Il vice-premier Alexander Novak comunica che a inizio anno nuovo Mosca ridurrà l’output di greggio di 500-700mila barili al giorno, una quota tra il 5 e il 7% della produzione attuale. Il cap a 60 $ scattato il 5 dicembre si fa sentire
A dicembre l’export di petrolio russo dai porti sul Baltico in calo del 20%
(Rinnovabili.it) – Tagliare la produzione di petrolio russo anche del 7% per rispondere al tetto sul prezzo in vigore da inizio dicembre. È l’ipotesi ventilata oggi dal vice premier russo Alexander Novak come contromisura per il price cap imposto dall’UE e dai paesi G7 sul greggio e sui prodotti raffinati di Mosca.
Se la misura dovesse entrare realmente in vigore all’inizio del 2023, potrebbe tradursi in una sforbiciata tra i 500mila e i 700mila barili di petrolio al giorno, stima Novak in un’intervista alla tv di Stato russa. Tagli che andrebbero a colpire i paesi che aderiscono al tetto al prezzo e alle compagnie energetiche che si adeguano.
Cosa prevede il price cap
Il price cap sul greggio di Mosca è in vigore dal 5 dicembre ed è stato fissato a 60 dollari il barile dopo difficili contrattazioni tra i paesi europei. La Polonia -uno dei principali sostenitori dell’Ucraina nel conflitto- ha tenuto in scacco il Consiglio per settimane, pretendendo che il limite fosse portato molto più in basso, attorno ai 30 dollari.
Si applica solo a una parte del petrolio russo, quello trasportato via mare, ma non riguarda solo le importazioni dei paesi aderenti. L’accordo sul tetto, infatti, prevede che si possa inviare il greggio russo a paesi terzi usando navi, assicurazioni e garanzie bancarie legate ai paesi che impongono il cap solo se la merce è acquistata a un prezzo inferiore ai 60$. Gran parte del settore assicurativo e riassicurativo (le assicurazioni sulle assicurazioni) è basato in Europa e Gran Bretagna.
“Riteniamo che nella situazione attuale sia possibile correre il rischio di una minore produzione piuttosto che essere guidati dalla politica di vendita dei massimali di prezzo. Oggi sono 60 dollari, domani può essere qualsiasi cosa, e per noi è inaccettabile dipendere da alcune decisioni prese da paesi ostili”, ha detto Novak. Il prezzo del barile (Brent) batte intorno agli 80 dollari, più o meno lo stesso livello di prima dell’invasione dell’Ucraina, ed è in continua -seppur lenta- discesa da giugno.
L’impatto del tetto sul petrolio russo
Per quanto il Cremlino assicuri che può facilmente reindirizzare i barili verso altri compratori, soprattutto cercandoli in Asia, la realtà è che i colli di bottiglia imposti si fanno sentire e l’impatto del price cap dovrebbe essere percepito in modo marcato, almeno in questa prima fase. Secondo un calcolo di Reuters, dai porti sul Baltico l’export di greggio russo a dicembre dovrebbe crollare del 20%. L’appetito asiatico per l’Ural russo non è molto e, soprattutto, Mosca ha difficoltà a trovare abbastanza petroliere per rimpiazzare quelle offlimits.