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Contro il cambiamento climatico servono strategie diversificate e integrate

Il cambiamento climatico è il risultato dell’interazione di fenomeni complessi: combatterlo richiede impegno costante, strategie diversificate e tra loro integrate. Le proiezioni sono abbastanza preoccupanti, specie per il bacino del Mediterraneo, ma l’innovazione nutre la speranza

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di Isabella Ceccarini

Cambiamento climatico: no alla rassegnazione, sì all’innovazione

Negare il cambiamento climatico è impossibile. L’intensificarsi di eventi catastrofici ha creato il termine “crisi climatica”, a significare un cambiamento talmente grave da produrre danni irreversibili per le persone, l’ambiente e l’economia.

Per rimanere alla sola Europa, nel 2022 si sono verificati 43 catastrofi naturali (dati Emergency Event Database) che hanno causato il 53% di decessi globali. L’Italia è al terzo posto per numero di eventi estremi dopo Germania e Polonia.

In un certo senso ci stiamo abituando al susseguirsi di eventi estremi, ma questo non va bene per due ragioni: da un lato si pensa che sia normale così, dall’altro si fa strada un’inerte rassegnazione.

Nessuno può farcela da solo

Al contrario, riconoscere un problema è il primo passo per risolverlo. La questione vera che sta dietro a qualunque discorso sul cambiamento climatico è che bisogna riconoscere la sua dimensione planetaria: nessuno può farcela da solo.

Il paper del Centro Studi Divulga Emergenza clima – Tra siccità e alluvioni il clima ci presenta il conto spiega con estrema chiarezza quello che sta succedendo e cosa dobbiamo fare per fermare la corsa verso il disastro.

Le conseguenze del cambiamento climatico si manifestano in vari modi: dalle inondazioni alla siccità, dagli incendi alla perdita di biodiversità fino all’innalzamento del livello del mare e del cuneo salino.

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L’agricoltura paga un prezzo altissimo

Chi ne risente in modo particolare è l’agricoltura, ovviamente legata alle risorse naturali, e questo è un problema che riguarda proprio tutti, visto che dall’agricoltura dipende la nostra sopravvivenza.

Quando la siccità indebolisce la portata di un fiume e si innalza il livello del mare, la sua pressione fa sì che l’acqua salata risalga lungo il corso del fiume (ovvero il fenomeno del cuneo salino o intrusione marina).

I danni sono molteplici: l’acqua salata può contaminare le riserve di acqua dolce, rendendole inadatte per irrigare i campi, accelera l’inaridimento delle zone costiere e danneggia le colture.

Gli studi dell’IPCC (l’organismo delle Nazioni Unite che valuta i cambiamenti climatici) evidenziano come gli eventi estremi riducano la produttività agricola con fenomeni di desertificazione e degrado del suolo.

Perfino la produttività ittica è minacciata dal riscaldamento e dall’acidificazione dei mari e degli oceani.

Cambiamento climatico e insicurezza alimentare

La conseguenza logica di questo trend è l’insicurezza alimentare. I dati della FAO sono sconvolgenti: tra 690 e 785 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2022, con un incremento di 122 milioni di persone dalla pandemia in poi (ovvero in due anni).

La preoccupazione per le conseguenze del cambiamento climatico è tale che l’Obiettivo 13 dell’Agenda 2030 dell’ONU intende promuovere azioni per combatterlo.

Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato: nell’estate le temperature massime hanno superato di 10° le medie del periodo e luglio 2023 ha superato ogni record.

Caldo e deficit di precipitazioni hanno provocato una contrazione dei ghiacciai – quelli delle Alpi sono tra i più colpiti – tanto che in un anno il manto nevoso si è ridotto del 2,5% rispetto alla media degli ultimi vent’anni.

L’Europa è stata particolarmente colpita: tra ondate di calore e incendi, l’impatto sulle persone, sull’ambiente e sull’economia è stato importante.

I fenomeni climatici sono tra loro concatenati: ad esempio, il riscaldamento del mare aumenta il vapore acqueo dell’atmosfera, che a sua volta innesca precipitazioni molto intense. Inoltre, dopo una siccità prolungata i terreni non sono in grado di assorbire l’acqua: una ulteriore minaccia alla loro integrità.

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L’Italia e lo spreco di acqua

Per l’Italia il 2022 è stato l’anno più secco dal 1961, con deficit pluviometrico del 21% rispetto agli ultimi trent’anni e punte del 40% in alcune aree del Paese. La temperatura ha registrato +1,12° rispetto al periodo 1991-2020.

I dati mostrano che i fenomeni siccitosi sono sempre più frequenti: è quindi necessario pianificare la gestione dell’acqua per fronteggiare le prossime criticità.

Questo è un punto dolente dell’Italia che impatta gravemente sull’agricoltura: il nostro sistema infrastrutturale è in grado di raccogliere appena l’11% delle precipitazioni e spreca il resto (l’Italia è uno dei Paesi europei con le maggiori perdite idriche).

L’Istat ha rilevato una media nazionale del 42,2% di sprechi nella fase di distribuzione dell’acqua rispetto ai volumi immessi in rete, con notevoli differenze territoriali. Dati preoccupanti, visto che le previsioni parlano di siccità severa-estrema in molte regioni.

