L’Obiettivo Fame Zero entro il 2030 è solo un’utopia? Il Seminario Estivo della Fondazione Symbola ha dedicato ampio spazio al tema della sostenibilità e della sicurezza alimentare. Clima e ambiente sono due facce di una stessa crisi, combattere il cambiamento climatico è la prima azione per combattere la fame. Ma soprattutto non ci sarà sostenibilità senza innovazione
Il Seminario Estivo 2022 della Fondazione Symbola si è aperto con il panel “Sostenibilità e sicurezza alimentare in un mondo cambia” che ha delineato il quadro generale della situazione attuale che coinvolge cibo, clima, produzione, energia e materie prime.
In poco più di due anni pandemia, crisi climatica e guerra hanno cambiato il mondo. A questo si aggiunge la possibilità sempre più reale di una carestia nei Paesi più poveri, dovuta al blocco delle esportazioni di cereali a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.
La prima sostenibilità passa dal nostro piatto
Nel 2050 un Pianeta già molto provato dalle azioni umane potrebbe ospitare dieci miliardi di persone che hanno diritto a un’alimentazione sana e nutriente.
Una grande sfida, che potremo vincere solo dando il via libera all’innovazione, alla ricerca, alla coesione territoriale nella consapevolezza che la prima sostenibilità passa proprio dal nostro piatto.
Come arrivare a una maggiore capacità produttiva? Investendo nell’agricoltura di precisione, quindi in innovazione, ed evitando lo spreco di cibo, che è la prima forma di sostenibilità.
I giovani rappresentano il rinnovamento: vanno sostenuti e accompagnati nella transizione green, come i piccoli agricoltori che da soli non potrebbero affrontarne gli inevitabili costi. Le imprese devono rimettere al centro le persone, i territori devono essere dotati delle infrastrutture indispensabili.
Il rischio reale di perdere la biodiversità
L’emergenza non deve distogliere l’attenzione dall’ambiente. Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi, con una prolungata siccità che sta mettendo in crisi il sistema agroalimentare. La stessa Europa, che ha posto i primi “paletti” per la transizione verde, deve mantenere gli obiettivi per la salute del Pianeta.
Sostenibilità è diventata una parola abusata? Secondo Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, «è bene che oggi ci sia attenzione alla sostenibilità e che sia vista non come un problema ma come una sfida per un settore come l’agricoltura, che sempre più si dovrà confrontare con problemi di carattere ambientale».
In questa fase di emergenza, presi dalla necessità di produrre più cereali, rischiamo di perdere un nostro bene prezioso, che è la biodiversità. Basti pensare che l’Italia rappresenta più del 60% della biodiversità mondiale.
La vera sfida per l’Italia è il posizionamento sui mercati internazionali. Pensiamo all’Italian Sounding come un’opportunità per far crescere il valore delle esportazioni di qualità con innovazione, blockchain, QR Code, formazione e una sostenibilità reale.
Basta alle politiche basaste sull’emergenza
I cambiamenti climatici devono stimolare politiche di medio-lungo periodo, una cosa che la politica italiana non fa da quarant’anni, basata sull’emergenza senza pensare alle infrastrutture indispensabili a un percorso produttivo futuro.
Tra i provvedimenti immediatamente realizzabili, Prandini è tornato a sollecitare la creazione di bacini di accumulo per l’acqua: una scelta indispensabile in condizioni di perdurante siccità, utili sia all’agricoltura che all’energia idroelettrica.
Federico Vecchioni, amministratore delegato di BF SpA, è un’infrastruttura che va dal genoma allo scaffale. Il gruppo è quotato in Borsa, quindi il mercato misura costantemente la corretta operatività del management: la capitalizzazione è passata da 129 milioni a oltre 700.
Per BF SpA l’innovazione di processo e di prodotto è un elemento imprescindibile per la crescita, è tecnologia: «In cinque anni puntiamo a essere il più grande giacimento agricolo europeo ad alta tecnologia.
L’Italia ha una straordinaria potenzialità che viene dal capitale fondiario, noi intendiamo coglierla e diventare un capofila autorevole. La crescita di questi anni è dovuta a investitori privati e istituzionali, a una filiera industriale che ci ha supportato e al contributo di Coldiretti».
