Le aziende dell’allevamento e dell’agricoltura animale stanno provando ad abbattere le loro emissioni producendo “carne più sostenibile”, cioè convertendosi in parte a metodi alternativi. Ma nella maggior parte dei casi questa scelta risulta in un impatto ambientale e climatico anche maggiore. La soluzione? Produrre meno carne e calibrare i compromessi tra emissioni, consumo di suolo e di risorse
Il rapporto del World Resource Institute sull’impronta della carne più sostenibile
(Rinnovabili.it) – Convertire allevamento e agricoltura animale convenzionali a metodi alternativi non sempre fa bene al clima e all’ambiente. Anzi, la maggior parte delle volte significa avere un impatto maggiore di prima, almeno se lo si calcola a parità di proteine. Ma un modo per avere una carne più sostenibile c’è. Anzi, più di uno: è una combinazione di soluzioni, tutte in qualche modo di compromesso, l’unica strada capace di ridurne l’impronta su clima, risorse e territorio.
Lo sostiene il World Resource Institute in un rapporto rilasciato oggi. Gli autori analizzano le prestazioni ambientali dei sistemi di produzione animale convenzionali e alternativi, confrontando 45 studi condotti in Nord America ed Europa tra il 2000 e il 2022. Il risultato? Passare ai metodi alternativi non garantisce tout court meno impatto. Anzi, nel 75% dei casi l’impronta climatica cresce. Tutto questo mentre le aziende del settore, per abbattere le loro emissioni, fanno ricorso proprio a metodi alternativi per produrre “carne più sostenibile”. Che, a conti fatti, in realtà non lo è.
I numeri dietro la “carne più sostenibile”
“Ciò è in gran parte dovuto al modo in cui gli animali vengono allevati. Ad esempio, nei sistemi di carne bovina allevati con erba, i bovini crescono a un ritmo più lento ed emettono più metano durante la loro vita rispetto ai sistemi convenzionali alimentati con cereali, dove vengono ingrassati negli ultimi mesi della loro vita in allevamenti. Ciò porta a emissioni di gas serra agricole più elevate per grammo di proteine prodotte, rispetto ai sistemi convenzionali”, spiegano gli autori. Un discorso analogo vale per il consumo di suolo. I sistemi alternativi tendono anche a richiedere più terra per grammo di proteine, sia per il pascolo, sia per aumentare lo spazio in sistemi confinati o per la produzione di mangimi.
C’è quindi sempre un compromesso, un equilibrio delicato da considerare tra i diversi impatti su ambiente e clima. Per rendere comparabili i diversi sistemi di allevamento e agricoltura animale, WRI ha messo a punto un indicatore, denominato “costi-opportunità di carbonio”, che integra le diverse dimensioni traducendole in anidride carbonica equivalente.
“Se si considerano i “costi totali del carbonio”, che includono le emissioni in azienda e i costi opportunità di carbonio, i sistemi alternativi di produzione di carne e latticini come quelli alimentati con erba, biologici e all’aperto hanno avuto impatti climatici complessivi più elevati per grammo di proteine rispetto ai sistemi convenzionali in più del 90% dei casi”, conclude WRI.“Sento spesso la gente parlare di un menu sostenibile come se fosse interamente a base vegetale o comprendesse carne prodotta con metodi alternativi che molti ritengono rispettosi dell’ambiente”, commenta Clara Cho di WRI. “Purtroppo, procurarsi carne che sia migliore per l’ambiente e offra una serie di altri benefici collaterali non è così semplice”. E se oggi le aziende che propongono “carne più sostenibile” lo fanno anche diminuendo i volumi di produzione, dovranno passare a un approccio con “ancora meno carne se vogliono raggiungere anche i loro obiettivi di sostenibilità”.