Il settore zootecnico in Italia è responsabile di 2/3 delle emissioni di ammoniaca nazionali. Cioè di uno dei principali precursori del PM2.5 attraverso la combinazione di NH3 con gli ossidi di zolfo (SOx) e gli ossidi di azoto (NOx), che sono generati da altre attività antropiche. Uno studio analizza l’incidenza di bovini e suini sulla qualità dell’aria in Lombardia: vale fino a ¼ del particolato più sottile rilevato in regione
Lo studio di CMCC, università Bocconi e Legambiente Lombardia
(Rinnovabili.it) – Il 25% delle polveri sottili PM2.5 che inquinano la Lombardia proviene dagli allevamenti intensivi di bovini e suini. Le loro emissioni di ammoniaca sono dei precursori del PM2.5: si combinano per reazione con altri composti come gli ossidi di zolfo (SOx) e gli ossidi di azoto (NOx) originando alcuni dei componenti inorganici di questi inquinanti. Sono i risultati principali di uno studio sull’inquinamento da PM2.5 legato agli allevamenti condotto da CMCC, università Bocconi e Legambiente Lombardia nell’ambito del progetto INHALE e pubblicato su Environmental Impact Assessment Review.
Un impatto consistente, quello degli allevamenti intensivi, che viene spesso tralasciato nelle politiche di riduzione dell’inquinamento atmosferico. “La Pianura Padana è tristemente nota per la scarsa qualità dell’aria che respirano i suoi abitanti”, sottolinea Jacopo Lunghi dell’Università Bocconi e del CMCC, autore principale dello studio. “I suoi livelli record di particolato, soprattutto durante l’inverno, ne fanno una delle zone più inquinate d’Europa. Indagare sulle fonti di un’aria così malsana è vitale per ridurre l’inquinamento e aumentare il benessere degli individui attraverso un’azione politica efficace”.
Zootecnia e sforamenti delle soglie di qualità dell’aria in Lombardia
Da un lato, gli ultimi dati disponibili sulla qualità dell’aria in Lombardia, riferiti al 2023, evidenziano un netto miglioramento nel corso degli anni. L’anno scorso, sottolineava l’Arpa a gennaio, per la prima volta i limiti annuali per il PM2.5 sono stati rispettati da tutte le stazioni di monitoraggio della regione. Si va dai 22 µg/m3 di Cremona ai 21 di Milano, Brescia e Lodi, fino ai 14 di Lecco.
Ma il rispetto delle soglie dichiarato da Arpa si riferisce ai limiti della normativa UE in vigore oggi, che sono notevolmente più alti delle soglie raccomandate dall’OMS: 25 µg/m3 contro appena 5 µg/m3. Tutte le aree lombarde, in altre parole, sforano di almeno 3 volte le soglie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La nuova direttiva UE sulla qualità dell’aria, approvata lo scorso febbraio e presto in vigore, abbasserà la soglia del PM2.5 a 10 µg/m3. Facendo tornare tutta la Lombardia in condizione di sforamento.
Quanto pesa l’inquinamento da PM2.5 degli allevamenti?
Anche per questa ragione, considerare la quota di inquinamento da PM2.5 che origina dagli allevamenti intensivi è una priorità. Agire su questo fattore potrebbe contribuire a riportare la Lombardia – come altre regioni italiane fortemente inquinate e caratterizzate da una forte impronta del settore zootecnico – sotto o molto vicino ai nuovi limiti UE.
Secondo lo studio, un aumento di 1.000 unità di bestiame provoca un corrispondente aumento giornaliero delle concentrazioni di ammoniaca e particolato in Lombardia di 0,26 e 0,29 μg/m3 per i bovini (circa il 2% e l’1% delle rispettive medie giornaliere) e di 0,01 e 0,04 μg /m3 per i suini.
“La Pianura Padana soffre di una sfortunata combinazione di condizioni orografiche sfavorevoli, alta densità di popolazione ed elevata intensità industriale e agricola” afferma Lara Aleluia Reis, ricercatrice del CMCC. “Si sta facendo molto per mitigare il problema del settore energetico e dei trasporti e, in una certa misura, anche del settore residenziale. L’agricoltura, e più specificatamente il settore dell’allevamento, non può essere lasciata da parte e deve essere inclusa anche in politiche più stringenti di mitigazione dell’inquinamento atmosferico”.
Una proposta di legge per la transizione ecologica della zootecnia italiana
Su questo fronte, Legambiente insieme ad altre associazioni ambientaliste e alcuni partiti si stanno muovendo sul fronte legislativo. Una proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati a fine febbraio propone una moratoria sui nuovi allevamenti e tetto ai capi per quelli esistenti, accompagnati da un fondo dedicato per finanziare la conversione della zootecnia e accompagni le aziende più grandi verso un modello centrato sull’agro-ecologia.
Misure che dovrebbero essere accompagnate da meccanismi per riconoscere il giusto prezzo agli allevatori più piccoli, a cui oggi arrivano solo le briciole dei sussidi PAC. In questo modo, sostengono i proponenti, si affronterebbe in modo sistemico anche il tema dell’inquinamento da PM2.5 legato agli allevamenti, da cui originano 2/3 delle emissioni di ammoniaca nazionali.