Non c’è antitesi fra sostenibilità e innovazione
Vecchioni sottolinea l’importanza della ricerca in campo agricolo, nella consapevolezza che «non c’è alcuna antitesi tra sostenibilità, conservazione dell’ambiente, incremento della fertilità e innovazione».
Innovazione, digitalizzazione e conoscenza sono presidi per mantenere la tradizione: BF sta formando un gruppo di giovani affinché conoscano la tradizione attraverso l’innovazione e si crei una «connessione tra produzione ricerca, università e sperimentazione in pieno campo».
Grande è il valore delle alleanze – industriali, finanziarie e agricole – nella visione di BF, che creano un circuito virtuoso che lega i comparti tra loro. Da soli, anche se grandi, non si può competere sui mercati internazionali e aperti.
Parlare di finanza è parlare di speculazione? No, sottolinea, Vecchioni, «c’è un mondo finanziario sano che vede nella sostenibilità una leva di crescita premiante nei mercati, quindi un valore economico da rendere compatibile con gli interessi generali delle comunità».
Quello che accade intorno a noi avrà ripercussioni in Europa
Sicurezza alimentare non è solo andamento dei prezzi, ma anche e soprattutto un problema di disponibilità delle derrate. Si è creato un problema di compatibilità tra sostenibilità, transizione ecologica e sicurezza alimentare, ha sottolineato Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo.
«L’Europa è una grande potenza agricola: l’invasione russa dell’Ucraina ha messo a nudo una serie di dipendenze, ma non c’è un problema di disponibilità in Europa».
Diverso è il caso di alcuni Paesi in via di sviluppo, dove già si stanno generando delle tensioni sociali: ad esempio, l’Egitto dipende per l’85% dei cereali dalla Russia e dall’Ucraina.
La FAO stima il raddoppio delle persone in condizioni di insicurezza alimentare. Dobbiamo preoccuparci di ciò che avviene intorno a noi, perché avrà ripercussioni anche in Europa.
Ancora una volta, torna con forza il tema dell’innovazione: non ci saranno transizione ecologica né sostenibilità senza innovazione.
Incentivare la ricerca in Italia
È stato appena approvato il 50% di riduzione dei fitofarmaci entro il 2030, ma serve avere un nuovo regolamento europeo che snellisca tempi e procedure e approvi le tecniche di miglioramento genetico tradizionale (quindi non OGM).
Dobbiamo accelerare le sperimentazioni che i nostri istituti di ricerca e le nostre università sono in grado di fare. La strada dell’agricoltura di precisione è vincente, ma dobbiamo dare agli agricoltori gli strumenti per poterla adottare.
L’Europa contribuisce per l’8% delle emissioni di CO2 mondiali, sarebbe molto efficace convincere Paesi come Cina o India a ridurre le loro emissioni.
«Gli obiettivi devono rimanere, il tema è come raggiungerli. Rendiamoci conto che la siccità, che causa un importante calo produttivo, al momento ha effetti più gravi della guerra in Ucraina».
L’esperienza turistica si trasformi in un cambio di prospettiva
Carlo Cambi, giornalista e scrittore, ha ricordato Nazzareno Strampelli, «l’uomo che da una spiga di grano ne fece due», che non ha mai brevettato i suoi semi e li ha regalati all’umanità. Grani alti, che non fanno crescere le infestanti e non hanno bisogno di chimica, che si possono piantare anche in terreni marginali.
Il rapporto tra uomo e cibo va raccontato, la sua storia può “educare” anche il turista. Il territorio si recupera con la cultura, con la narrazione, ma accompagnandola con l’innovazione.
Va mantenuta la rotta, adattandola ai territori. «L’esperienza turistica non deve essere solo uno svago, ma un cambiamento di prospettiva nella sua vita quotidiana e una consapevolezza».
Raccontare la storia del prodotto fa anche capire il perché di un prezzo, che è un valore per il territorio e per la sua sopravvivenza: scegliere il cibo è un atto politico, ma se in Italia più di cinque milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà la loro scelta è obbligata.
