Se consideriamo l’intera catena del valore dell’H2, le condizioni reali di produzione e di trasporto ne aumentano molto l’impronta di carbonio complessiva. Nei casi peggiori, l’idrogeno verde può essere più sporco di quello prodotto a partire dalla lignite con oltre 50 kgCO2eq/kgH2
Rapporto di Wood MacKenzie sull’intensità di carbonio dell’idrogeno
(Rinnovabili.it) – Oggi il mercato globale dell’idrogeno vale circa 90 milioni di tonnellate l’anno (Mtpa) e il vettore energetico è prodotto quasi interamente a partire da gas fossile senza recupero di CO2 e da lignite. Entro metà secolo dovrebbe triplicare fino a 270 Mtpa, di cui più di 2/3 da idrogeno blu e verde. È su queste due tipologie che oggi si concentrano l’attenzione e gli investimenti di industria e politica. Ma se l’obiettivo è ridurre il più possibile le emissioni, farsi guidare dalle semplici “etichette” dei colori assegnate ai tipi di H2 è fuorviante. Bisogna invece esaminare nel dettaglio l’intensità di carbonio dell’idrogeno lungo tutta la sua catena del valore. Perché quello blu e persino quello verde possono generare anche più CO2 di quello prodotto a partire dal carbone, a certe condizioni.
Le vere emissioni dell’idrogeno verde
In teoria, per essere definito “verde”, l’idrogeno dovrebbe essere prodotto tramite elettrolizzatori alimentati al 100% da energie rinnovabili. Ma è davvero così? In realtà no, spiega un rapporto di Wood MacKenzie. Perché molti impianti, per abbattere i costi di produzione e pararsi dalla variabilità delle rinnovabili, sono anche collegati alla rete. Rete da cui si approvvigionano di elettricità generata anche a partire dalle fossili. E più la disponibilità di energia pulita è limitata, più l’intensità di carbonio dell’idrogeno verde cresce.
Secondo il rapporto, è in questa situazione circa 1/3 dei progetti già in funzione e di quelli pianificati attualmente, vale a dire quasi 190 GW di elettrolizzatori. Nei casi peggiori, l’H2 che produrranno avrà un’intensità di carbonio che potrebbe raggiungere i 50 kg di CO2 equivalente per kg di idrogeno prodotto (kgCO2eq/kgH2). Valori superiori a quelli, nominali, dell’idrogeno marrone prodotto a partire dalla lignite.
L’intensità di carbonio dell’idrogeno blu
Anche il tipo di idrogeno su cui l’industria fossile sta puntando di più in questi anni, l’H2 blu, ha un’impronta di carbonio superiore a quella dichiarata. Perché se in linea di principio si possono catturare tutte le emissioni generate in fase di upstream, trasporto, reforming e uso di energia per la produzione, in realtà ad oggi non si va oltre il 60% delle emissioni effettivamente catturate. E non esistono dimostrazioni che ciò funzioni su larga scala.
Verde in Australia, non più verde in Europa?
Allargare lo sguardo per abbracciare tutta la catena del valore dell’idrogeno significa anche considerare l’impatto della fase di trasporto. Impatto che è significativo. Oggi, la maggior parte dei progetti sull’idrogeno nel mondo puntano sull’ammoniaca come vettore dell’H2 per l’export. E sono votati all’esportazione 4 progetti su 10. “Sebbene sia il vettore più promettente dal punto di vista dei costi e della preparazione tecnologica, le emissioni totali della catena del valore dell’ammoniaca, inclusi sintesi, trasporto e cracking, sono significative e potrebbero aggiungere 1-4,5 kgCO2e/kgH2 all’intensità di carbonio del prodotto finale”, spiega il rapporto.
Significa che le emissioni reali generate in fase di produzione e trasporto possono verosimilmente far superare all’H2 le soglie fissate oggi per l’idrogeno low-carbon da molti paesi importatori. L’idrogeno verde, con appena il 20% di fornitura di elettricità dalla rete, e l’idrogeno blu con il 60% di cattura di CO2, non riescono a stare nei limiti fissati in Europa e in Giappone, calcola Wood Mackenzie. Ma anche l’idrogeno blu statunitense, con il 95% della CO2 catturata, convertito in ammoniaca e spedito in UE, sarebbe al limite della soglia europea di intensità di carbonio dell’idrogeno.