Fossili, agricoltura e discariche sono le tre fonti antropiche di metano. Negli ultimi 4 anni, le loro emissioni hanno contribuito alla crescita record della concentrazione di CH4 in atmosfera. Ogni politica climatica che non affronti subito questo problema è destinata a fallire gli obiettivi di Parigi, spiega uno studio pubblicato su Frontiers in Science
Le emissioni di metano hanno un potere climalterante 82,5 volte maggiore della CO2
Dal 2020 le emissioni di metano hanno iniziato a crescere molto più rapidamente dei decenni precedenti. La curva punta verso l’alto dal 2006 ma è negli ultimi 4 anni che si registra un’accelerazione “allarmante”. Il ritmo, oggi, cresce di 30 milioni di tonnellate ogni 12 mesi. E sia nel 2021 che nel 2022 il metano ha toccato nuovi record globali. Soprattutto, l’aumento è molto più rapido di quanto previsto dai modelli. “Se non affrontato, mette a rischio la nostra capacità di raggiungere gli obiettivi climatici”, spiega uno studio appena pubblicato su Frontiers in Science.
Emissioni di metano, 30 mln t in più ogni anno
L’anno scorso, la concentrazione di metano in atmosfera è arrivata a 1922,6 parti per miliardo (ppb) con un aumento annuale di 10,9 ppb. È il 5° maggior incremento di sempre. Tra 2020 e 2022 il metano era aumentato di 13,2-18 ppb e ogni anno aveva segnato un nuovo record di incremento.
Lo studio prevede che, con le politiche attuali, le emissioni di metano continueranno ad aumentare per il resto degli anni 2020 se non si interviene in modo più incisivo e che gli aumenti del metano atmosferico stanno superando i tassi di crescita previsti.
Tutto ciò rende l’azione di riduzione delle emissioni di metano una delle massime priorità per l’azione climatica. Infatti, il metano è il 2° maggior responsabile del riscaldamento globale dopo la CO2. Anche se è molto più volatile dell’anidride carbonica, nei primi 20 anni in cui resta in atmosfera ha un potere climalterante 82,5 volte superiore alla CO2.
I tre “imperativi” per tagliare le emissioni di metano
Il metano è quindi la leva migliore che abbiamo per rallentare la crisi climatica nel breve e medio periodo. È, anzi, l’elemento forse decisivo per le politiche climatiche in questo decennio, in cui c’è in ballo lo sforamento o meno della soglia di 1,5 gradi. “Questo aumento ha importanti implicazioni per il raggiungimento degli obiettivi di emissioni nette zero di CO2: ogni 50 milioni di tonnellate di metano dei tagli sostenuti, previsti in scenari di basso riscaldamento globale, che non vengono realizzati, eliminerebbero circa 150 miliardi di tonnellate del budget di carbonio rimanente”, spiegano gli autori dello studio.
I ricercatori definiscono tre grandi priorità, che definiscono “imperativi”, per affrontare il tema delle emissioni di metano:
- Invertire la crescita delle emissioni di metano in tutte le principali fonti antropiche: combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), agricoltura (bestiame e riso) e discariche;
- Allineare la mitigazione di metano e anidride carbonica per ridurre simultaneamente i livelli atmosferici di entrambi i gas, invece di concentrarsi principalmente, come oggi, sulla sola CO2;
- Ottimizzare tecnologie e politiche per l’abbattimento del metano a livello globale, nazionale e settoriale.