La cooperazione tra Italia e America Latina
«Il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile è per noi una mission istituzionale», ha affermato Antonella Cavallari, segretario generale di IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana.
L’America Latina è uno dei principali produttori mondiali di derrate alimentari, alcune delle quali strategiche: soia, carne, ortofrutta.
Il rapporto fra sicurezza alimentare e coesione sociale che in America Latina è molto forte, come pure le sue contraddizioni di questo continente: grande produttore da un lato, ma dall’altro con elevate percentuali di povertà estrema e di malnutrizione e obesità.
L’alto tasso di urbanizzazione (80%) provoca l’abbandono delle campagne, aggravando problemi sociali e insicurezza alimentare, si privilegiano produzioni intensive e si comprano prodotti ortofrutticoli di importazioni.
IILA sta aiutando le comunità locali a riappropriarsi dei territori, a coltivare orti urbani e a portare tecnologia e innovazione nelle campagne. Servono però politiche con un orizzonte ampio, alleanze, replicabilità delle buone pratiche.
L’ambiente si tutela con l’innovazione, non con il ritorno al passato
«Negli ultimi mesi il dibattito è stato incentrato su produttività e sostenibilità, accusando le politiche ambientaliste di rovinare l’Italia e l’Europa. Vediamo bene che non è vero, la produttività è aumentata», ha sottolineato Angelo Frascarelli, presidente di Ismea.
Si discute il fatto che l’Italia importi il 30% di grano duro per la pasta. I dati dicono che produciamo circa 4 milioni di tonnellate di grano duro: per il fabbisogno italiano ne bastano 2,6, il resto è per le esportazioni.
Dobbiamo aumentare la produttività non per noi, che abbiamo cibo a sufficienza, ma per il resto del mondo che è in difficoltà. C’è però un ostacolo, il cambiamento climatico. Fra 80 anni la maggior parte del territorio italiano non sarà più produttivo.
C’è un equivoco di fondo, per Frascarelli: la tutela dell’ambiente è possibile solo tornando all’agricoltura contadina. L’ambiente lo tuteliamo con l’innovazione: solo così gli obiettivi del Green Deal saranno raggiungibili mantenendo alti i livelli di produzione.
Il sistema agroalimentare è diventato un sistema economico
Mauro Rosati direttore generale di Origin-Qualivita propone una riflessione culturale su come sia cambiato il modo di intendere temi come qualità, sicurezza alimentare e sostenibilità.
Secondo le proiezioni Istat, nel 2100 in Italia saremo 32 milioni e non saremo in grado di reggere l’economia se non triplichiamo l’export.
Negli ultimi anni il sistema agroalimentare è diventato un vero e proprio sistema economico che richiama elementi culturali importanti: siamo davanti a un grande problema collettivo da gestire con soluzioni collettive, dobbiamo continuare a investire e preservare i beni comuni per essere sostenibili.
I consorzi e le indicazioni geografiche (che oggi hanno 18 miliardi di fatturato e 12 miliardi di export) sono stati esempi concreti di gestione collettiva della filiera agroalimentare e di valorizzazione del bene comune. È condividere un problema e trovare insieme una soluzione: una sintesi per affrontare la sostenibilità e la sicurezza alimentare.
La formazione accompagna il cambiamento
«La sostenibilità è un tema centrale per il nostro confronto con il mondo delle imprese», ha affermato Onofrio Rota, segretario generale FAI Cisl.
Non si tratta solo di negoziare la sostenibilità, ma anche di aprire laboratori in collaborazione con il mondo accademico e gli ITS per formare persone in grado di gestire il cambiamento e creare una vera rigenerazione.
FAI Cisl, insieme con Coldiretti, si adopera concretamente per mettere in atto pratiche di contrasto al caporalato e allo sfruttamento del lavoro in agricoltura e sostenere il lavoro buono.
Oggi in agricoltura lavorano 1.100 persone, di questi 350mila sono immigrati, un numero destinato a crescere. La formazione sarà sempre più indispensabile per integrare i lavoratori e accompagnare i cambiamenti in agricoltura, incanalando le persone nei percorsi di lavoro buono. Il lavoro sano partecipa ai cambiamenti, non ha più senso la nostalgia del passato.
