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Agrivoltaico: “Serve un nuovo patto con i territori”. Parla Ghiselli di EF Solare

L’integrazione di pannelli e agricoltura può portare enormi vantaggi per l’ambiente e i territori. Di cosa si sta occupando la ricerca? Quali sono le prossime frontiere dell’agrivoltaico? A che punto è il quadro normativo in Italia? Rinnovabili.it ne ha parlato con Andrea Ghiselli, ceo di EF Solare

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Sistema irrigazione in remoto nella serra fotovoltaica. Credits: EF Solare

(Rinnovabili.it) – 32 MW di serre fotovoltaiche che generano ogni anno oltre 44 mln di kWh e si integrano con 40 ettari di coltivazioni tra arance, limoni, cedri e bacche di Goji. E sperimentazioni di agrivoltaico in campo aperto. Sono i numeri, in Italia, dell’agropv di EF Solare, azienda attiva nel fotovoltaico anche in Spagna. Anche con interessanti iniziative di ricerca. Quali sono le prospettive del settore e su cosa si sta concentrando la ricerca? Ne abbiamo parlato con l’ad Andrea Ghiselli

Da dove nasce la vostra scelta di puntare sull’agrivoltaico?

Tutti i giorni ci confrontiamo con un problema: far capire come un impianto solare possa avere esternalità positive nonostante occupi uno spazio fisico. L’agrivoltaico porta evidenti vantaggi ambientali, ma anche sociali.

Quali sono i benefici per l’ambiente dei vostri impianti?

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Andrea Ghiselli, CEO di EF Solare

L’azzeramento del consumo di suolo è il primo: impianti sopraelevati permettono di usare il terreno in modo duplice. Ad esempio, abbiamo un impianto sperimentale a Scalea dove stiamo testando una nuova configurazione, consente la completa reversibilità dell’installazione e una coltivazione totale delle aree coinvolte. È adatta a tutte le tipologie di pannelli e si integra con le coltivazioni in campo aperto con strutture a terra senza cemento, elevate a circa 3 metri di altezza, con un sistema di inseguimento solare e adeguato distanziamento tra le file.

Bisogna poi considerare altri vantaggi dell’agrivoltaico. Contrasta l’abbandono dei terreni, soprattutto quelli a rischio desertificazione: le strutture garantiscono l’ombreggiamento e supportano l’agricoltura di precisione il riducendo il fabbisogno idrico grazie ad una minore evapotraspirazione. Nelle nostre serre è il 70% in meno e si hanno rese comparabili a quelle di coltivazioni in campo aperto.

Accennava anche a vantaggi sociali. 

Dico sempre che il fotovoltaico è una tecnologia democratica perché è distribuita sul territorio, mentre una diga o una centrale a gas rappresentano una concentrazione di forza lavoro e interessi in una particolare area geografica. Ha l’effetto di stimolare nuove professionalità anche in luoghi dove ragionevolmente non venivano create. Elettricisti, tecnici, ma anche agricoltori con competenze digitali. 

Siete partiti dalle serre fotovoltaiche e ora sperimentate l’agrivoltaico di 2° generazione. Quali sono le nuove frontiere di questa tecnologia?

Le applicazioni possono essere molto ampie. Penso all’agrivoltaico zootecnico, in compresenza con allevamenti. Ci sono esperienze in Cina con anguille e gamberetti. Ma anche alle aree già desertiche o con grossi problemi di conversione agricola. Qui può essere uno strumento utile per recuperare terreni. 

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Serra fotovoltaica di Scalea. Credits: EF Solare

La sperimentazione con l’agrivoltaico è in espansione. Voi da un mese avete iniziato un progetto europeo di ricerca insieme, tra gli altri, a Eurac Research ed Enea. Ce ne può parlare?

