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I rischi degli antimicrobici negli allevamenti per la produzione alimentare

L’uso massiccio degli antimicrobici negli allevamenti crea nel tempo una resistenza, con importanti conseguenze per gli animali. Le stime prevedono una crescita nel loro uso, è difficile reperire dati certi e restano aperti gli interrogativi sugli effetti sulla salute umana Antimicrobici e allevamenti per la produzione alimentare

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Foto di Jo-Anne McArthur su Unsplash

(Rinnovabili.it) – L’uso di antimicrobici (di cui sono un esempio gli antibiotici) ha permesso di soddisfare la crescente richiesta di proteine animali negli ultimi dieci anni e di estendere gli allevamenti intensivi, che ne fanno un uso massiccio per mantenere la salute e la produttività degli animali.

Antimicrobici e resistenza

Tuttavia c’è un rovescio della medaglia. L’uso diffuso di prodotti antimicrobici veterinari ha portato nel tempo alla resistenza, con importanti conseguenze per la salute degli animali e, potenzialmente, per quella delle persone.

La ricerca si sta indirizzando verso la riduzione dell’uso di queste sostanze. Il punto di partenza è la raccolta dei dati, che gli autori della ricerca Global trends in antimicrobial use in food-producing animals: 2020 to 2030 hanno effettuato prendendo un campione di 42 Paesi considerando gli allevamenti di bovini, ovini, polli e suini.

Per stimare l’uso degli antimicrobici veterinari sono stati incrociati i dati relativi all’uso di questi prodotti rispetto alla densità della popolazione animale in una determinata estensione; questi dati sono stati combinati con quelli della FAO, del WOAH (World Organization for Animal Health) e dei rapporti nazionali dei paesi che hanno messo a disposizione le loro informazioni.

Previsioni in crescita

A livello globale, l’impiego di antimicrobici è stato stimato a 99.502 tonnellate nel 2020. In base alle tendenze attuali, si prevede che aumenteranno dell’8,0%, arrivando così a 107.472 tonnellate nel 2030. Gli antimicrobici sono usati in tutto il mondo, ma l’area in cui se ne fa maggiore uso è l’Asia.

L’uso massiccio di questi prodotti crea nel tempo una resistenza antimicrobica che finisce per vanificare il trattamento; quindi, nel lungo periodo, rappresenta una minaccia alla sostenibilità delle aziende zootecniche.

Indirettamente, può esserci un rischio anche per le persone, anche se è difficile quantificare le infezioni resistenti ai farmaci derivanti dall’uso di antimicrobici veterinari. Tuttavia, si possono creare delle combinazioni farmaco-patogeni che rappresentano una grave minaccia per la salute umana.

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Il monitoraggio dell’uso degli antimicrobici a livello globale è essenziale per affrontare le cause della resistenza e monitorare i progressi fatti. Ma è più semplice da dire che da fare: i dati non sono omogenei nelle diverse regioni del mondo e non tutti i paesi li forniscono.

Difficile avere dati certi

Prima della pubblicazione, i dati vengono aggregati in cinque macro regioni (Europa, Africa, Americhe, Medio Oriente e Asia/Estremo Oriente/Oceania), ma non compaiono i singoli paesi.

Inoltre, le regole sono diverse da un paese all’altro. Per esempio, nei paesi nordici gli antimicrobici hanno bisogno di una prescrizione veterinaria che dovrebbe seguire precise linee guida. Nonostante i piani d’azione nazionali per affrontare la resistenza antimicrobica e i divieti selezionati sugli antimicrobici nella produzione animale, nella maggior parte dei paesi del mondo non sono ancora disponibili al pubblico relazioni nazionali in materia.

Il Brasile, maggiore esportatore mondiale di carne, non ha ancora un quadro giuridico in proposito. Altri grandi produttori di carne come Russia, Messico, Argentina, India, Vietnam non comunicano i loro dati. La Cina, invece, sta facendo qualche passo avanti nella riduzione degli antimicrobici. Questo spiega la difficoltà di fare valutazioni precise in un quadro in continua evoluzione.

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