Rinnovabili • Rinnovabili: la scommessa vinta di Loccioni

Rinnovabili, identità e territorio: l’esperienza della prima comunità ecosostenibile d’Italia

Rosora, 1000 abitanti nell’entroterra anconetano: sorge qui la prima comunità ecosostenibile d’Italia. Creatura di Enrico Loccioni, imprenditore nel settore dei sistemi di collaudo e controllo qualità che ha scommesso da decenni sulle rinnovabili. E continua a guadagnarci, allora come oggi

Rinnovabili: la scommessa vinta di Loccioni
crediti: Loccioni

(Rinnovabili.it) – Se potessimo planare lentamente giù per la Vallesina e le sue colline, probabilmente la prima cosa che noteremmo sarebbero decine di monasteri, abbazie, conventi ed eremi, molti dei quali benedettini. Punteggiano il territorio con una concentrazione forse senza pari, in quell’Italia rugosa che da Norcia e Assisi guarda verso l’Adriatico. Se questo volo lo facessimo all’alba, vedremmo scintillare sotto di noi il fiume Esino, il secondo corso d’acqua delle Marche. Poco più a nord scorrono il Misa e il Nevola, al centro dell’alluvione che ha colpito queste aree a settembre 2022. In poche ore cadde la pioggia di 6 mesi, anche 400 mm. Volumi gonfiati dalla crisi climatica nell’estate italiana più calda dal 1800 dopo il 2003.

A luccicare, nel fondovalle, sarebbero anche le decine di pannelli fotovoltaici che ricoprono i tetti della Loccioni nella frazione Angeli di Rosora. L’impresa fondata da Enrico nel 1968 insieme alla moglie Graziella Rebichini si affaccia sull’Esino ed è una sorta di abbazia tecnologica, in continuità con l’Abbazia di Sant’Urbano all’Esinante, poco più all’interno dove Enrico è nato e cresciuto. Fiume e rapporto con il territorio sono due pilastri della storia di questa impresa che progetta e produce sistemi high tech di collaudo e controllo qualità su misura per i clienti. Ed è al centro della prima comunità ecosostenibile realizzata in Italia.

Acqua, ora et labora

Sulle acque dell’Esino la Loccioni oggi ha installato 4 impianti di mini idroelettrico da 174 kW complessivi. Contribuiscono per una quota non trascurabile alla produzione di energia rinnovabile con cui l’impresa alimenta i suoi processi. E dall’acqua – l’arrivo dell’elettricità in campagna, una pompa e dei tubi per portar l’acqua fino alla stalla, l’installazione del sistema anche per i contadini del vicinato – nasce la storia imprenditoriale di Loccioni. Alla fine l’Esino Loccioni l’ha pure “adottato”: 2 chilometri di fiume sono affidati all’impresa per la messa in sicurezza, manutenzione e cura del corso fluviale grazie a un accordo pubblico-privato con provincia e regione.

La presenza dei monaci e il loro modellare il territorio, il secondo pilastro, ha poco a che vedere con la religione in sé e molto da spartire con il plasmare l’identità di un luogo. “Abbiamo convissuto per centinaia di anni con un modello, quello benedettino, che ha al centro il lavoro e la cultura – racconta Enrico Loccioni – I monaci affidavano campi e proprietà a terzi, trasferendo know-how e innovazione e così hanno davvero creato una cultura manageriale e imprenditoriale: sono nati quegli spin-off che sono i mezzadri, i contadini, gli artigiani, tutti noi. È il nostro dna culturale”.

Una scommessa carbon negative

Da questo dna, Loccioni ha fatto sbocciare l’idea di puntare sull’autonomia energetica, sulle energie rinnovabili in un periodo in cui erano ben pochi a scommettere su sole e acqua, e ancor meno erano quelli che scommettevano sul futuro di sistemi energetici puliti e distribuiti a scala di comunità. Al centro c’era il comfort della persona, insieme alla sostenibilità. Ci ha sempre guadagnato. Allora come oggi. Oggi è probabilmente una delle prime realtà industriali 100% elettrica, avendo abolito il gas già da quasi 10 anni. I laboratori dell’impresa hanno un bilancio energetico positivo, nel 2022 hanno prodotto 4237 MWh contro i 3408 MWh consumati. Numeri che hanno permesso di evitare l’emissione in atmosfera di 1.080 tonnellate di CO2. In pratica, ogni collaboratore ha un’impronta di carbonio negativa e “assorbe” più di 500 kg di anidride carbonica l’anno.