Realizzeremo impianti sperimentali in Italia -a Bolzano, su un meleto- Spagna e Olanda con configurazioni diverse: retrofit, campo aperto. In Spagna, vicino a Barcellona, useremo colture orticole, basse, e sperimenteremo come i pannelli possono proteggere da uccelli, insetti e come aiutino a fare a meno di prodotti chimici. In Olanda ci sarà il revamping su una serra esistente coltivata a pomodori e si testeranno pannelli semitrasparenti. Un altro test in Olanda, sempre in una serra ma di nuova costruzione, sperimenterà l’integrazione con l’uva.

Gli obiettivi sono sviluppare tecnologie adattabili a diversi assetti colturali e latitudini, e aiutare la standardizzazione e l’accuratezza nella progettazione degli impianti. L’agropv è più complesso di un semplice impianto fotovoltaico perché va integrata la parte di generazione elettrica con le esigenze dei cultivar e dei mezzi per la coltivazione: altezza dei pannelli, interlinea tra le file, modalità di infissione, sistemi di verifica dell’accrescimento delle piante e della fotosintesi clorofilliana per citarne qualcuno. Ovviamente, tutti i dati di queste sperimentazioni verranno messi a disposizione della comunità. 

La normativa italiana in tema di agrivoltaico sta evolvendo rapidamente. Cosa manca?

In generale il contesto normativo è tutt’altro che completo. Dl Semplificazioni e dl Energia hanno messo le basi per superare alcuni vincoli. Mancano però i decreti attuativi che dovevano arrivare a fine 2022. Aspettiamo la pubblicazione delle linee guida sull’agrivoltaico dopo la consultazione pubblica di luglio scorso. Qui, bisognerebbe superare alcune limitazioni che erano state poste, ad esempio eliminando vincoli soggettivi a chi può e vuole fare iniziative nell’agrivoltaico e facendo in modo che l’agrivoltaico a consumo di terreno nullo abbiano PPA coerenti con l’LCoE dell’impianto. Nei decreti attuativi servirebbero dei percorsi differenti per l’agrivoltaico con più esternalità positive. Peraltro, questo agropv può aiutare a superare i particolarismi.

In che senso? 

Abbiamo 330 impianti in tutte le regioni d’Italia e ci rendiamo conto che anche a causa di una normativa nazionale non organica, ogni regione ha legiferato definendo regole e limiti propri. Hanno senso su scala regionale, ma non consentono di raggiungere gli obiettivi del PNIEC. Serve organicità per garantire lo sviluppo di cui abbiamo bisogno.

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Prototipo di impianto a consumo nullo di terreno. Credits: EF Solare

In attesa del nuovo PNIEC, visti i nuovi target UE (-57%), al 2030 dovremo installare circa 80 nuovi GW rinnovabili. Nel 2022 ne abbiamo installati appena 3,5 GW. Cosa deve cambiare? 

Tre elementi: regole, connessioni, nuovo patto con i territori. Oggettivamente c’è un processo di permitting lungo e contraddittorio, la sburocratizzazione è una priorità. Poi, quando si parla di permitting e burocrazia si pensa al processo di costruzione di un impianto, ma anche la realizzazione di infrastrutture di trasporto dell’energia è esposta agli stessi processi. E una linea attraversa più territori. La connessione oggi rappresenta un collo di bottiglia anche in caso di repowering di impianti esistenti. Chi ha disponibilità di energia da mettere in rete con tempi limitati di realizzazione di nuova capacità da repowering dovrebbe avere una priorità nell’immissione.

Ma la vera chiave è trovare un patto con le regioni e i territori. Bisogna dare garanzie ai territori su come viene usato il terreno, in un modo che sia compatibile con le esigenze agricole e paesaggistiche. E far sì che i ritorni delle rinnovabili possano arrivare anche sul territorio. Questa sarebbe la chiave per sbloccare il sentiment negativo che accompagna l’installazione di rinnovabili. Ad esempio, se stipulo un PPA con il Gse, una parte potrebbe essere lasciata al territorio.

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