Inoltre, il cambiamento climatico altera anche i parametri fisico-chimici delle acque, e quindi la loro qualità.

Lo stress idrico è la condizione, temporanea o prolungata, di assenza di acqua. È un indicatore che si ricava dalla combinazione di una serie di fattori: di nuovo, l’Italia si colloca al di sopra della soglia critica. In Europa stanno peggio solo Belgio, Spagna, Bulgaria, Germania e Polonia.

Alti livelli di stress idrico possono limitare lo sviluppo di un paese, considerando le ripercussioni sulle attività economiche, sull’agricoltura e sulla salute delle persone.

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Senza acqua non c’è irrigazione

Si è detto di quanto l’agricoltura patisca il cambiamento climatico. Per questo motivo la produzione di cibo è in crisi in molte parti del mondo, specie nelle aree dove l’irrigazione serve a mantenere livelli di umidità del suolo che evitino stress alle colture.

In Italia, il valore aggiunto prodotto da agricoltura irrigua è circa il 41%. Le avverse condizioni climatiche hanno portato a un aumento medio delle superfici irrigue di circa il 7% (dati Istat, censimento generale dell’agricoltura).

Negli ultimi 50 anni la produttività agricola è aumenta a livello mondiale, tuttavia dalla metà del XX secolo i raccolti sono diventati più instabili e le perdite più ingenti.

Le previsioni dell’IPCC stimano la scomparsa del 10% di terre agricole e pascoli entro il 2050 e del 30% entro la fine del secolo. Anche le stime della FAO sono altrettanto severe, e la riduzione delle produzioni avrà ripercussioni sui prezzi.

Un ulteriore stress per l’agricoltura, gli allevamenti e le foreste è dato dall’aumento di parassiti, erbe infestanti, insetti nocivi, agenti patogeni e malattie che si accompagneranno a perdita di biodiversità e degrado dell’ecosistema.

Sempre secondo l’IPCC la situazione cambia rispetto alle latitudini. Ad esempio, nel bacino del Mediterraneo, dove le temperature estreme sono già una realtà, si prevede che i tassi di riscaldamento saranno tra il 20% e il 50% maggiori rispetto alla media annua globale.

Queste alterazioni climatiche porteranno inevitabilmente a cambiare gli scenari delle produzioni agricole che in molti casi si sposteranno dove ci sarà minore bisogno di irrigazione.

Se il bacino del Mediterraneo sembra più sfavorito, nell’Europa settentrionale il riscaldamento globale sta ampliando le aree potenzialmente adatte all’agricoltura.

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Entro fine secolo avremo +2°

Il cambiamento climatico rende le persone più vulnerabili, le costringe a vivere in aree inospitali e questa condizione le spinge a migrare per sopravvivere.

Secondo l’IPCC le temperature continueranno a crescere nel periodo 2021-2040. Non solo non si rimarrà entro la soglia limite di 1,5° fissata a Parigi nel 2015, entro fine secolo è molto probabile che si supererà il livello di 2°.

L’agricoltura è sensibile e vulnerabile al caldo e alla siccità che compromettono la fertilità dei suoli, con ripercussioni sui redditi e l’occupazione dei piccoli agricoltori. L’Europa meridionale sarà l’area più colpita dalla siccità e dalle sue conseguenze sulle coltivazioni.

Questi sono i problemi più immediati, ma non si possono sottovalutare le ripercussioni sui prezzi, sulla sicurezza alimentare e la malnutrizione.

La crisi climatica porta a conflitti per il possesso della terra e all’inurbamento di milioni di persone in cerca di una vita migliore, fino alle guerre per il controllo di risorse naturali come l’acqua.

Uno studio della Commissione AGRI del Parlamento Europeo (The impact of extreme climate events on agricultural production in EU) ritiene che dal 2000 a oggi circa il 93% di tutte le ondate di calore e il 68% degli eventi siccitosi dipendono dal cambiamento climatico e dal conseguente riscaldamento globale.

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L’innovazione ci salverà dal cambiamento climatico?

In Europa il 3% degli eventi estremi è responsabile del 60% delle perdite economiche complessive in agricoltura; oltre il 50% delle perdite sono dovute alla siccità (60% nella regione mediterranea e 39% in quella boreale).

Anche uno studio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente ritiene che nella regione mediterranea si stia riducendo la risorsa idrica con un incremento del rischio siccità e stress da caldo.

La situazione è così compromessa che anche rimanere entro +1,5° non basterà a ridurre i rischi legati al territorio (desertificazione, incendi, perdita di biodiversità, scarsità di acqua).

Vogliamo chiudere questo studio un po’ preoccupante aprendo uno spiraglio positivo sul futuro della nostra agricoltura.

Puntare sull’innovazione, sull’agricoltura di precisione e sul miglioramento genetico di varietà più resistenti porta risultati che sono già reali, come pure gli impianti di desalinizzazione delle acque e per il riutilizzo delle acque reflue o i bacini di accumulo dell’acqua piovana.

Se vogliamo che il Pianeta abbia un futuro, e con esso l’agricoltura che ci nutre, dobbiamo alzare la soglia di rispetto per l’ambiente e spingere verso un’innovazione sostenibile.

Il cambiamento climatico è il risultato dell’interazione di fenomeni complessi: combatterlo richiede impegno costante, strategie diversificate e tra loro integrate.

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