L’agricoltura non ha solo colpe. Uno studio esamina le differenze tra il modello intensivo e quello di piccola-media scala. Se nel primo caso la riduzione della biodiversità è un acceleratore dello spillover zoonotico, nel secondo agisce da barriera contro la diffusione di agenti patogeni
La funzione protettiva della biodiversità
(Rinnovabili.it) – L’agricoltura intensiva è colpevole della diffusione dei virus? Alcuni studiosi ritengono che la deforestazione e la frammentazione degli habitat, con la conseguente riduzione della biodiversità, aumentino le possibilità di contatto tra gli animali selvatici infetti e le persone e quindi la diffusione di eventuali virus, come è accaduto per il Covid-19.
Le due strade opposte dell’agricoltura
Un gruppo di studiosi della University of Michigan (USA) nell’articolo Looking beyond land-use and land-cover change: Zoonoses emerge in the agricultural matrix (pubblicato nella rivista scientifica “Perspectives”) ritiene che l’agricoltura possa seguire due direzioni opposte: può accelerare lo spillover zoonotico facilitando i contagi animale-uomo o, al contrario, formare una barriera che ne ostacola la diffusione.
Secondo gli autori della ricerca, per prevenire contagi futuri si devono promuovere pratiche agricole che aumentano la biodiversità e diminuiscono le condizioni di rischio. Pertanto, l’agricoltura non è sempre e comunque colpevole.
Se una distruzione parziale della biodiversità può causare gravi squilibri, è un dato di fatto che la devastazione operata dalle monocolture intensive apre la porta allo sviluppo e alla diffusione degli agenti patogeni.
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I pericoli delle monocolture intensive
Un esempio tipico sono le monocolture industriali di mais e di olio di palma. Le prime attirano grandi popolazioni di topi, le seconde di pipistrelli: entrambi gli animali sono fonti note di malattie trasmissibili all’uomo.
Le piccole aziende agricole che praticano un’agricoltura diversificata hanno meno probabilità di sviluppare agenti patogeni in grado di contagiare gli esseri umani.
La coordinatrice della ricerca, l’ecologa Ivette Perfecto, ha studiato a lungo le interrelazioni tra conservazione della biodiversità, controllo biologico dei parassiti e sovranità alimentare nelle piantagioni di caffè biologico in Messico e Porto Rico. Ha osservato che le piantagioni biologiche conservano la biodiversità più di quelle intensive, come avviene anche nei sistemi agroforestali diversificati rispetto alle foreste monocolturali.
È necessario definire nuove regole
La realtà dell’agricoltura è molto più complessa di quanto sembra. A volte ambienti simili hanno una differente potenza di trasmissione delle malattie, per questo gli studiosi ritengono che si debba cambiare il modello di vita delle società. Per ridurre al minimo l’emergere di nuove zoonosi, sostengono gli studiosi, dobbiamo agire a 360 gradi sul paesaggio e sulla definizione di nuove regole ambientali, economiche, politiche e sociali.
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In conclusione, è necessario adottare un piano di azione coerente che affronti problemi tra loro interconnessi come ridurre la povertà, migliorare la sicurezza e la sovranità alimentare, proteggere la biodiversità, mitigare i cambiamenti climatici.
È improbabile che questo avvenga in paesaggi con un’agricoltura intensiva e quindi estremamente semplificata; migliori risultati in tal senso possono esistere nei territori popolati da piccoli agricoltori che praticano un’agricoltura di piccola o media scala che sostiene anche l’economia locale.