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Dallo spazio l’energia del futuro?

Un progetto di ricerca firmato NASA e DOE per assicurare l’indipendenza energetica agli USA

Gli Stati Uniti d’America hanno sempre “snobbato” quelle che sono le restrizioni e le limitazioni necessarie a ridurre le emissioni climalteranti e, di conseguenza, il global warming. Viceversa, però, si sono sempre confermati i primi nella ricerca e nello sviluppo di nuovi sistemi per produrre energie alternative a quelle fossili; ed è proprio il caso del progetto “Space-Based Solar Power” (SBSP).
Il Sole è un gigantesco reattore, posizionato a circa 150 mln di km dalla Terra, che in una sola ora produce tanta energia quanta ne serve all’intera popolazione umana in un anno; la quantità di radiazione solare che raggiunge la Terra in condizioni ideali è di circa 1.366 W/mq, ma, considerando l’assorbimento dell’atmosfera, l’alternarsi delle stagioni e del giorno e della notte, la quantità di radiazione che arriva al suolo terrestre è, in media, 250 W/mq. Potendo evitare quest’ultima porzione di tragitto, e cioè posizionando i moduli fotovoltaici nello spazio, si evita questa consistente riduzione di energia raccolta ed inoltre non si hanno fenomeni di intermittenza dovuti al susseguirsi dei cicli giorno-notte o estate-inverno.
L’idea venne originariamente nel 1968 al dr. Peter Glaser, che ipotizzò di attrezzare dei satelliti artificiali con moduli FV, catturare l’energia e poi inviarla alla Terra. Il progetto prevedeva, oltre all’ipotesi di utilizzare satelliti artificiali orbitanti anche quella di posizionare dei moduli fotovoltaici sulla superficie lunare; l’energia catturata sarebbe stata trasformata in onde radio o fasci di luce (nel visibile o nell’infrarosso) e quindi inviata alla Terra. L’evoluzione del progetto ha fatto preferire l’ipotesi di utilizzare satelliti, sull’orbita geostazionaria della Terra, provvisti di “specchi primari” (posizionati a circa 5 km l’uno dall’altro) che concentrano la radiazione su “specchi secondari” che la convogliano, poi, sui moduli FV. Quest’ultimi catturano l’energia, la convertono in radio frequenza (2,45 o 5,8 Ghz, che permette di avere minime perdite nel passaggio attraverso l’atmosfera terrestre) e tramite un’antenna la trasmettono alla stazione posizionata sul suolo terrestre. Due dati tecnici danno l’idea dell’impresa titanica: i moduli solari dovrebbero aver una superficie compresa tra i 50 e i 100 km quadrati e la sola stazione trasmittente dovrebbe avere un diametro di 1,5 km. Sulla terra la stazione ricevente sarà una struttura lunga 14 km e larga 10. In mezzo, un flusso di microonde o un enorme raggio laser.
Il progetto ha già degli step ben definiti, il primo lancio avverrà fra 8 anni, e degli obiettivi da raggiungere: coprire il 10% del fabbisogno energetico al 2050. Per fare ciò bisognerà far fronte agli altrettanto stratosferici costi e problemi tecnici. Innanzitutto basti pensare che mandare 1 kg a una distanza orbitale di 2.000 km costa dai 6.600 agli 11.000 dollari, e qui si parla di impianti giganteschi da far arrivare a 35.000 km (che è l’orbita geostazionaria). Tra i notevoli problemi tecnici vi è quello relativo alla sicurezza della trasmissione dell’energia sulla Terra ed in particolare all’effetto che potrebbe avere un fascio di microonde da 10 GW “sparato” sulla superficie terrestre.

Ma l’innovativo sistema permette di ottenere indubbi vantaggi tecnici: primo fra tutti, l’orbita geostazionaria consente di raccogliere radiazione solare praticamente “sempre” (più del 99% del tempo), a differenza del FV terrestre che soffre di discontinuità di produzione. Inoltre, nonostante le inevitabili quantità di energia necessaria per produrlo, il sistema, ha un tempo di recupero energetico pari ad un anno, a fronte di un tempo di utilizzo di almeno venti anni.
Fondamentale è, però, l’aspetto geopolitico dell’intera operazione: in un epoca di crescente fabbisogno energetico (che sarà la principale causa dei futuri conflitti armati) l’implementazione di tale sistema permetterebbe di annullare la dipendenza dai combustibili fossili e quindi dai Paesi “politicamente instabili”, con conseguenze sull’equilibrio politico che interesserebbero l’intero globo. Non a caso il progetto è portato avanti dalla NASA e dal Dipartimento della Difesa (DOE) degli USA: il dubbio che fossero diventati d’un tratto ecologisti convinti è presto sciolto!