Quando l’azienda ha un impatto positivo su ambiente e società
Illy è una società certificata e giuridicamente B Corp, il profitto non è considerato solo in termini economici, ma anche come impatto positivo sull’ambiente e sulla società, ha spiegato Marina Migliorato, consiglio di amministrazione di Illy.
Quasi cento anni fa, il fondatore di Illy disse che «la sola prospettiva economica non può bastare a legittimare l’operato di un’azienda, ma deve essere integrata con il rispetto dell’uomo, della comunità e dell’ambiente».
Il mondo cambia, un’azienda che guarda solo gli aspetti economici non è in grado di capire qual è il contesto che si sta sviluppando, quali sono le tendenze e i rischi emergenti. Fare sostenibilità è capire cosa succederà nei prossimi anni anche da punto di vista sociale.
In Illy sostenibilità e qualità sono state da sempre alla base della creazione del modello di valore: non solo qualità del caffè, ma qualcosa che coinvolge produttori, fornitori, distributori e consumatori.
La sostenibilità rende più competitivi
Insegnare qualità e sostenibilità al piccolo produttore non si ferma al riconoscimento di un premio di produttività. Nei Paesi in via di sviluppo, 120 milioni di persone basano la loro sopravvivenza sulla coltivazione del caffè, 25 milioni di piccoli coltivatori producono l’80% del caffè che si beve nel mondo. Queste persone fanno parte di una comunità e vanno coinvolte e integrate nel sistema di produzione.
Illy ha due pilastri della formazione: il Master del caffè forma la classe dirigente ma anche la parte agricola e tecnologica, e l’Università del caffè: corsi che hanno formato più di 310mila persone nelle sedi di 27 Paesi.
Gli agricoltori sono accompagnati sul campo per attuare un modello replicabile di agricoltura rigenerativa di qualità verificata: bisogna spiegare agli agricoltori che facendo pratiche attive di decarbonizzazione e di agricoltura rigenerativa diventano più competitivi sul mercato locale e internazionale.
Separare la questione agricola da quella ambientale è una follia
L’obiettivo Fame Zero entro il 2030 è solo un’utopia? Maurizio Martina, vice segretario generale della FAO, ha sottolineato che purtroppo dal 2015 la curva della fame nel mondo è cresciuta, specie negli ultimi due anni: la pandemia ha impattato molto su questi temi, come pure questa guerra che coinvolge due Paesi esportatori agricoli primari e incide sugli scambi di prodotti alimentari.
Tutte le guerre sono la prima causa di fame: sovrapposte al cambiamento climatico e agli shock economici globali come la pandemia hanno creato la tempesta perfetta, e a farne le spese è ancora soprattutto il Sud del mondo.
Nessuno può dirsi sicuro, gli effetti di quello che accade in Egitto o India ha un riflesso sul resto del mondo. «L’interconnessione del mondo non è solo economica, il cambiamento climatico è un fatto, separare la questione agricola da quella ambientale è una follia. I problemi ci sono, ma la svolta ambientale è legata a quella agricola, come pure ai temi sociali».
Cosa può fare l’Italia? «Deve produrre valore nel modello agricolo, alimentare e ambientale: deve essere il miglior modello con il più alto valore aggiunto, anche sul piano politico e diplomatico».
La globalizzazione non finirà
La globalizzazione non finirà, cambierà i suoi caratteri: non si tornerà a un mondo che non c’è più. «Forse siamo già in una fase in cui la globalizzazione si riorganizzerà non tanto sulle distanze, ma sulla base di valori di riferimento comuni. La riflessione è come posizionarsi in un mondo dove le catene di produzione si accorceranno per rimettere in sicurezza alcune filiere».
Un tema cruciale è far sì che «l’innovazione sia alla portata di tutti, perché facciano quel salto digitale e tecnologico che rende l’agricoltura sostenibile. Servirebbe una politica seria, che sappia leggere i cambiamenti e fare scelte lungimiranti».
Ci sono storie belle che migliorano la vita delle persone, i problemi ci sono ma anche gli esempi positivi. Ripartiamo da qui, dai nostri punti di forza come li racconta Fondazione Symbola.