Un position paper di REF Ricerche analizza punto per punto le procedure da seguire per pianificare e progettare infrastrutture in grado di adattarsi efficacemente alla crisi climatica
Trasformare la “risposta emergenziale” in “azione preventiva”. Partendo dall’analisi del rischio climatico, attuale e futuro. E da una stima dei suoi impatti sulle persone, sul territorio e sulle attività produttive. Sono i tasselli fondamentali di una strategia di adattamento alla crisi climatica capace di aumentare la resilienza del paese. Ma a cosa dare priorità? Il punto di partenza dovrebbe essere il modo di progettare infrastrutture a prova di clima, suggerisce un position paper di REF Ricerche.
Si tratta, quindi, di “studiare le emergenze per identificare gli anelli più deboli del sistema infrastrutturale, utilizzare un quadro di misurazioni e azioni ad ampio spettro per individuare le risposte di adattamento”, sostengono gli autori.
Valutare il rischio idrologico
In Italia la maggior parte dei danni provocati da eventi estremi resi più intensi e frequenti dal riscaldamento globale ha a che fare con l’acqua. Tempeste particolarmente violente, anche per l’effetto di grandine e vento, inondazioni, esondazioni, alluvioni.
Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, nel 2023 rispetto all’anno prima le alluvioni ed esondazioni fluviali sono aumentate del 170%, le frane da piogge intense del 64%, i danni da grandinate del 34,5%, gli allagamenti del 12,4%. Mentre dal 2010 al 2023, in 2 casi su 3 i danni riguardano la risorsa idrica.
Per progettare infrastrutture a prova di clima, sostiene il paper, è necessario prendere atto del cambio di regime idrologico che deriva dalla tropicalizzazione del clima italiano. La quantità totale di pioggia che cade in un anno è più o meno sempre la stessa, ma la sua distribuzione nel tempo è molto diversa da prima. L’alternanza tra periodi molto siccitosi e periodi molto umidi – come nel Nord Italia dal 2021 a oggi – tende a diventare la norma.
Gestire le risorse idriche (e le infrastrutture collegate)
A fronte di volumi totali identici anche in futuro, aumenterà però la temperatura e quindi evapotraspirazione e domanda idrica. Di conseguenza, la disponibilità d’acqua calerà. Negli ultimi 30 anni è già il 20% inferiore a quella del 1921-1950, calcola l’ISPRA. Ma da cosa passa una migliore gestione della risorsa idrica?
REF Ricerche rimarca due punti:
- Da una parte, bisogna “riconoscere che l’acqua è una risorsa scarsa, è necessario riuscire a raccoglierla, accumularla e portarla dove più necessaria. Non solo ciò limita gli effetti nefasti della siccità, ma permette al contempo di ridurre anche i danni causati da abbondanza di precipitazioni, che possono risultare in alluvioni ed esondazioni: viviamo in un territorio idrogeologicamente fragile, giacché il 94% dei Comuni italiani è esposto a rischio di dissesto”.
- Dall’altra, bisogna assumere che “seppur l’acqua non è destinata a sparire nel breve periodo e sarà relativamente abbondante rispetto agli usi, essa va gestita con oculatezza ed usata con parsimonia”.
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Calcolare i danni degli eventi estremi
L’altro fattore importante da integrare nella progettazione di infrastrutture a prova di clima è la conta dei danni. Se è semplice stimare quanto costa gestire un’emergenza, il costo dell’evento estremo non è tutto lì. Quella, anzi, è solo la punta dell’iceberg, avverte il paper.
Esistono costi “apparentemente nascosti” che gravano anche per lunghi periodi sullo sviluppo generale del territorio colpito. Ad esempio i costi per interventi di riparazione di ripristino di beni danneggiati, per mancati guadagni alle attività economiche, per la messa in sicurezza dei territori colpiti. Ma anche minori introiti nelle casse pubbliche per via degli sgravi fiscali e degli aiuti economici nella fase post-emergenza, i costi assicurativi e finanziari. Fino ai costi sociali e individuali.
In ogni caso, analizzare le spese per l’emergenza aiuta a individuare i punti più fragili del sistema infrastrutturale. “Capire dove sono allocati i fondi permette di identificare gli ambiti di maggior fragilità con specifico riferimento alle infrastrutture”, spiegano gli autori, e dopo aver evidenziato le maggiori fragilità “è possibile riconoscere in queste gli ambiti in cui è necessario un approccio strategico volto ad implementare infrastrutture a “resa a di clima”.
Infrastrutture a prova di clima, le priorità da seguire
Tutte considerazioni che sono in qualche modo già integrate nell’approccio europeo sulla resa a prova di clima delle infrastrutture. “La resa a prova di clima è un processo che integra misure di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento ad essi nello sviluppo di progetti infrastrutturali”, precisa la Commissione UE negli “Orientamenti tecnici per infrastrutture a prova di clima nel periodo 2021‑2027”.
Nel dettaglio, la resa a prova di clima delle infrastrutture si basa su due pilastri e due fasi:
- pilastro della mitigazione
- pilastro dell’adattamento
- fase preliminare di screening
- fase ex post di analisi dettagliata
“È proprio l’adozione di misure di adattamento che rende le infrastrutture, e quindi i territori, resilienti agli eventi estremi, come alluvioni, nubifragi e ondate di calore sempre più intense e frequenti, ma anche l’affacciarsi di fenomeni cronici, quali l’innalzamento del livello del mare o il cambiamento del regime delle precipitazioni. Riconoscere il grado di vulnerabilità e i rischi a cui le infrastrutture sono esposte è necessario al fine di identificare e realizzare le soluzioni di adattamento più adeguate ed efficaci”, sottolinea il paper.