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Addio “schiscetta”? La storica Tupperware rischia di chiudere

La ripresa della ristorazione dopo il boom della pandemia mette in ginocchio Tupperware, la storica azienda di contenitori di plastica riutilizzabili

Tupperware
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Crollo delle quote di Tupperware a Wall Street nel giorno di Pasquetta: -48%

(Rinnovabili.it) – La fine della “schiscetta” è ormai alle porte? La domanda aleggia non tanto nelle sale mensa o negli uffici, quanto nei corridoi di Wall Street, dove i trader si sono trovati il lunedì di Pasquetta ad osservare un crollo del 48% delle quote di Tupperware, l’azienda di contenitori di plastica riutilizzabili fondata dal chimico Earl Tupper nel 1946.

Tupper, pioniere di una delle ultime imprese che fanno vendita diretta, si era ispirato al design dei coperchi delle latte di vernice per porre la prima pietra di un impero multinazionale, un marchio talmente noto da diventare una parola di uso comune (chi di noi non chiama “tupperware” tutti i contenitori per conservare alimenti?). Eppure, venerdì 7 aprile in una nota, la sua creatura esprimeva “dubbi sostanziali” riguardo alla capacità di continuare ad operare. Una dichiarazione incendiaria, che ha provocato un crollo azionario all’apertura dei mercati questa settimana. Tupperware, in pratica, sta mettendo in dubbio il suo modello di business e la sua possibilità di adattarsi ai cambiamenti delle abitudini dei consumatori.

Sempre meno pasti cucinati in casa: così Tupperware chiude

Il declino arriva dopo che, nel 2020, sembrava iniziata invece una nuova alba: quando il mondo si è chiuso in casa per difendersi dal COVID-19, le vendite di Tupperware sono schizzate alle stelle. Avevamo ricominciato a cucinare e conservare gli alimenti, quindi i contenitori di plastica riutilizzabili sono tornati di moda. Appena le restrizioni si sono allentate, tuttavia, sono ripresi i consumi e soprattutto il trend del “cibo fuori”, che il rapporto FIPE del 2020 già metteva nero su bianco. Se per 5 milioni di italiani il pranzo tra bar, ristoranti o gastronomie è un’abitudine, figurarsi per la patria del fast food.

Il rimbalzo della ristorazione ha significato meno pasti cucinati a casa, meno avanzi e meno tupperware. Non solo: la crescita delle alternative ha il suo peso in questa crisi. Tupperware si affida infatti a circa 3 milioni di venditori diretti per distribuire i suoi prodotti in quasi 70 paesi. Rispetto al periodo di boom economico, oggi i consumatori hanno più opzioni per la conservazione degli alimenti, più luoghi dove acquistare i loro contenitori e meno tempo per ascoltare i promotori dello storico marchio.

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