Vi ha contribuito un mix di soluzioni. Gli impianti fotovoltaici sono 15 per 2.476 kW di capacità, installati su tetti che sono stati progettati già in origine per ospitarli, a cui si sommano i 4 impianti di mini idroelettrico a vite d’Archimede già citati e un impianto di cogenerazione da 50 kW. C’è poi una vasca da 450 metri cubi per l’accumulo termico, tenuto in temperatura da pompe di calore acqua-acqua (di falda ed’inverno da un pirogassificatore) e 3 sistemi per storage elettrico per un totale di 1 MWh. L’89% dell’energia generata dall’impresa è destinata all’autoconsumo. Altre soluzioni si aggiungeranno in futuro. La prima nella pipeline è lo stoccaggio stagionale di idrogeno: Loccioni produce H2, finora in quantità ridotte per portare a termine i test sulle fuel cell per alcuni clienti, ma in prospettiva aumentando i volumi di idrogeno verde si potrà sfruttare il vettore anche per l’accumulo stagionale, immagazzinando il surplus d’energia generata durante l’estate per consumarla d’inverno.

Gran parte dell’energia prodotta alimenta la smart grid, ribattezzata Leaf Community, una rete che comprende i 6 laboratori Loccioni su entrambe le sponde del fiume e alcune abitazioni ad uso foresteria. Per il 6% delle ore annue il prelievo dalla rete è nullo, la rete va in isola energetica. In totale l’autosufficienza arriva al 45%. “L’anno scorso avremmo pagato 1 milione mezzo di euro di bolletta, in realtà abbiamo comprato soltanto 150mila euro di energia”, puntualizza Loccioni. Nonostante il raddoppio dei consumi per nuovi laboratori, aumento del personale e test di collaudo più energivori, la bolletta è stata pari a quella di 10 anni fa.

Ecosistema

Così ad Angeli di Rosora arrivano in visita migliaia di persone l’anno tra studenti, fornitori e clienti, per dare una sbirciata ai laboratori e toccare con mano una realtà piuttosto unica nel panorama italiano. Una delle stelle polari della filosofia di Loccioni è pensare l’innovazione sempre calata in un orizzonte di sistema. Molti dei progetti che l’impresa sta portando avanti testimoniano questa impostazione. Un esempio su tutti: dare una seconda vita alle batterie dei veicoli elettrici. Insieme a Enel e Nissan, l’impresa marchigiana ha installato a Melilla, l’exclave spagnola in Marocco, un sistema di storage stazionario basato su batterie auto usate, non più utili alla trazione. Con questo progetto, battezzato “Second Life”, si cerca una soluzione di economia circolare alla perdita di densità energetica dei sistemi di accumulo per auto, reimpiegandoli come batterie domestiche o accumuli per le reti elettriche. Il sistema è stato replicato in taglia ridotta nei Laboratori Nomadi Loccioni, sale prova containerizzate per il test dei componenti di auto elettriche, alimentate da fonti rinnovabili e dal sistema di storage second life.

È una filosofia molto concreta e applicata non solo ai processi produttivi ma a tutti i livelli d’impresa. A partire dai collaboratori. In Loccioni si entra da ex-studenti (età media 32 anni) e da subito si lavora su un progetto e non per task “ciechi”, da qui lo sviluppo dell’identità professionale che allo stesso tempo fa crescere l’impresa. Ogni anno alcuni dei collaboratori della Loccioni aprono la propria impresa (la rete che riunisce tutti gli ex si chiama Nexus), restando sul territorio e accrescendo le possibilità di creare valore grazie a un simile ecosistema virtuoso. Sono i semi grazie ai quali tornare a far vivere il territorio (Loccioni sta mettendo in piedi anche un progetto per il ritorno dei cervelli in fuga) e “lasciare un po’ meglio di come abbiamo trovato”. Anche queste sono energie rinnovabili.  

In collaborazione con Enel Green Power

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