debilitanti sulle persone, sul pianeta e sulle economie”, spiega l’UNEP. E nessuno di essi fermerebbe il riscaldamento globale. La temperatura della Terra nel 2100 non sarebbe stabilizzata, continuerebbe invece a salire.
Il potenziale di mitigazione disponibile nel 2024
Un terzo dato cruciale per leggere la traiettoria futura delle emissioni e l’importanza di agire subito per tagliarle è quello delle conseguenze di un’azione climatica ritardata. Ogni anno di ritardo rispetto alle tabelle di marcia delineate dall’Emissions Gap Report 2024 rende necessario accelerare il passo dall’anno successivo. I tagli non effettuati vengono riportati nel conto dell’anno seguente.
Meno mitigazione, più emissioni “locked-in”, meno tempo a disposizione per implementare tecnologie e soluzioni. Sono questi i fattori che rosicchiano il potenziale tecnicamente disponibile. E lo fanno rapidamente. Ad esempio, in questo rapporto il potenziale di mitigazione è 7 GtCO2eq più basso di quello stimato dall’ultimo rapporto dell’IPCC, pubblicato solo nel 2022.
Poiché le emissioni di gas serra hanno raggiunto un nuovo massimo di 57,1 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente nel 2023, i tagli richiesti da oggi sono maggiori: per limitarci a un aumento di 1,5°C, ogni anno fino al 2035 le emissioni devono essere ridotte del 7,5%. Per stare sotto 2°C, il taglio annuale dev’essere del 4%.
Ad oggi, calcola il rapporto, il potenziale di mitigazione entro il 2030 arriva a 31 GtCO2eq, abbastanza per sperare ancora di restare su una traiettoria compatibile con 1,5°C. Al 2035, il potenziale sale a 41 GtCO2eq. In entrambi i casi, il ruolo maggiore lo svolge il settore energetico con 12-15 GtCO2eq di potenziale. “Ciò colmerebbe il divario a 1,5°C in entrambi gli anni, a un costo inferiore a 200 dollari per tonnellata di CO2 equivalente”, sottolinea l’UNEP.
Questo potenziale dimostra che è possibile raggiungere gli obiettivi fissati alla COP28: triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030, raddoppiare il tasso annuo medio globale di miglioramenti dell’efficienza energetica entro il 2030, abbandonare i combustibili fossili e conservare, proteggere e ripristinare la natura e gli ecosistemi.
Servirà però “una mobilitazione internazionale senza precedenti”, dice il rapporto. Almeno 6 volte più investimenti in mitigazione, che sono possibili solo con una riforma dell’architettura finanziaria globale. Servirà, soprattutto, un’azione immediata e drastica da parte dei paesi del G20. Oggi pesano per il 77% delle emissioni globali. Ma sono fuori strada anche sul rispetto degli NDC attuali.